“Quanto ai
pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto
che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale
soffocato e dalla impudicizia.” (Atti 21,25)
Molte
chiese e comunità cristiane hanno una lettura molto “letterale” della Bibbia,
nel senso che affermano che ciò che la Scrittura dice va preso e osservato,
appunto, alla lettera.
E
questo ha ricadute non da poco sulla vita stessa della comunità e soprattutto
su chi vuole avvicinarsi ad un gruppo cristiano per approfondire la propria
fede e condividerla. Pensiamo ad esempio a tutte quelle comunità che, partendo
dalle lettere di Paolo, obbligano le donne a velarsi il capo, a non usare
prodotti di bellezza, ecc. . Non sto parlando di usare le normali norme di buon
gusto e decenza (che il mondo di oggi pare aver smarrito per strada!), ma di
veri e propri ‘obblighi’, pena l’impossibilità a partecipare alla vita della
comunità. Come se queste cose fossero superiori all’amare Dio e il prossimo e
al comportarsi correttamente nella vita quotidiana.
È
vero che la Bibbia parla di norme particolari, quali l’abbigliamento da tenere,
il comportamento da avere nelle assemblee e fuori, ma è anche vero che quando
leggiamo un testo, biblico e no, dobbiamo sempre distinguere ciò che è stato
scritto per la gente di quei tempi (e perché!) e ciò che invece è un principio
di fede basilare.
Ho
fatto all’inizio l’esempio della questione della carne sacrificata agli idoli.
Presso
gli ebrei e i pagani era normale fare sacrifici rituali di animali e naturalmente
mangiarne dopo le carni (sarebbe stato un peccato uccidere e cuocere un
capretto e poi gettarlo nella spazzatura!). Quel mangiare, però, oltre che
essere una questione pratica, aveva anche una valenza religiosa, di
partecipazione personale al sacrificio appena fatto dal sacerdote a nome del
fedele. Perciò se un cristiano andava a casa di qualcuno che gli offriva carne
immolata agli idoli, era invitato a non mangiarne; infatti avrebbe significato
ammettere che anche un cristiano poteva ‘partecipare’ indirettamente ai
sacrifici pagani.
Oggi
come oggi, in cui non c’è più chi fa sacrifici animali, la regola del non
mangiare questa carne è ridicola, senza senso. Potrebbe però essere mantenuto
il principio che è bene non partecipare a cose fatte anche da altri contro ciò
che i cristiani considerano sacro (usando un linguaggio giuridico, potremmo
dire ‘fare favoreggiamento’).
Proviamo
ad applicare lo stesso principio, ad esempio, a 1Corinti 14,34: “Come in tutte le comunità dei fedeli, le
donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano
invece sottomesse, come dice anche la legge.” Sembrerebbe che le donne
debbano far silenzio nelle assemblee; eppure in altre parti Paolo stesso (e
Luca negli Atti degli Apostoli) raccontano di donne che dirigono una comunità.
Perché questo? Perché ogni parola è rivolta ad una gruppo specifica, che ha
determinati problemi e che vive in un determinato contesto.
Presso
gli ebrei le donne non avevano alcuna voce in capitolo, perciò come sarebbe
stata accettata una dottrina che lasciava libertà totale alle donne? Qualcuno
li avrebbe mai presi sul serio?
E
un’ultima osservazione.
Paolo
introduce un concetto importantissimo: la libertà del cristiano. Nella lettera
ai Galati, scrive: “… e questo proprio a
causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che
abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi.” (Gal 2,4) Secondo
la mentalità (ebraica) del tempo, infatti, si poteva essere veramente credenti
solo se si rispettavano per filo e per segno tutte le regole che erano scritte,
e anche quelle non scritte: solo gli ebrei ne aveva 365 che erano
indispensabile osservare!
Il
cristiano invece, dice la Scrittura, è libero perché Dio non vuole sacrifici,
ma giustizia e misericordia: «Che
m'importa dei vostri sacrifici senza numero?»
dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di
giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. … Anche
se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi,
purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di
fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete
l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova».
(Isaia 1, 11-19)
Ecco
le vere priorità: la giustizia, assistere chi ha bisogno, una preghiera vera e
pura. Queste cose non passano mai, tutto il resto rimane ancorato al luogo e al
tempo in cui si vive.
Tuttavia se in una comunità c’è chi ancora non ha maturato
una fede forte, ma risente della mentalità precedente, Paolo raccomanda di non scandalizzare
il fratello. Dice 1Corinzi 8,9: “Badate
però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli.” La
libertà cristiana infatti non nasce nel momento in cui si diventa cristiani, ma
è segno di maturazione. Solo chi ha maturato nella fede la propria personalità
può dirsi libero di osservare la Parola di Dio pur sembrando che esteriormente
non lo faccia. E quelle prime comunità erano ancora acerbe, appena nate alla
fede, indifese dagli attacchi esterni (anche fisici) degli ebrei e dei pagani.
Perciò avere dei ‘paletti’ indicatori aiuta a trovare più facilmente la strada.
Ma una volta che si è imparata la via, questa si potrà percorre anche a occhi
chiusi, senza bisogno che ci sia qualcuno che ci dica cosa dobbiamo e non
dobbiamo fare.
Juan Segundo
(pubblicato già qui)