sabato 29 gennaio 2011

Noi, speriamo che ce la caviamo

I lupi perdono il pelo ma non il vizio. Quando la barca sta affondando, a qualsiasi latitudine, c'è una sola soluzione per non perdere lo comando: Italia, Tunisia, Egitto. E' proprio vero: la politica è diventata il mestiere più antico del mondo.
E tutti zitti. Il nostro piangere fa male al re.
TIM
(foto tratta da qui)

venerdì 28 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 14

Ancora il diario.




28 gennaio 2016
Ciao, io sono Carlo.
Io non ti conosco, ma so che Teo ti scriveva sempre. Allora se siete amici forse ora che lui non c’è più posso parlare con te.
Tu come ti chiami? E dove abiti? Posso venire a stare con te?
Finora sono stato con Teo. Ti ha detto che siamo dovuti scappare perché a casa sua sono arrivati quegli uomini cattivi? Si, mi sembra che te l’ha detto, perché ho visto mentre te lo scriveva.
Poi lui è morto due giorni fa e adesso io sono di nuovo solo, come quando se ne sono andati mamma e papà. Io li sto cercando ancora, ma non ci sono da nessuna parte.
Sono andato pure dove lavorava papà ed era tutto vuoto e rotto. Tutti i computer erano a terra ed erano spenti, così non li ho potuti usare. Perché volevo scriverti che Teo è morto e per chiederti dove ti posso trovare.
Ma adesso sono nell’ufficio di mamma e visto che qui non è tutto messo per aria, ho aperto questo computer e mi sono ricordato il tuo indirizzo.
In questi giorni sto seguendo i disegni di Dranwall e ho trovato qualche altro bambino, ma non ci sono grandi, solo bambini e bambine che vivono da soli dove capita. Tutti sono stati abbandonati dai loro genitori, anche se non mi sembrano che sono cattivi. Anch’io non sono cattivo, però mamma e papà mi hanno lasciato da solo.
Sono rimasto un po’ di tempo con Teo e alla fine siamo dovuti scappare. Poi l’altro giorno mentre cercavamo una casa sicura dove stare, siamo entrati in una villetta che sembrava abbandonata, vicino il parco giochi. Il giardino era tutto pieno di erbacce e Teo mi ha detto di aspettare fuori, che lui entrava a guardare cosa c’era dentro. Ma io fuori da solo avevo paura, così dopo un po’ sono entrato anch’io.
Prima non sentivo niente, allora ho cominciato a chiamare Teo, che però non rispondeva. Poi ho sentito dei rumori da sopra le scale. Avevo paura ma sapevo che lì dentro c’era Teo, allora sono salito al primo piano e intento continuavo a chiamarlo.
Quando sono arrivato ho guardato in una stanza da dove venivano i rumori e ho visto Teo che combatteva contro un uomo brutto, coi vestiti strappati e che rideva ad alta voce mentre lo picchiava. Stavano lottando per terra e Teo era sotto. Gli ho detto che doveva mettersi sopra, perché così dice Dranwall che si combatte. Allora Teo mi ha visto e mi ha gridato di scappare che era pericoloso. Io non volevo lasciarlo solo, ma poi ho avuto paura perché quell’uomo si è girato e mi ha guardato. Allora sono scappato e stavo pure cadendo per le scale. Mi sono nascosto in giardino e ho aspettato che Teo uscisse dopo aver ammazzato quell’uomo. Invece dopo un poco è uscito quell’uomo e aveva tutta la faccia sporca di sangue. Ho aspettato ancora ma Teo non è sceso. Allora sono tornato sopra. Non ho chiamato perché avevo paura che c’era qualche altro uomo. E quando sono arrivato sulla porta della stanza ho visto Teo per terra, che era girato di spalle e non si muoveva. Non gli vedevo la faccia, ma aveva tutti i vestiti fatti a pezzi e dai pantaloni strappati si vedeva che gli mancava un pezzo di gamba.
L’ho chiamato a bassa voce ma non mi rispondeva, così ho preso dei pezzetti di legno che c’erano lì e glieli ho tirati. Ma non si è mosso. Allora ho capito che era morto e sono scappato.
Ti devo dire la verità che ho un po’ paura adesso che sono di nuovo da solo, ma se vedi la mamma non glielo dire, che lei non vuole che io ho paura.
Adesso finisco questa lettera, così continuo a cercare qualche amico che mi lascia i messaggi di Dranwall, e magari trovo anche mamma e papà, ma penso che ormai è difficile che li trovo. Ma non si sa mai.
E tu dove abiti? Posso venire a stare con te? Domani torno qui e se vuoi lasciami una lettera che la leggo.
Ciao.

Carlo



(Qui tutte le pagine del diario)

giovedì 27 gennaio 2011

Lenin, Stalin, Mao-Tse-Tung !

Algeria, Tunisia, Egitto, Congo, ora Yemen, e forse ho dimenticato qualcuno. La rivolta della fame dilaga. La guerra del pane, la battaglia di chi non ha più niente da perdere, si espande a macchia d'olio in Africa; ma i recenti fatti di Grecia non mettono al riparo l'Europa. I nostri politici continuano a rassicurarci: la crisi sta passando, anzi no, c'è ancora ma dovremmo lasciarcela alle spalle entro quest'anno; forse entro il prossimo. Nel nostro mondo capitalista (o postcapitalista, io non ho i fondamentali di economia, chi di voi ne sa di più ce lo può spiegare) si punta a far girare il denaro: dobbiamo consumare, quindi spendere e il denaro speso si rimetterà in circolo e servirà per nuova produzione e via così.
Ora in Italia, penso io da ignorante in materia, in questi due anni da quando ci hanno detto che c'era la crisi, la cassa integrazione (cioé noi con le nostre tasse) ha pagato gli stipendi delle famiglie rimaste senza reddito per i licenziamenti. E adesso che la suddetta cassa è finita perché non ci sono quasi più soldi, che le assunzioni non riprendono, anzi la disoccupazione aumenta, quali soldi gireranno? Come si nutrirà il mostro dell'economia chiamato 'consumismo', inteso sia in senso economico che etico?
Proprio questa mattina ho letto che il ministro Frattini ha dichiarato che l'Italia si impegnerà a far capire all'Europa che la Cina è un partner politico oltre che economico.
E' vero che ormai la Cina ci ha invasi economicamente comprando una buona fetta dei negozi italiani che hanno chiuso per la crisi; è vero che, sempre la Cina, è in pol position per l'acquisto dei cosiddetti bond europei che dovrebbero essere emessi a breve per coprire i debiti degli stati membri, il che significa che poi noi dovremo ridare a loro questi soldi con gli interessi (insomma ci terranno per le palle). E già questo significa che il loro modello economico, un capitalismo - marxista se mi passate il termine sintetico da ignorante, ha vinto sul nostro: non solo non ha subito le spallate della crisi mondiale, ma anzi la loro economia ha un incremento annuo di oltre il 10%.
Ma dire che la Cina è partner anche 'politico' significa affermare che per salvarci dalla cacca dovremo diventare anche noi capitalisti-marxisti? Che in fondo Mao Tse Tung c'aveva azzeccato? che il vecchio slogan gridato in mille cortei quando io avevo 17-18 anni: "Lenin, Stalin, Mao-Tse-Tung" diventerà il nuovo motto della Borsa di Milano? se così facendo non affonderemo mi può anche stare bene (in fondo in fondo il comunista che è in me sta gongolando).
Il dubbio mi viene quando mi torna alla mente la querelle dello stesso nostro ministro riguardo l'assegnazione del Nobel per la pace 2010.
E allora mi chiedo (retoricamente): basta qualche Renmimbi Yuan (la moneta cinese) per ridare la dignità a qualche migliaio di prigionieri politici? o ci stiamo preparando a farli anche a casa nostra che tanto il fine giustifica i mezzi? Spero solo che la rivolta della fame non scoppi anche in Italia: ho paura che diventeremo tutti prigionieri politici. Abbiamo bisogno di vera politica, non di politichese. Abbiamo bisogno di verità, non di veline Ruby-conde. Abbiamo bisogno di impegno, non di panem et circenses.
Qualcuno sa se il Che è in sospensione criogenica?
Per finire.
TIM

martedì 25 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 13

Ho ricevuto da T.

25 gennaio 2016



Sono riuscito a trovare questa postazione funzionante in un Internet Point e a raccontare quello che è accaduto. Perché non siamo più nella nostra vecchia casa.
Peccato, ci trovavamo davvero bene, era un mondo nel mondo, un rifugio sicuro nella foresta dell’apocalisse.
Finché qualche giorno fa la voce di Carlo mi chiama.
“Theo, c’è un rumore di sotto.”
Carlo entra in cucina, dove sto lavando qualcosa approfittando di un momento in cui l’acqua è corrente.
“Che rumore?” chiedo senza girarmi, continuando a sciacquare le stoviglie.
“C’è qualcuno che batte contro la porta o le finestre, non so.”
Lascio quello che sto facendo, chiudo l’acqua e mi volto asciugandomi le mani con un canovaccio.
“E’ giù, a pianterreno. Ho paura.”
Esco dalla cucina e mi affaccio sulle scale, cercando di capire cosa sta succedendo.
In effetti si sentono rumori di colpi battuti contro le assi che sigillano le entrate. Purtroppo non sono botte date a mani nude; sembrano più colpi d’ascia.
Corro verso il salone. Da quella finestra si riesce a vedere il portone e le finestre del pianterreno.
Carlo mi segue in punte di piedi.
Sì, sono proprio loro, cinque – sei infetti, uomini e donne. C’è anche un bambino che sembra avere l’età di Carlo o giù di lì.
Ci sono due possibilità: affrontare il gruppo con quello che abbiamo (praticamente niente, sono troppi per usare solo una spranga) o uscire dalla finestrella sul retro e fuggire.
Sicuramente la seconda.
“Dobbiamo scappare, vero?” sento la voce di Carlo dalla porta.
“Penso proprio di sì. Dobbiamo trovare subito un piano.”
Cerco di far andare la mente il più velocemente possibile. Le assi non reggeranno ancora per molto, perciò la prima cosa da fare è uscire dal rifugio che si sta trasformando in trappola.
Avrei dovuto pensare per tempo a questo momento, non crogiolarmi sugli allori e vivere di rendita.
“Andiamo, scendiamo in cantina e scappiamo.”
“Ma qui non torniamo più?” mi chiede e non c’è bisogno che mi spieghi la domanda.
“Forse no, è difficile.”
E’ molto difficile, vorrei dirgli. Dobbiamo ricominciare da qualche altra parte, dovrei dirgli. Ma ho imparato che ai bambini è sempre meglio non dire la verità, almeno non tutta.
“Magari qualche giorno che vediamo che non c’è nessuno possiamo tornare e prendere le cose importanti che dobbiamo lasciare” dice.
“Si, possiamo fare così, ma ora dobbiamo scappare.”
Non c’è tempo di prendere niente con noi, assolutamente niente se non la nostra pelle.
Ormai la porta ha quasi ceduto quando ci passiamo davanti per scendere l’ultima rampa di scale verso la cantina.
Il rumore e le urla dei Gialli mi entrano nelle orecchie ed è quasi come un richiamo a restare, a vedere cosa succede, ad assistere alla distruzione di quest’ultimo mondo che ci siamo costruiti con amore e speranza.
Mentre sgattaioliamo fuori dalla cantina sento la porta cedere e un’orda di esseri immondi invadere la casa urlando di gioia, fame, rabbia, animalità.
Il castello è crollato, il re e il principe ora sono di nuovo alla ricerca.
Ma non è finita così facilmente. Mentre sono appena calato dalla finestrella e sto per far scendere Carlo, un rumore alla mia destra mi fa girare.
Un essere, che doveva aver avuto una cinquantina d’anni quando il tempo si misurava ancora in feste di compleanno con regali più o meno inutili, chiude la via di fuga da quella parte del vialetto.
Vedo con la coda dell’occhio Carlo che si butta giù sull’acciottolato e resta immobile, terrorizzato.
“Scappa!” gli urlo “Nasconditi da qualche parte lontano da qui!”
“E tu?”
“Io adesso arrivo, ti troverò non ti preoccupare. Lascia i disegni di Dranwall!”
Sembra rassicurato dall’ultima cosa che gli dico. Siamo nel suo mondo adesso.
Fugge.
Il Giallo è da solo e speriamo che lo resti.
Non ho niente a portata di mano e lui ora mi sta arrivando addosso urlando.
Cinque metri e sono morto.
Tre metri.
Sento l’odore di carne andata a male e riesco a vedere che gli manca un occhio.
Povero Carlo, si dovrà cercare un altro eroe in cui confidare.
Non sento il colpo, ma vedo il Giallo crollare ai miei piedi, con una mano che mi sfiora la scarpa sinistra.
Il suo cervello spappolato è segno che qualcuno ha sparato, qualcuno che deve avere un’ottima mira; mi giro ma non riesco a capire dove sia.
Poi un altro rumore, questa volta da dietro la siepe che nasconde la strada.
Questa volta devo essere reattivo, stare all’erta e scappare da qualche parte. Ma verso dove?
Poi mi rendo conto che non c’è bisogno di scappare, almeno per il momento.
E’ lo cecchino che spunta dal verde del cespuglio.
Un ragazzo sulla trentina, con un fucile in mano. Sembra a posto, è pulito, vestito normalmente, non gli manca nessuna parte del corpo. E poi mi ha appena salvato la vita.
“Bisogna stare attenti, molto attenti” mi dice.
Lo guardo e gli dico:
“Grazie” ma ancora non mi rendo bene conto di cosa sia successo.
“Sono bestie e vanno abbattute come tali. Non ti preoccupare, l’avrei fatto per chiunque.”
“Ce ne sono altri in casa, abbiamo fatto appena in tempo a scappare.”
“Chi c’è con te?” mi chiede guardandosi intorno.
“Carlo, un bambino.”
“E’ tuo figlio?”
“No, era da solo per strada e ora viviamo insieme.”
“Ok, ora andiamo via da qui. Anche con questo coso” mi dice mostrandomi a due mani il fucile “è sempre pericoloso.”
Ci allontaniamo quasi di corsa dal giardino e ci infiliamo in un furgone parcheggiato lì vicino.
All’interno ci sono due sedie e un tavolo pieghevoli e in un angolo un sacco a pelo arrotolato. C’è puzzo di chiuso e sporcizia.
E’ la sua casa, penso.
Lui me lo conferma.
“Devo andare a cercare il bambino” gli dico e gli spiego come fare a trovarlo.
Sorride della cosa dei disegni.
“Ingegnoso il pargolo!”
“Sì, è molto intelligente.”
Gli dico che, magari, appena trovato Carlo, potremmo aggregarci a lui in attesa di trovare un’altra casa.
“Niente da fare, amico. Mi dispiace, niente di personale, ma un bambino piccolo e un uomo che davanti al pericolo non riesce neanche a muovere i piedi per scappare, sono solo un peso. E un peso come questo è solo un passo verso la morte. Io ho ancora molti progetti per la mia vita.”
Si alza e va ad aprire il portellone. Lo tiene aperto e mi fa cenno di uscire.
“Buona fortuna, fratello. Felice d’averti conosciuto.”
Scendo e mi giro a salutarlo e ringraziarlo ancora.
Ma lui ha già chiuso.
Il mondo è cambiato, molto cambiato, e non in meglio.
Mi devo mettere subito alla ricerca dei disegni e di Carlo.
Lo trovo in un negozio di abbigliamento poco distante, nascosto dietro un manichino sopravvissuto in piedi chissà come.
Mi corre incontro e si ferma a guardarmi di sotto in su.
Vorrebbe chiedermi: e ora che si fa? lo so, ma non lo fa.
L’adulto sono io, sono io che devo prendere le decisioni, dare le notizie positive.
“Dobbiamo andare, trovare un posto almeno per passare la notte” gli dico col tono più convinto che ho.
“Va bene, tanto mi ricordo dove si trova la casa che abbiamo lasciato.”
E andiamo.


T.

lunedì 24 gennaio 2011

Icaro, Cecilia e ... le diavolerie moderne

Devo ammettere che quando Giulietta confessa a Romeo di avere un altro, ci sono rimasto male. Mi direte che le cose non sono andate così e che ... Ma io non sto parlando di Sheakspere. Io parlo dei due passerotti di Icaro e Cecilia.
Si, perché dopo aver rimpinzato per bene il mio nuovo e fiammante Cybook Opus nero di ebbok, non potevo che cominciare col libro di Glauco Silvestri. Non vi dirò altro della storia perché è troppo bella per essere rovinata da un mio riassunto, perciò vi invito ad andarla a leggere subito, dando un'occhiata approfondita a tutti gli interessanti e fascinosi lavori del blogger bolognese, che spaziano dalla narrativa alla poesia al disegno alle canzoni.
Icaro e Cecilia è una storia bella, piena dei sentimenti 'di una volta' ma che non farebbero male neanche oggi, ed è scritta bene come Glauco sa fare e fa. E' una storia che coinvolge e vi scoprirete a fare il tifo per quei quattro passerotti (con l'aggiunta di un pappagallo) in lotta contro i tipo cattivi.
Glauco riesce a mettere insieme una favola d'altri tempi, dove i sentimenti e le storie degli uccelli potrebbero essere tranquillamente quelle degli umani. Gli stessi nomi degli animaletti sono tipicamente umani, perché diventano maschera per raccontare una storia di amori, odio, guerra, tradimento; realtà spesso crude ma trattate con una delicatezza tale da poter essere raccontate ad un bambino senza offendere la sua innocenza.
Sono belli anche i disegni (rigorosamente fatti in casa sul telefonino, come racconta lui stesso da qualche parte), semplici ma non semplicistici. Peccato che sul mio ereader siano un po' troppo piccoli e non sono ben visibili.
E così arriviamo alla seconda parte di questo post, in cui volevo darvi le sensazioni di utilizzo del Cybook così tanto strombazzato in questi giorni. Non essendo un tecnico né un esperto, quelle che scrivo sono le mie sensazioni come sempre 'di pancia', da semplice fruitore. Leggere non vi stanca gli occhi, anche con la luce artificiale, forse grazie al sistema e-ink, perché sembra di avere davanti una pagina di carta. Il menù è subito a portata di mano e velocissimo da imparare (io che sono una frana ci ho messo tre minuti!). Solo la risposta al clik dei tastini è leggermente ritardata, quindi state attenti quando fate la scelta nel menù perché potreste ritrovarvi col premere la selezione sbagliata, come ho fatto io all'inizio quando mi sono ritrovato ad aver impostato la lingua olandese invece che l'italiano. Ma il dispositivo è talmente facile da usare che ho risolto in un attimo. Lo schermo è in bianco e nero, per cui non so come si faranno a vedere le immagini, visto che l'ereader legge anche i formati per fotografie; io comunque non ne ho ancora caricate. Vi farò sapere. L'acceleratore (quel sistema che consente di avere l'orientamento di lettura a secondo di come si posiziona il lettore: orizzontale - verticale) è velocissimo e non sbaglia un colpo. Qualche problema c'è con il formato PDF che, se non impostato dall'autore del file, fa 'uscire fuori' dalla pagina i margini. Con Calibre è però facilissimo convertire i file in epub e lì andate sul sicuro. Ancora un piccolo consiglio: tra i font disponibili utilizzate il wenquanyi zen hei (l'utlimo nella lista dei caratteri): è il più leggibile e il più stretto, per cui ci va più testo nella pagina.
A presto. (devo rispondere ad Ariano che mi ha 'insignito' dell Sunshine Award! indegnamente ringrazio e mi attivoal più presto).
TIM

sabato 22 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 12

E' il sopravvissuto.


22 gennaio 2016



E’ una bella casa quella in cui stiamo, siamo fortunati. Acqua e corrente elettrica sono abbastanza costanti. Di cibo abbiamo trovato piena la dispensa e se non sprechiamo potremo andare bene anche parecchie settimane senza bisogno di approvvigionarci.
A volte sembra una situazione di normalità, se non fosse perché dobbiamo stare praticamente al buio o quasi.
Finora è filato tutto liscio, tranne quell’esperienza dell’altro giorno. Il cadavere del pistolero solitario è rimasto in giardino un paio di giorni; poi, quando avevo pensato di seppellirlo più che altro per evitare esalazioni maleodoranti e pericolose dovute alla decomposizione, un mattino non l’abbiamo più trovato. Chiunque sia stato ci ha fatto un gran favore, per cui non mi interessa sapere di più.
Mi preoccupo soprattutto per Carlo, cercando in lui segnali di cedimento, campanelli d’allarme che indichino che la sua testolina prenda una brutta piega.
Ma lui sembra tranquillo, in certi momenti quasi contento.
Ha i suoi fumetti, che però penso abbia già finito di leggere tutti e mi aspetto che da un momento all’altro mi chieda di andarne a prendere altri in edicola.
Chissà se mi sto comportando con lui nella giusta maniera, come un adulto deve fare con un bambino, anzi come un padre deve fare con un figlio. In fondo io sono per lui tutto il suo mondo e lui per me tutto il mio mondo. Ci possiamo, ci dobbiamo, fidare e affidare l’uno all’altro, sennò sarebbe finita.
Non ho mai avuto né, sinceramente, voluto figli e ora questa convivenza forzata con Carlo mi ha fatto scoprire pieno di premure per lui, di senso di protezione, anche di amore, perché no. E mi chiedo se questi sentimenti bastino per descrivere il senso di paternità. Penso di no, perché ci deve essere di più, ci deve essere tutto quello che viene spontaneo quando lo vedi nascere, e poi crescere, e poi lo segui nei primi ragionamenti, quando devi affrontare i suoi piccoli e grandi capricci.
Questo non te lo insegna nessun libro. L’unico maestro che hai è l’amore che provi per lui.
Forse.
Non lo so, non posso saperlo.
A tutto questo penso mentre, dalla porta della sua stanza, lo guardo disegnare qualcosa su un blocco che si è fatto da solo, utilizzando fogli riciclati trovati in cantina.
Mi avvicino senza far rumore e lo osservo da sopra le spalle.
E’ molto bravo. Sta disegnando dei fumetti con personaggi che sembrano usciti da una saga vichinga (forse è Dranwall?). Il tratto è un po’ impreciso, non molto sicuro, ma ha dieci anni nemmeno, e io non sarei capace di avvicinarmi neanche lontanamente a quello che sta facendo lui. Capisco che c’è un uomo muscoloso che ha in mano qualcosa che sembra una mazza ferrata e sta guardando l’orizzonte da una collina. All’improvviso spunta alle sue spalle qualcuno coi vestiti a brandelli e con una faccia animalesca; sembra un lupo con lunghe zanne e mani pelose. Poi l’uomo muscoloso si volge di scatto e alza la mazza. In una terza pagina i due sono a terra e stanno combattendo. Non ci vuole molto a capire che l’animale rappresenta un infetto e l’altro è l’eroe della storia.
Sono queste le volte in cui faccio fatica a pensare che fuori qualcuno ha fatto scoppiare l’apocalisse e che potremo anche non risvegliarci più domattina.
Non lo voglio disturbare e me ne vado cercando di non far rumore. Chissà se riuscirà un giorno a disegnare le sue strisce e a vederle pubblicate su qualche giornale. Tutto dipenderà da come andrà a finire la lotta tra il lupo e l’eroe: chi vincerà imporrà il suo mondo e solo allora potremo sapere se fumetti, giornali, libri avranno ancora un senso o sarà solo vecchiume utile solo a rinfocolare un camino o una stufa.
Oggi non c’è niente di particolare in programma, tranne il solito giro di perlustrazione per controllare che tutte le porte e le finestre siano chiuse per bene. Andrò io da solo, non voglio disturbare Carlo impegnato nella sua lotta personale contro i cattivi.
Poi preparerò qualcosa per la cena.


T.

venerdì 21 gennaio 2011

Chiuso per ... lavori

Ciao, gente! E' qualche giorno che non ci sentiamo, ma non abbiate timore, sono ancora vivo. Vivo e soprattutto contento. E' che sono stato impegnato ieri e oggi con un'acquisto. Finalmente sono entrato a far parte dell'eletta schiera dei felici possessori di un ereader. Si, il Cybook Opus nero fiammante che vedete nella foto a margine è mio! E così ieri sono stato a Torino per acquistarlo alla FNAC (si può fare pubblicità così esplicitamente?) e oggi sono preso dal caricamento dei libri. La cosa è un po' lunga perché su suggerimento del prof. Glauco sto traducendo i file da PDF in EPUB con Calibre, visto che così sono più leggibili. E a proposito del suddetto professore, lo devo pubblicamente rngraziare per l'assistenza tecnica che mi ha dato in questi ultimi giorni di scelta e l'acquisto; senza il suo aiuto mi sarei imbarcato nella presa di qualche ciofeca cinese o chissà che. Questo gli è costato una valanga di mail da parte mia a ogni ora del giorno e della notte, a cui ha risposto senpre con velocità e precisione. Quello che è giusto è giusto e va detto. Ho il vago sentore da oggi in poi metterà il mio indirizzo tra gli spam, ma ormai l'operazione è compiuta.
E così ho latitato un po' sul blog, anche nei commenti agli amici, ma per domani spero di darvi la dodicesima puntata del Survival Blog che, almeno per me, sta arrivando alla conclusione.
Ed ora musica!
TIM

mercoledì 19 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 11

Vi trasmetto la pagina ricevuta qualche minuto fa.


19 gennaio 2016



Se non ci fosse stato Carlo, oggi non avrei potuto scrivere queste pagine.
Il computer che abbiamo trovato in questa casa aveva sempre funzionato fino a due giorni fa. Poi d’un tratto il buio: nessun collegamento, niente rete.
Cado nel panico perché io non ho la minima competenza in queste cose, non saprei proprio da che parte cominciare.
“Maledizione” mi sfugge ad alta voce, accompagnato dallo struscio fragoroso della sedia che tiro via di malagrazia.
Resto ancora fermo a guardare quella carcassa ormai inutilizzabile e impreco nuovamente.
Mi giro per uscire e scopro i capelli mossi di Carlo che spuntano dalla porta.
E la prima volta che mi vede arrabbiato, forse per questo non ha il coraggio di entrare.
Sento il suo disagio e mi calmo. Quegli occhi spaventati mi fanno rendere conto all’improvviso che si tratta di una cosa secondaria; è solo un computer, in fondo fino a cinquant’anni fa il mondo viveva senza e si stava bene lo stesso.
“Non è niente” lo rassicuro “è solo il computer che non va più e non ci so mettere mano.”
“Ci posso provare io?”
“Sai come si fa?” mi stupisco.
“Beh, ci provo. Sai, a scuola studiamo sui computer. E poi il mio papà di lavoro li aggiusta e a me piace guardare come fa. Poi lui mi ha insegnato tante cose mentre lavora e io ho imparato. Forse riesco a fare qualcosa anche adesso..”
“Penso si sia disconnesso, perché non riesco a entrare in internet.”
Carlo si avvicina alla macchina e cerca qualcosa. Trova un filo e lo segue a ritroso fino ad uno spinotto. Lo scollega, lo guarda e lo ricollega.
“Prova” mi dice.
Niente.
“Allora dobbiamo guardare dentro. Altrimenti vuol dire che …”
Rumore di spari e qualche urlo. Corriamo alla finestra e ci mettiamo a guardare dietro le persiane. I due lati della strada sono liberi, forse c’è qualcuno nelle traverse. Aspettiamo un paio di minuti e c’è silenzio; torniamo al computer.
Carlo spegne e riaccende e comincia ad aprire e chiudere finestre, file e altre cose che non so cosa siano, nonostante lui mi spieghi tutto quello che sta facendo passo passo. Annuisco solo per farlo sentire bravo (e lo è, per la miseria!). Mi spiega qualcosa che comunque non capisco e alla fine sembra ottimista.
“Ora proviamo. Se non si collega adesso, vuol dire che proprio non c’è rete.”
“E che vuol dire?” provo a chiedere, ma ho paura di sapere la risposta.
Carlo mi risponde col suo solito gesto, quello che fa con tutte e due le mani: una croce, significa che è finita.
Punta il mouse sull’icona di internet e si sente il clic e come per incanto compare la facciata di Google.
“Ecco, ce l’abbiamo fatta” dice in tono solenne, ma si vede che vorrebbe esultare saltando per tutta la stanza.
“Bravissimo!” gli dico entusiasta. “Sei un mago!”
“Beh, veramente ci ho messo un po’ a capire che …”
Ancora spari e urla, ma questa volta vengono da sotto, da dentro il nostro giardino.
Carlo sta per andare alla finestra, ma lo fermo, è troppo pericoloso. E’ vero che abbiamo inchiodato tutte le porte e le finestre del pianterreno (noi usciamo da una finestrella che sbuca dalla cantina) e che quelle del primo piano sono chiuse, ma non si sa mai che qualche colpo possa arrivare accidentalmente fin lassù.
Non riesco a capire cosa sta succedendo. Sicuramente c’è qualcuno che sta sparando a qualcun altro, ma non ho chiaro chi insegue chi, chi è l’eventuale infetto e chi il sano.
Carlo ha paura e si vede. Lo prendo per le spalle e lui viene a rifugiarsi contro di me. E’ la prima volta che fa un gesto così vicino all’intimità da quando stiamo insieme. Lo sento tremare, ma non apre bocca, non so se per paura o per vergogna.
Soprattutto non piange, non l’ho mai sentito piangere finora.
Gli accarezzo i capelli e lo stringo a me.
Giù si sentono ancora rumori, qualche urlo, ma niente più spari.
“Aspetta qui, vicino la porta” gli dico.
Mi avvicino lateralmente alla finestra e cerco di sbirciare tra le liste della persiana chiusa.
Non ho una visuale completa, ma vedo qualcuno correre, fermarsi all’improvviso e girarsi. E’ un uomo di una trentina d’anni e dall’abbigliamento pulito mi sembra un sano; riesco a scorgere anche la mano che impugna una pistola. L’arma deve essere scarica o inceppata, perché non la punta da nessuna parte. Per quel poco del suo volto che riesco a vedere sembra terrorizzato e continua a girarsi di scatto, come se si aspettasse di essere aggredito da un momento all’altro.
Ed è un attimo e tre uomini lo circondano, non ho visti usciti da dove. L’uomo urla.
Mi volto verso Carlo che ha la faccia verso il muro e sta mettendosi le mani sulle orecchie.
“Non ti preoccupare” gli dico “non sanno che siamo qui” o almeno spero, aggiungo dentro di me.
Torno a guardare giù e ora vedo solo le gambe dell’uomo e un pezzo di tronco fino alla vita; ma dai sussulti del suo corpo e dai movimenti degli altri tre, capisco che per lui non c’è più niente da fare.
Mi giro verso il centro della stanza e aspetto che Carlo si volti a guardarmi.
"Hanno finito?” mi chiede.
Dalla domanda capisco che ha intuito quello che è successo e, soprattutto, che ha assistito ad altre scene come questa.
“E’ tutto a posto. Però è meglio che per un po’ non facciamo rumore e stiamo lontano dalle finestre.
“E l’uscita dalla cantina?”
Ha ragione. Potrebbero fare il giro della casa e trovare la finestrella non protetta sul retro.
Ma forse, penso, quando si saranno saziati dello sfortunato pistolero se ne andranno senza cercare altro.
Per questa volta ho avuto ragione e siamo ancora qui.


T.

martedì 18 gennaio 2011

Le sigle della morte

Volevo buttarmi anch'io stamattina in un pistolotto che partiva dalle decameronesche avventure del cavaliere mascherato (ma non troppo). Poi ho visto il pezzo di Von Girola e ho detto: è tutto lì, non c'è altro da aggiungere. Così sono tornato all'idea iniziale: dopo i colori della vita ... le sigle della morte.
Allora. Provate a prendere un qualsiasi prodotto alimentare che avete in casa, uno di quelli che consumate quotidianamente o anche spesso, andate a guardare gli ingredienti (normalmente più sono dannosi alla salute e più li scrivono in piccolo) e poi cercate, nelle tabelle in questo posto, a cosa corrispondono. Forse farete i salti sulla sedia, o sul divano, scoprendo che più di qualcuno è mortalmente dannoso per la vostra salute. Purtroppo nessuno ci insegna a leggere e capire queste cose, perché d'altra parte si può vedere il Grande Fratello anche se non si sa cos'è un E220 e soprattutto non si sa che usata come conservante l'anidride solforosa (appunto E220) è molto pericolosa. E poi, ora che c'è la serie sul palazzinaro di Arcore, cosa volete che interessi alla gente se ingurgitando una bella caramella di un bel colore rosso ottenuto, magari, con l'E123 finirà piano piano per intossicarsi o farsi venire un bel cancro? Oggi sono un po' più acido del solito, quindi mi fermo qui per non passare il limite (c'è già chi lo fa abbondantemente in altri campi! ecco, lo sapevo ci sono ricaduto!). Ma vi consiglio di guardare bene le etichette la prossima volta che vostro figlio frigna perché vuole quelle merendine che fanno vedere in Tv e che se le apri, dentro ci trovi il pupazzetto del transformer; col mostriciattolo potresti trovarci un bel cancro allo stomaco. E non è per niente divertente.
Se volete saperne qualcosa in più, questo posto mi è sembrato abbastanza pratico, semplice e chiaro. Se avete altro da suggerire fatevi sotto.
Ed ora rilassiamoci, ragazzi. C'è Oscar Peterson.
TIM
P.S.: sono troppo inc...to. Devo aggiungere qualcosa. Questo dovrebbe bastare.

lunedì 17 gennaio 2011

I colori della vita

VERDE: il colore della bandiera sotto cui milita quel dentista di Bergamo meglio noto come Roberto Calderoli, attuale 'ministro per la semplificazione'.
BLU: il colore preso dalle mozzarelle adulterate che qualche tempo fa invasero l'Italia.
ROSSO: il colore della rabbia di chi, aprendo la busta, ha trovato le mozzarelle blu e adesso scopre che, grazie al decreto taglia-leggi del dentista di cui sopra, chi ha attentato alla sua salute non è più punibile. Così come non è più punibile chi non ottempera a decine di ex-leggi a tutela della sana produzione alimentare.
Grazie ...
TIM

mercoledì 12 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 10

E' già qui un altro messaggio.


12 GENNAIO 2016

Non corriamo più ora, ma camminiamo velocemente. Quel tanto che basta per allontanarci dai Gialli e poter pensare a cosa fare adesso. A dove andare anzitutto. A un posto per riorganizzare le idee con tranquillità.
Il vecchio negozio forse. No. La mia cartoleria è troppo vicina all’ospedale, o a quello che ne resta: una struttura così grande, e soprattutto piena di cadaveri (cibo ottimo per gli infetti), sarà sicuramente meta di gite organizzate per quei cosi. E poi per entrare in negozio dovrei tirare su le serrande, e capirebbero subito che c’è qualcuno. Entrare dalla porta sul retro, quella che da nel condominio, non se ne parla nemmeno. Se qualcuno ci dovesse scoprire, anche per caso, saremo bloccati, come topi in trappola, senza un buco da cui scappare.“Non ti preoccupare. Gesù ci salverà. Manderà i nostri angeli custodi e ci porteranno in salvo.”
Anche questa volta Carlo ha la soluzione.
Dio ci salverà, anzi Gesù ci salverà. Non so se lui conosce la differenza tra Dio e Gesù. Ma spero non lo chieda a me.
Da quel che ricordo, ogni volta che il Dio del catechismo ha voluto salvare il popolo, l’ha distrutto. Ha distrutto il vecchio, ha abbattuto la superbia dei governanti corrotti, la protervia dei giudici ingiusti, la falsità dei suoi sacerdoti diventati peccatori.
Come si chiama quel profeta, quello famoso? Isaia. Sì, proprio Isaia. Dice che Dio avrebbe fatto nascere un virgulto dalla vecchia pianta, come segno di amore verso il suo popolo.
“Dobbiamo solo fermarci, metterci con le mani giunte, chiudere gli occhi e pregare Gesù che ci mandi gli angeli. Così dice sempre la mamma. Come si chiama il tuo angelo custode?”
Forse una volta avevo anch’io un angelo custode. Poi visto che non lo chiamavo più se ne deve essere andato. Da qualche parte. Da qualcun altro che lo voleva. Forse si sentiva solo a stare con me.
“Si chiama come me, Theo. E il tuo?”
“Che domande, si chiama Carlo!”
E allora perché lo hai chiesto a me? Vorrei domandargli. Ma i bambini non seguono una logica nelle cose, O forse non è la nostra logica, quella degli adulti, che evidentemente è diversa dalla loro. Così come è diverso il loro Dio dal nostro. Perché non so se il mio Dio verrà a salvarmi.
Se è vero che il mio Dio lo farà, sicuramente dovrà fare una mossa, mandare un segno, prendere l’iniziativa.
Forse è Carlo il segno, il virgulto che verrà, anzi che è già qui.
Il Dio del catechismo vuole essere invocato, vuole che io dica: “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. Ma perché? Lui non sa che cosa sta succedendo? Non sa che sono in pericolo?
Il Dio del catechismo vuole che io riconosca che solo lui può fare qualcosa. Allora l’iniziativa deve essere mia? Funziona che io chiedo e lui risponde? E se fosse come con Mosè, che ha fatto quello che il suo Dio gli ha detto, ha condotto per quarant’anni quei quattro esiliati sporchi e mezzi nudi nel deserto e alla fine non è entrato nella terra promessa? Il suo Dio gliel’ha fatta vedere da lontano e poi gliel’ha tolta di mano per darla ad altri. Come in un coito interrotto epocale. Dovrò forse io condurre il suo popolo, il suo virgulto, ai confini della terra promessa e poi morire?
Allora sono io il vecchio, il governatore superbo? Il giudice ingiusto? Il sacerdote peccatore?
Il creatore di mostri genetici? L’avvelenatore di aria e d’acqua? L’usurpatore della libertà di popoli deboli e indifesi, di donne, bambini, emarginati?
Ma il Dio del catechismo esiste? O è un Dio diverso? O è tutta un’invenzione di preti e suore per farci sentire in colpa e sfruttare la nostra debolezza quando ci mettono nell’angolo con i loro ricatti morali?
“Allora dove andiamo ora?” vuol sapere Carlo.
Siamo ancora troppo vicini a casa per rallentare la marcia. E non ho idea di cosa fare. Non mi viene in mente nessun posto più o meno sicuro. Forse dovrebbe essere Carlo a dirmi qualcosa, lui è amico di Dranwall e sa sempre cosa fare.
“Andiamo a trovare i tuoi amici del disegno sul muro?” butto lì.
Sembra rianimarsi. Anche se ha dovuto abbandonare i suoi fumetti.
“Sì, Sì, bravo, andiamo. Se prendiamo da dietro il supermarket torniamo dove eravamo prima e possiamo seguire i disegni.”
Facciamo come dice lui, troviamo altre case delineate, con altri piedi, ora girati verso destra e ora verso sinistra. E alla fine arriviamo davanti ad una casa a un piano con un grosso e rozzo disegno fatto sul portone: due cose che somigliano a due ossa incrociate; praticamente la bandiera dei pirati.
“E’ qui?” chiedo non so se con paura o speranza.
“Si, il segno è questo.”
Resta fermo in mezzo alla strada ad osservare la casa, come se volesse sbirciare dietro i muri e capire se c’è davvero qualcuno che ci aspetta.
Mi chiedo se tutta questa messa in scena dei disegni non potrebbe essere diventato anche un segnale per qualche infetto un po’ più sveglio degli altri, magari del tipo nuovo di cui parlava qualche blogger superstite. E se entriamo ed è una trappola?
“Cosa facciamo, bussiamo al campanello?” i bambini non sono paranoici, vivono però di un sano ottimismo che rasenta l’incoscienza.
Devo fare l’adulto io, ora.
“No. Forse è meglio dare prima un’occhiata da fuori e poi decidere cosa fare.”
“Sì, hai ragione.” Probabilmente il suo angelo custode gli ha suggerito di fidarsi di me.
Non mi sembra che ci sia qualcuno in casa, né buoni né cattivi. Non si sentono rumori, ma questo non vuol dire che non ci possa essere qualche ospite del prione coreano. M’invento qualcosa.
“Ci possiamo mettere dall’altra parte della strada e tiriamo qualche pietra alle finestre. Se c’è qualcuno sicuramente si farà vedere. E se è qualche uomo cattivo abbiamo tutto il tempo di scappare.”
Passiamo all’azione e Carlo sembra divertirsi a centrare gli angoli delle finestre. Ma non si affaccia nessuno. Così decidiamo di entrare. Il portone è accostato. Gli dico di aspettare giù mentre io salgo al piano di sopra. Cerco di fare più rumore possibile per non avere sorprese una volta in cima alle scale.
Carlo mi chiama, per sentire che ci sono ancora, che non l’ho abbandonato.
Alla fine, come dicevano nei telefilm le squadre d’assalto, è tutto “libero”. Faccio salire Carlo che corre a guardare in tutte le stanze.
Sembra deluso, forse pensa di aver fatto brutta figura con la sua teoria dei disegni che non ha portato a nulla.
“Probabilmente il tuo amico è andato via o è solo uscito e tornerà presto.” Gli dico per non fargli pesare la cosa.
“Ma ti assicuro che è così. Noi ci facciamo i disegni per strada!”
Ci credo, lo rassicuro. Il fatto che non ci sia nessuno ora non vuol dire che prima non ci fosse qualcuno.
“Anche noi abbiamo dovuto abbandonare la casa, eppure stamattina eravamo ancora là.”
Si rassicura. La sua autostima riprende a correre: mi ha dimostrato di essere utile anche lui alla compagnia.
Il lato positivo della cosa è che adesso abbiamo un tetto e soprattutto una marea di vettovaglie. Non so se il padrone di casa è solo a caccia e tornerà; o se è diventato preda di qualche altro cacciatore; in quest'ultimo caso questo può diventare sicuramente il nostro rifugio per un buon periodo di tempo.
E Carlo ha trovato uno scaffale ricolmo di fumetti, mi dice dall'altra stanza. E ci devono essere anche quelli di Dranwall, lo capisco dall’”hiuhu” che lancia all'improvviso.

T.

lunedì 10 gennaio 2011

Cronache da un altro modo 9

E' arrivata questa pagina del diario di Theo il sopravvissuto.

10 GENNAIO 2016

Dranwall naturalmente non era in edicola, quella da cui avevo preso il giornale e dove poi avevo avuto il mio scontro diretto con un Giallo. Il suo cadavere era ancora lì; gli mancava un braccio, forse un cane o un altro infetto. Carlo ha camminato sempre perfettamente al centro della strada, come gli avevo detto e anche se non dava a vederlo cercava sempre di guardare dritto davanti a sé, evitando di mettere gli occhi sui morti che sorpassavamo. Quando io sono entrato nel negozio dei giornali, mi ha seguito come un cagnolino ed è rimasto a guardare fuori dalla porta per evitare brutte esperienze. Questo l’ha deciso lui. Poi, quando gli ho detto che il suo mensile non c’era, si è voltato verso l’interno ha dato un’occhiata veloce e mi ha detto:
“Ok, andiamo. Torniamo la prossima volta.”
Poi mi ha guardato con aria dubbiosa e interrogativa:
“Posso prendere qualche giornalino?”
Così ha riempito una delle buste che avevamo portato per la spesa di fascicoli vari, colorati oltre ogni misura e dai titoli più improbabili. Quindi mi ha ripreso la mano e siamo usciti.
Il market che era la nostra meta non aveva molto da offrire, chissà da quanto tempo era stato saccheggiato alla grande. C’era solo ancora qualche scatoletta di verdure in umido e un paio di bustine di zucchero cadute da qualche confezione multipla.
“E ora dove andiamo?”
Carlo rimane un attimo incerto, poi mi risponde:
“Forse conosco io un posto. Se sai come fare ad entrare, l’ultima volta che l’ho visto era ancora chiuso. Perciò forse non sono entrati a fare la spesa. E’ qui vicino.”
Mi fa strada per pochi metri, fino alla prima traversa a sinistra. Di fronte ad un vecchio cinema, chiuso già da molto prima che scoppiasse la pandemia, c’è un negozio di alimenti biologici. Dalla vetrina si vedono ancora i prodotti sugli scaffali. Il problema è riuscire ad entrare, perché le porte sono chiuse a chiave. I proprietari probabilmente avevano chiuso al mattino e non più aperto al pomeriggio, per questo le serrande erano ancora alzate. Non abbiamo incontrato finora infetti, forse anche a causa del freddo intenso che li fa rintanare in qualche posto meno aperto, ma c’è sempre il pericolo che attratti dal fracasso che dovremmo fare per provare a rompere il vetro spuntino fuori. Ad un certo punto mi accorgo anche che il vetro è antiscasso, per cui questa opzione cade. Lo dico a Carlo, che ci rimane male, forse più perché io non sono riuscito a risolvere il problema che per il fatto che non siamo potuti entrare.
Bisognerà trovare un’altra soluzione. Poi Carlo esclama:
“Aspetta, guarda qua!” indicando un disegno sul muro.
“Cos’è?” gli chiedo.
“Non conosci i disegni di Dranwall?”.
Non li conosco.
“E’ vero, tu non leggi Dranwall. Allora” inizia col tono di chi è a conoscenza di qualcosa di importante “tutti i suoi amici quando non si possono incontrare, parlano tra loro con i disegni sui muri. Vedi questo? Una casa vuol dire che c’è qualcuno, un amico, che abita nelle vicinanze. Il piede verso sinistra vuol dire che bisogna andare da quella parte.”
Sta per incamminarsi, ma lo fermo.
“Non è meglio che per oggi facciamo la spesa e torniamo a casa e poi domani veniamo qua apposta per cercare questa persona?”
Mi guarda per qualche secondo, poi si gira verso sinistra e guarda la strada vuota.
“Va bene” dice alla fine. “Però dobbiamo cercare un posto dove andare per la spesa” il suo tono è quasi di rimprovero verso di me. “Da queste parti non mi sembra ci sia rimasto molto.”
Giriamo ancora un po’ e alla fine riusciamo a terminare la lista della spesa saccheggiando un po’ qua e un po’ là. Vedo ancora qualcosa che potrebbe servire a casa, ma per oggi siamo abbastanza carichi. E’ vero che Carlo ha i suoi fumetti, ma non glieli voglio far lasciare. Possiamo tornare domani a prendere il resto.
Cerco di rifare tutte le strade larghe, dove è più facile vedere se c’è qualcuno in agguato.
Per qualche strano fenomeno sono quasi contento; in fondo oggi abbiamo da mangiare, Carlo ha i suoi giornaletti e io ho preso in edicola un vecchio numero di Urania con una raccolta di racconti di Robert Silverberg che non ho mai letto: ‘Violare il cielo’. Ci vuole così poco per essere felici?
Arriviamo davanti al cancello che si apre sul giardino su cui si affaccia la mia casa. Prima che cominciasse l’apocalisse il cancello restava sempre aperto, perché a qualche deficiente andava bene così, era più comodo.
Adesso invece rimane chiuso e devo prendere la chiave in tasca.
Forse questo ci ha salvati.
“Guarda Theo!”
“Cosa?”
“Là, sopra il balcone! Non è casa tua quella?”
Poggio le buste a terra e guardo verso il mio terzo piano. Il balcone è pieno di uomini e donne, una decina, che fanno dentro e fuori casa; forse è l’odore di abitato, di carne calda, di normalità.
Rimango bloccato. Come hanno fatto ad entrare? Da dove vengono?
Solo un uomo che ci ha visto e indica verso di noi mi risveglia dal torpore della sorpresa e della paura.
E’ un attimo. Tutti gli altri infetti corrono dentro urlando. Di sicuro stanno arrivando.
“Scappiamo Carlo! Lascia tutto e scappiamo, quegli uomini ci vogliono fare del male!”
“E la spesa? La lasciamo qui?”
“Lascia stare la spesa, poi se ne parla!”
Lo prendo per mano e comincio a scappare. Carlo non vuole mollare la busta con i giornaletti che gli batte contro la gamba mentre corre.
“Lascia stare i fumetti, non possiamo scappare se abbiamo pesi!” gli urlo mentre corriamo alla cieca. “Poi torniamo a prenderli” gli dico per rassicurarlo.
Carlo lascia la busta, avendo però cura di gettarla sotto un’auto. Si volta un attimo a guardarla.
Anch’io mi giro a guardare. Ma la casa. Lì non possiamo più tornare.
Adesso comincia davvero per noi l’apocalisse.
Adesso devo davvero imparare a sopravvivere.


T.

venerdì 7 gennaio 2011

Una valigia, il capotreno e lo sbirro

(Attenzione: anche se potrebbe sembrarla, quella che segue non è una puntata del survival blog, ma la cronaca del mio rientro dalle vacanze di fine anno.)
Bolzano era bellissima. Bellissima nelle sue stradine linde, i suoi lungofiume bianchi di brina e puliti, i suoi negozi ordinati e profumati di buono, la sua civiltà quasi superba. Non una carta per terra neanche la mattina di capodanno dopo una notte in bianco per i festeggiamenti.
Poi, il due gennaio, si è consumata la tragedia. Andiamo, io e mia moglie, alla stazione a prendere il treno delle 14 e 30; coincidenza a Verona (già prenotata) sul Freccia Bianca delle 16 e 30: si può fare. Sul binario le prime avvisaglie: decine di persone in attesa. Noi pensiamo siano di altri treni che devono arrivare. Invece tutti aspettano come noi: il treno che viene dal Brennero e scende a Bologna. Arrivano solo quattro (dico quattro!) vagoni già pieni di vacanzieri che, come noi e gli altri, avevano terminato le loro vacanze natalizie e rientravano a casa. Riusciamo a salire a stento e riempiamo l'anticarrozza (l'ingresso insomma). Io e mia moglie ci infiliamo proprio di fronte al bagno, gli altri riempiono il piccolo vano fino ai gradini. Lei siede sulla valigia, io sto in piedi, perché non c'è lo spazio fisico per sedersi. Mi chiedo se non ci voglia semplicemente una persona di buon senso per capire che il 2 di gennaio quattri vagoni sono mooolto pochi per coprire la tratta Brennero-Bologna. Eppure la situazione è quella. Naturalmente ad ogni stazione successiva c'è lo stesso numero di persone in attesa dello stesso treno. E qui scene da far west: gente che inveisce contro i poveri viaggiatori che stanno sul predellino interno e che, ad ogni apertura di porte, si trovano in prima fila a spiegare che non c'è materialmente posto neanche per girarsi, figuriamoci per far entrare; gente che grida perché vede lo spazio vuoto nel corridoio: ed anche qui i malcapitati frontmen a chiarire che non si vede nessuno solo perché sono tutti accovacciati a terra. Ad un certo punto arriva il capotreno che cerca di calmare un ragazza in preda ad una crisi di nervi perché è il terzo treno che non può prendere perché non riesce a salire. Gli altri viaggiatori in attesa ne approfittano per accerchiare il ferroviere che si vede costretto a chiamare un poliziotto. A quel punto il pulotto decide che è meglio fare da scorta al capotreno fino alla fine del viaggio; perciò sale con lui alla ripartenza. Tutta questa situazione porta, tra l'altro, a perdere dai quindici ai venti minuti ad ogni fermata; risultato: arriviamo a Verona con due ore di ritardo e la coincidenza (nonché i soldi di biglietto e prenotazione) con la Freccia Bianca sono andati persi. Potrebbe essere finita qui, perché troviamo un comodissimo regionale per Milano, pressocché vuoto, che in due orette ci porta alla tappa successiva. Nella città di Carlo Porta, Gianni Biondillo e Alex Girola, ci aspetta l'altro regionale per Vercelli. Si tratta purtroppo della trappola di un Minuetto, e chi li conosce sa di che parlo: mezzi strettissimi, con sedili per lillipuziani e, soprattutto, senza lo spazio per depositare anche un misero trolley quarantottore. Risultato: abbiamo passato, io e i miei compagni di sventura, circa un'ora a spostare ad ogni fermata i nostri bagagli per far passare nel mini corridoio i nuovi venuti.
Ora, non so dove fossero in quelle ore il sig. Moretti, numero uno di FS (che ha percepito lo scorso anno uno stipendio di 680mila euro di fisso più 190mila euro di variabile) né il sig. Cipolletta, presidente di FS, (che ha guadagnato solo 500mila euro di fisso e 250mila di variabile). Se ci vuole gente che guadagna tanto per causare cose così, quanto dobbiamo pagare per avere persone che facciano funzionare un viaggio in treno? Sul Freccia Bianca avrei potuto collegarmi a internet, vedere un film, parlare con mio fratello a New York. Il problema è che non ci sono potuto neanche salire. Pur avendo pagato il biglietto. Col quale ho pagato anche lo stipendio dei signori di cui sopra. Che forse a quell'ora, domenica 2 gennaio, stavano chissa dove a godersi le meritate vacanze di Natale. E ai quali, probabilmente, non interessa niente della valigia, del capotreno e dello sbirro.
Consoliamoci.
TIM
(la foto è stata scattata sul treno col cellulare)

martedì 4 gennaio 2011

Cronache da un altro mondo 8

Ho ricevuto quest'altro messaggio.


04 gennaio 2016



“Dobbiamo andare a fare un po’ di spesa”.
Ho scoperto che Carlo è uno che prende l’iniziativa. Stamattina ha aperto gli sportelli della cucina e ha fatto la lista della roba che manca: essenzialmente biscotti, nutella, merendine.
L’ho sistemato nel letto a castello della camera degli ospiti e lui ha subito preso possesso del suo spazio: ha spostato la sedia vicino al letto e ci ha messo sopra la lampada (ancora la corrente va’ anche se a singhiozzo, ve l’avevo detto), ha razziato tutto il leggibile per bambini che ha trovato in casa e se l’è portato nel suo nuovo regno.
Probabilmente il vivere da solo per tanto tempo, quanto? poi, lo ha reso autonomo e decisionista. Ancora non ho capito come ha preso tutta questa situazione, perché sembra essere sempre vissuto così. Forse i bambini si adattano facilmente, o rimuovono velocemente le situazioni negative. Sarà che per loro è sempre tutto un gioco e ogni volta si gira pagina e vai, sarà che sta solo dandosi coraggio (la mamma gli ha detto che deve essere forte e non deve piangere) e prima o poi crollerà, non lo so. Non ho mai avuto figli, quindi non conosco le loro reazioni e ho paura di dover affrontare il momento in cui comincerà a chiedere dei genitori, a piangere perché ha paura. Ma sono cose di cui mio occuperò quando si presenteranno.
Chissà se l’umanità sarà tanto fortunata da potere un giorno avere studi psicologici sulla reazione dei bambini a quello che è successo.
Ora c’è da ‘fare la spesa’.
“Ma dobbiamo uscire per andare al negozio, e fuori potremmo incontrare quegli uomini cattivi.”
“Ma tu non hai paura di loro, l’altro giorno ne hai picchiato uno e l’hai fatto stare buono.”
Forse i mutanti delle sue storie a fumetti hanno sempre una soluzione per tutto e basta una parola magica per risolvere la cosa.
Anche in questo io non sono buono. Io sono cresciuto con Topolino. Mio padre non mi faceva leggere altro. Ricordo ancora oggi con vergogna (chissà poi perché dovrei provare questo sentimento, in fondo non avevo fatto nulla di male) quella volta che rientrato a casa con un Tex invece che col solito Topolino, lui mi fece tornare in edicola a dire che mi ero sbagliato e volevo Mickey Mouse. E Topolino combatteva dei cattivi che in fondo non erano cattivi, che se perdevano piangevano e, soprattutto, non morivano. Non moriva mai nessuno in quelle strisce. Io da piccolo non ho mai ucciso nessuno, nemmeno nella fantasia.
Carlo mi guarda, aspettando una mia decisione, sono io l’adulto dei due. Alla fine le sue argomentazioni sono più che valide: si deve pur mangiare, che sia nutella o carne in scatola prodotta prima del 2014, come vogliono alcuni sopravvissuti.
Devo preparare un piano d’azione. Non lo voglio lasciare da solo, neanche per qualche ora; come dice il buddismo: se salvi la vita a qualcuno, ne sei responsabile per sempre, e per me è così. E poi in due si può portare più roba, lui può conoscere posti che io non conosco dove andare a ‘fare la spesa’.
Ci sediamo in salotto. Gli chiedo di scrivere su un pezzo di carta quello che c’è da prendere, per farlo sentire importante; io aggiungo qualche altra cosa. Alla fine la lista comprende una quindicina di cose equamente ripartite tra desideri miei e suoi.
“Dove potremmo andare? Che posti conosci?” gli chiedo.
“Il market vicino a dove ci siamo incontrati è vuoto, quindi mettiamoci una croce sopra” e fa un gesto eloquente con tutte e due le mani. “La mamma va spesso in quell’altro in fondo a corso Prestinari, quello nella piazza di fronte il benzinaio.”
La sua mamma va spesso. Certo, perché lui aspetta sempre che in qualsiasi momento lei bussi alla nostra porta e se lo riporti a casa.
“Ok, vada per quello. Però ci dobbiamo organizzare bene, per non fare brutti incontri. Dobbiamo tenere gli occhi aperti e camminare al centro della strada, lontano dai negozi, perché ci potrebbe essere qualcuno cattivo lì dentro”.
“Va bene” mi risponde col tono di chi ha capito ed è pronto all’azione. Poi aggiunge un po’ più sottovoce “Possiamo passare dall’edicola? Voglio vedere se c’è l’ultimo numero di Dranwall. E’ tanto che non arriva e magari questa settimana l’hanno portato”
E’ fiducioso, Carlo. Magari Dranwall, chiunque o qualsiasi cosa esso sia, è riuscito in una delle sue imprese e ha fatto arrivare in edicola la sua ultima avventura.
Va bene, gli rispondo; non sono ancora pronto per iniziare con lui il discorso per spiegargli che niente di quello che non c’è ora, potrà tornare, almeno a breve, neanche i suoi genitori.
Questa cosa sembra ridargli ottimismo, questa concessione di andare in edicola. Forse se Dranwall c’è, le cose potranno ricominciare ad andare come sono sempre andate. Sarà il pioniere di un mondo che riprende a girare per il verso giusto. Questo nella sua mente di bambino di dieci anni.
E anche nella mia anima di adulto di cinquanta: Dranwall è la speranza, il segnale della riscossa, forse della rivincita di un mondo normale su uno anormale, o forse inconsueto o irregolare. Perché non è indifferente quale termine usare per descrivere quello che ci circonda; ‘le parole sono importanti’ diceva quel regista e attore di qualche anno fa. Il mondo nuovo, definitivo se non ci saranno cambiamenti, sarà forse l’ultimo possibile per la nostra specie umana, per come l’intendiamo noi adesso. Perché se l’uomo nuovo sarà quello che esprime la propria superiorità uccidendo e mangiando chi considera inferiore; se il nuovo mondo avrà parametri più aggressivi per misurare il valore degli uomini e delle cose; se questa nuova umanità è solo un passaggio naturale perché, come diceva Ariano l'evoluzione di una specie non avviene gradualmente, ma grazie a creature difformi che però si adattano meglio delle altre all'evoluzione dell'ambiente circostante, allora gli anormali siamo noi: io, Carlo, Dranwall. Loro sono solo inconsueti, sono l’alterazione della realtà, di questa realtà; e alla fine, quando diventeranno la maggioranza perché ci avranno mangiati quasi tutti, saranno loro la realtà.
Carlo si sta già preparando per uscire; andiamo a “fare la spesa”. Ma prima passiamo dall’edicola; magari è uscito l’ultimo numero di Dranwall.
T.
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