venerdì 31 ottobre 2014

Una strada per la vita



Convivono in noi, come nell’uomo Gesù, le due nature: la scintilla divina e l’essenza umana.
Finché cerchiamo Dio fuori di noi, continuiamo a strappare quest’unità spirituale e psicologica di cui siamo composti.
Siamo cresciuti (noi occidentali) in un ambito culturale in cui l’uomo è stato considerato satellite del divino, solo con la sua solitudine, alla continua ricerca del proprio centro. Ma, paradossalmente, questo centro l’abbiamo cercato fuori, in "un altro posto".
E ciò che abbiamo potuto trovare è stato solo un riflesso di Dio, di cui abbiamo sentore dalle Scritture, dalle parole dei saggi e dei maestri.
Ma Dio in sé resta in-descrivibile e in-immaginabile nella sua essenza, anche se abita in noi.
Da ciò dipende il fatto che non si può insegnare a percorre una strada per arrivare a Dio, perché la strada è dentro di noi, e ognuno di noi è un mondo a sé.
È come darsi appuntamento in dieci in un posto e dover partire da dieci punti diversi, con dieci diversi mezzi di trasporto.
Non possiamo allora dire niente di Dio?

L’apostolo Giovanni per ben due volte ripete: “Dio nessuno l'ha mai visto” (Gv 1,18 e 1Gv 4,12). E questo rende inutile ogni nostro desiderio di voler “vedere Dio”, almeno fino a che restiamo in questo corpo. Tutti quelli di cui si dice che abbiano “visto Dio” hanno in effetti avuto un’esperienza della sua manifestazione, mai una visione diretta. Mosè ha paura di alzare gli occhi verso il roveto che brucia nel deserto (Es 3); Elia percepisce la presenza di Dio nel “mormorio di un vento leggero” (1Re 19,12); e così di seguito.

Ma Giovanni poi aggiunge: “Proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. (Gv 1,18). E indica qualcosa in più: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi”. (1Gv 4,12), perché “Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. (1Gv 4,16).

Abbiamo allora qui una rivelazione di Dio, anche se non secondo i parametri che un essere umano vorrebbe e si aspetterebbe.
Ed è la rivelazione fattaci da Gesù. Egli solo conosce la verità, perché nella sua umanità ha abitato la pienezza della divinità (“È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” Colossesi 2,9). O meglio, detto con linguaggio più vicino alla nostra cultura, Gesù ha permesso che la propria umanità si perdesse, si lasciasse permeare dalla sua divinità, la stessa che abita in ognuno di noi (anche se per noi in modo ancora nascosto, dietro un velo che non vogliamo o possiamo scostare).
Gesù può essere definito, senza tema di sbagliare, un “Illuminato”; ma preferisco per ora non usare questo termine, perché pieno di sovrastrutture, precomprensioni che ci porterebbero totalmente fuori strada. In altre parole, il significato che normalmente diamo alla parola “Illuminato” può non aver niente a che fare con l’esperienza umana e spirituale di Gesù.
Quindi Dio è in noi e lo possiamo vedere chiaramente ogniqualvolta ne vediamo la sua manifestazione: non più il fuoco di un cespuglio che brucia, non più la brezza lieve del vento, ma l’Amore che brucia l’anima nostra e poi soffia per ristorarcela.
E qualcosa possiamo pure indicare della strada per arrivare a Dio-in-noi: la porta, che è Gesù.
Scrive infatti ancora Giovanni:Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. (Gv 10,9).
Il comandamento primo ed unico di Gesù è “che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.
Ebbene, egli può dirlo perché la sua umanità si è fatta “impossessare” dalla sua divinità e ci ha amato di amore in-finito ed eterno; Gesù ha voluto che Dio-in-lui si riversasse in noi, per unirsi a Dio-in-noi. E da qui il comandamento: ripetete agli altri ciò che io faccio in voi.
Facciamo attenzione: il comandamento non è al passato, ma riguarda il nostro presente. Gesù ha pronunciato quelle parole due millenni fa, ma sta parlano agli uomini di ogni tempo, perché l’Amore (con la A maiuscola) è sempre lo stesso, proprio perché non è amore umano che inizia e finisce nel breve arco del tempo di una vita, ma è l’Amore di Dio, che è eterno, è “l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine” (Ap 22,13).
Se passiamo quella porta, se la attraversiamo, potremo imparare ad ascoltare la lotta che in noi Dio fa per uscire. Potremo ascoltare l’Amore che ci invita a farci prendere, come nel gioco del nascondino, di quand’eravamo bambini, in cui Dio bara e fa di tutto pur di farsi scoprire.
Ebbene, una volta capito che c’è una porta, e detto che c’è una strada, poi ognuno deve fare lo sforzo del cammino.
E questo nessuno può farlo per noi, neanche Gesù.

Juan Segundo

(il presente articolo è già stato pubblicato sulla pagina FB del gruppo di condivisione biblica La Lampada)

venerdì 24 ottobre 2014

"Lasciar andare" le persone care


Spesso diciamo che è umanamente normale soffrire per la perdita di una persona cara.
Ed è verissimo, sia nel senso positivo: soffriamo perché siamo uomini, non c’è niente di cui vergognarsi; sia nel senso ‘negativo’: soffriamo perché siamo ancora troppo uomini.
Ciò che contraddistingue la nostra umanità, oltre a tutte le bellissime qualità che spesso rendono ancor più bella la vita (pensiamo al riso di un bambino, alla bellezza di una persona anziana che emana pace dai propri capelli bianchi e dalle proprie rughe… ), è proprio il mettere sempre il nostro ego al primo posto.

Non voglio usare la parola “egoismo” perché nella nostra cultura è piena di significati negativi, ma dovrebbe essere così.
La vita dell’anima umana dovrebbe trascorrere nel purificarsi, cioè nel far diminuire in noi la nostra egoità e nel far crescere conseguentemente e in proporzione la nostra anima spirituale. Così come dice Giovanni il Battezzatore davanti a Gesù: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). In questo caso Giovanni è lo specchio della nostra umanità che non può andare oltre, non può sostituirsi alla divinità manifestata in Gesù, ma può solo perdersi in Lui.
Giovanni termina il suo ministero in terra nel momento in cui viene decapitato (Marco 6,25-30), quando cioè non ha più la possibilità di esprimere materialmente nella predicazione la superiorità della figura di Gesù: ormai il sasso era stato lanciato e l’annuncio fatto.
E d’altra parte muore proprio perché ha terminato il proprio compito sulla terra: “Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce.” (Gv 1,6-8)
Gesù dice: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,3). Se, cioè, non arriverete a pensare come i bambini, che non hanno ancora il senso della distinzione tra loro e il mondo esterno, non potrete entrare in un mondo (il regno dei cieli) dove questa distinzione non esiste perché Dio è tutto in tutti: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.” (1Corinzi 15,28).
Ciò significa che, in un modo che ancora non comprendiamo, siamo un’unica realtà con chi ci sta accanto, con chi vive dall’altra parte del mondo, con la piantina che coltiviamo sul nostro balcone e con la natura intera.
E siamo una sola realtà anche con la persona cara che ha lasciato questo mondo.
Proprio come noi, come Giovanni il Battezzatore, anche lei aveva un compito in questa vita, ed è normale che una volta portatolo a termine abbia lasciato il proprio corpo.
Se andiamo a trovare qualcuno per portargli un messaggio o per salutarlo, una volta terminata la visita andiamo via, non rimaniamo più lì. E lo stesso è per l’uomo che porta a termine il progetto che aveva fatto prima di incarnarsi proprio in “questa” vita.
Allora perché piangere (se non per motivi “umani”, come dicevo all’inizio) per chi ci lascia?
Anche se la persona ci era molto cara, molto giovane, molto brava. Esiste addirittura un modo di dire: ‘sono sempre i migliori quelli che se ne vanno’. Ed è proprio così: “ce ne andiamo” da questa vita quando abbiamo terminato il nostro viaggio, lo scopo per cui eravamo venuti.
Non resta che pensare, perciò, che chi muore giovane, evidentemente, aveva “programmato” la purificazione di alcuni aspetti del proprio karma che hanno richiesto quel 'poco tempo' per essere portati a compimento.
Per tornare da dove abbiamo cominciato, volere che gli altri vivano la loro vita insieme alla nostra, che non ci “abbandonino” mai, è egoismo: siamo un tutt’uno con tutti, stiamo bene con chi amiamo, ma proprio perché li amiamo dobbiamo volere che facciano al meglio la sua strada. E quando la loro strada è compiuta non abbiamo altro modo per esprimergli il nostro amore se non lasciando che vadano per cominciare un altro viaggio.


Juan Segundo

(questo articolo è già stato pubblicato sulla pagina del gruppo di condivisione biblica La Lampada)

sabato 4 ottobre 2014

Il pozzo di fra Dulbino


"Come quest’acqua, Dio sta nelle viscere del tuo cuore"

In occasione del giorno in cui ricordiamo la salita al cielo dell'anima che inabitò il corpo di Francesco d'Assisi, ecco un racconto che lo vede protagonista insieme a fra Dulbino, suo inseparabile compagno e allievo prediletto.


Il pozzo di fra Dulbino
 
Fra Genesio anche stamattina mi ha lanciato un’occhiataccia mentre frate Francesco mi chiedeva di andare con lui a Spello.
So che Genesio è invidioso perché Francesco passa molto tempo con me, ma non ci posso fare niente. Io non faccio niente di particolare per essere prediletto ogni volta da lui per qualcosa, lo giuro.
Ho confessato questa mia impressione a Francesco ed egli mi ha risposto che ne devo parlare con Genesio, perché quando due fratelli hanno qualcosa tra loro, è tra di loro che la devono chiarire, prima che diventi un morbo che appesti tutta la comunità.
Io, devo confessare, non ne ho avuto ancora il coraggio, ma prima o poi lo farò; promesso.
Ora, comunque, siamo con frate Francesco a camminare sotto il sole in piena campagna.
Non mi è mai piaciuta l’estate, per via del caldo. Sudare mi toglie le forze, mi ottenebra la mente e i sensi.
Camminiamo in silenzio. Ogni tanto sento frate Francesco sospirare o pronunciare parole per me incomprensibili. Lo vedo fermarsi per un istante, sorridere, poi riprendere il cammino.
Che sia pazzo davvero, come dicono tutti?
Il silenzio in cui camminiamo, il sole a picco sulla testa, il caldo…
Una vertigine si impadronisce di me, ma non è la testa che gira, bensì… non riesco a dire… è la mente, forse l’anima.
Vorrei essere lontano mille miglia da qui. Perché frate Francesco non ha portato fra Ginesio stamane con lui?
Vedo i pioppi che costeggiano la strada polverosa su cui stiamo camminando da un tempo che mi pare infinito, e vorrei fermarmi sotto uno di essi, poggiarmi al suo tronco saldo e liscio e addormentarmi.
E invece sento solo il sudore scorrermi lungo la schiena! E questa lana ruvida che gratta contro la pelle non aiuta a sentirmi meglio.
Comincio ad avere uno di quelle cose di cui ci ha parlato Francesco quando è tornato dalla terra degli infedeli… come si chiamavano? Ah, sì, un miraggio.
Ci diceva che nel deserto fa un gran caldo, perché c’è solo sole e sabbia e allora chi non è abituato a quella temperatura comincia a vedere cose che non ci sono, tipo acqua, alberi, ombra.
Adesso ho anch’io un miraggio: vedo una pozza d’acqua fresca e limpida che si apre all’improvviso in mezzo al nostro cammino e io ci cado dentro e comincio a sguazzare contento in quella frescura.
Preso nei miei miraggi non mi sono reso conto che Francesco ha rallentato e si è fermato. Lo cerco al mio fianco e lui, invece, è qualche passo dietro di me.
Con la manica del saio si sta asciugando la fronte.
- Dulbino, fratello, non senti anche tu caldo? – mi chiede candidamente.
“Caldo!? No! Ma che dici!” vorrei rispondergli io. Ma poi me ne vergogno.
- Sì, frate Francesco, in effetti il sole picchia forte.
- Mi sembrava, in effetti. Sarà meglio fermarci.
Invece di farsi da una parte sotto gli alberi, Francesco riprende a camminare di gran lena. Per un po’ lo seguo, poi gli dico:
- Ma, frate Francesco, non dovevamo fermarci?
- Certamente, Dulbino. Ma poco più avanti c’è un bel dono di Nostro Signore Gesù.
Francesco continua a camminare più spedito di prima, finché non raggiungiamo un piccolo bivio e prende a sinistra.
Solo a quel punto rallenta, si guarda attorno e poi si illumina in viso.
- Eccolo! Mi ricordavo che c’era! – e così dicendo si dirige decisamente verso un muretto abbastanza alto, tanto da arrivare alla testa del mio compagno.
Francesco lo percorre tutto, ci gira attorno e poi si china sparendo alla mia vista.
- Vieni, fra Dulbino! Vieni! C’è un gran dono di Dio qui! – urla, si rialza mi fa cenno con la mano e sparisce di nuovo alla mia vista.
Incuriosito raggiungo il muretto e mi fermo da questa parte.
Mi affaccio e vedo Francesco chino su un pozzo da cui sta prendendo acqua con un secchio.
Alla vista dell’acqua, anch’io corro rasentando il muretto e appena arrivato Francesco mi porge il secchio.
- Bevi prima tu, sei sicuramente più assetato di me.
Senza badare al suo gesto caritatevole prendo il secchio, me lo porto alla bocca e lo rovescio completamente, bagnandomi tutto.
Poi lo passo, ormai vuoto a frate Francesco, che lo cala per la corda finché non sente il tonfo nell’acqua.
Sta per tirarlo su per prendere anche lui l’acqua per ristorarsi, quando si ferma, si volge verso di me e mi guarda.
- Dove cerchi Dio, fratello? - Mi chiede tenendo ancora la corda in mano.
La domanda mi disorienta.
Ho appena dissetato la mia arsura e placato il mio caldo e Francesco, senza dissetarsi e rinfrescarsi anche lui, mi chiede dove cerco io Dio.
- Ma non so… - balbetto qualcosa – In cielo, forse?
- Anche. Ma dove vi ho insegnato a cercare soprattutto?
E così dicendo pone la sua mano sul mio petto.
- Ma certo! – esclamo – Nel cuore!
-Benissimo, fratello Dulbino. E qui hai un esempio mirabile di ciò che voglio dire. Quanto abbiamo agognato per tutto il viaggio quest’acqua così limpida e fresca?
- Eh.. beh… io…
- … da quando siamo partiti, lo so – mi interrompe – ho visto come ti bagnavi ad ogni istante le labbra. Ma non è questo che voglio dire.
Si ferma, tira finalmente fuori il secchio pieno d’acqua e me lo porge.
- Guarda com’è bella, attraente, nostra sorella acqua! È fresca, limpida, ha tutto quello che noi le chiediamo in questo momento che siamo stanchi e assetati. E così è Dio! Ha sempre ciò di cui noi abbiamo bisogno e ci dice anche dove trovarlo. Non nel cielo, non nell’aria, non nel mare, ma nel profondo della terra. E noi siamo fatti di terra, ricordi il racconto della creazione: Dio prese del fango…
- Ecco – prosegue dopo qualche istante. – Come quest’acqua, Dio sta nelle viscere della tua terra, del tuo cuore, e più Lui riesce ad andare in profondità dentro di te, più Gli fai spazio, più l’acqua della sua sapienza sarà fresca, pulita, dissetante. E quando avrai sete, sete di verità dico, non dovrai far altro che calare il secchio dentro di te e abbeverarti.
Francesco s’interrompe, guarda nel secchio e poi beve a lunghe sorsate. Quindi all’improvviso si rovescia addosso l’acqua rimasta e scoppia in un riso pacifico, estasiato.
Trovato un posto in pieno sole, solleva il capo al cielo, chiudendo gli occhi.
- Ma non c’è solo questo. Ricordi le parole della scrittura? – mi chiede poi, e senza aspettare la mia risposta continua – Cosa risponde Nostro Signore Gesù alla donna di Samaria? «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Ebbene, nel pozzo dell’anima di Gesù di Nazareth c’era acqua viva! E tutti lo capivano, infatti nei Santi Evangeli si dice che c’erano folle immense che accorrevano quando Lui passava. Beati e benedetti quegli uomini e quelle donne che hanno vissuto con Lui, che l’hanno conosciuto, perché hanno potuto sperimentare le Sue parole: “Chi ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”.
- Scusa fratello Francesco, - dico - ma i Santi Evangeli non dicono anche che abbiamo la Sua Parola a guidarci? Non ci basta quella?
- Sì fratello, hai ragione. Ma ci sono tanti modi per trasmettere l’acqua della sapienza divina, a volte basta uno sguardo puro, una carezza gentile, una parola di conforto o di gioia. Tutto ciò che viene fuori da te, mostra quel che hai dentro.
Gli altri vedono del nostro pozzo solo la superficie, quindi se le sue pareti, le pareti dell’anima dico, sono sporche, sembrerà loro che l’acqua sia sporca. Se saremo pozzi limpidi che mostrano acqua limpida, i fratelli vedranno Dio in tutta la sua pulizia e limpidezza; ma se la nostra anima è sporca, mostrerà un’immagine di Dio sporca.
- Un po’ come dice quell’espressione: gli occhi sono o specchio dell’anima. – interrompo.
- Bravissimo! È proprio così! Gli occhi sono lo specchio dell’anima! E non solo gli occhi, ma tutto ciò che di noi si manifesta ai fratelli. Perciò scendi dentro di te, Dulbino, cerca l’acqua pura di Dio, dissetati, immergiti in essa, purificati. E tieni il tuo pozzo pulito, perché chiunque possa abbeverarsi e trovare ristoro nel Signore tramite il tuo pozzo.
La mia anima ha ormai dimenticato il caldo, il sudore, la lana grezza contro la pelle. Le parole di frate Francesco mi hanno dato forza ed entusiasmo. Hanno aperto la mia mente e il mio cuore ancora un po’.
E forse sono pronto a parlare con fra Ginesio: devo mostrargli di me il mio vero volto, essere trasparente, un pozzo pronto ad accogliere e donare acqua che disseta e non fango che insozza.
- Vieni, fratello, - mi dice Francesco – abbiamo tanta strada da fare per oggi ancora… 

Juan Segundo
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