lunedì 31 marzo 2014

La Cabala con Monica Angeli: il sesto senso


Inizio settimana all'insegna della Cabala.
È arrivato un nuovo articolo di Monica Angeli e l'argomento di oggi è: il sesto senso.
Siamo circondati da un mare di informazioni e siamo diventati elaboratori viventi che le ricevono attraverso i cinque sensi: vista, udito, tatto, gusto e olfatto.
Ma c’è un senso, nascosto, rudimentale: il sesto senso.
Eppure se riuscissimo a svilupparlo potremmo percepire al di là dei nostri limiti, trascendere i nostri confini, comprendere, insomma, il vero mondo.
La Cabala consente di sviluppare questo organo di senso che esiste in noi anche se allo stato primitivo.
Con esso potremmo sintonizzarci su una frequenza tale da consentirci di vedere il mondo nella sua interezza e per quello che veramente è: un universo di anime esistenti prima e dopo la morte.
Potremmo rispondere alla domanda sul senso della vita nella sua interezza.
Saremmo aiutati ad agire correttamente in modo che la stessa vita venga spesa in modo costruttivo.
Riusciremmo a vedere la nostra missione in tutti i cicli della vita fino al presente e dopo.
Entreremmo in un livello di esistenza dove si sperimenta eternità e perfezione.
Sviluppare il sesto senso, con l’aiuto della Cabala, non cambierà le nostre abitudini di vita: con gli altri cinque sensi continueremmo a fare le cose di sempre: lavorare, vivere con la famiglia, vedere gli amici… insomma comportarsi come persone normali. E d’altra parte proprio vivere questa normale quotidianità è lo stato necessario a sviluppare il sesto dal suo interno.
Una volta che, attraverso esso, avvertiremo l'universo oltre noi stessi, sentiremo la Forza Superiore, il Creatore, le anime, tutto ciò che i cinque sensi non catturano. Associando noi stessi a quel mondo, vivremo contemporaneamente in entrambe le dimensioni: quella terrena e quella celeste.

Vi lascio con un bonus: la scena finale del bellissimo film Il sesto senso. Buona vsione!


Juan Segundo 

giovedì 27 marzo 2014

Dispensare i doni dello Spirito... cum grano salis!

Un breve post, oggi, che prende spunto da due... coincidenze.
Ma si sa che le coincidenze non esistono. Sono solo avvisi che è bene soffermarsi su quel qualcosa perché, anche se in quel momento non conosco il motivo del loro apparire, sicuramente mi sarà chiaro in seguito.
Su cosa la mia attenzione si è soffermata questa mattina?
Su due articoli.
Il primo è un post su FB di Monica Angeli, collaboratrice da qualche tempo di questo blog.
Il secondo è un pezzo tratto da Visione Alchemica e intitolato Dio in te
In fondo non trattano dello stesso argomento, perché il primo (che è molto lungo e quindi lascio alla vostra lettura personale) riguarda una riflessione su come sia importante amare sé stessi e sapere anche quando allontanare da noi anime che richiedono il nostro aiuto ma lo fanno in modo da vapirizzare (per usare il termine di Monica) la nostra energia. E noi abbiamo bisogno della nostra energia, per noi stessi e per chi ci sta intorno. Il secondo post, invece, è un pensiero di Ramtha, un'entità vissuta ai tempi di Lemuria. * Essendo quest'ultimo breve, lo riporto:
Ama te stesso, e ascolta ciò che il sé dice, ciò che ha bisogno di sentire,
e poi realizzalo con tutto il cuore, fino a quando ne sarai annoiato.
La noia è il segnale che proviene dalla tua Anima per avvisarti che hai imparato tutto ciò che c’era da imparare da un’esperienza, e che è ora di proseguire verso una nuova avventura.
Se dai ascolto unicamente ai sentimenti dentro di te,
sei libero di diventare qualsiasi cosa tu voglia diventare in questo momento.
E sappi che non devi mai render conto a nessuna legge, a nessun insegnamento, a nessun’entità.
Il presente e i sentimenti che ne ricevi sono l’unica cosa che abbia valore.
La mia riflessione è molto semplice.
Entrando in un certo mondo spirituale, spesso sento parlare di questo amare sé stessi, di come la divinità abiti in noi in modo pieno, di come noi stessi siamo Dio...
E su questo sono pienamente d'accordo.
Quello che mi fa invece pensare è come questi argomenti, in mano ad anime ancora troppo grezze (senza voler dare giudizi che non posso dare!) o non ben guidate, possono far nascere un'alterigia spirituale e psicologia non solo diseducativa, ma persino pericolosa e deleteria.

Spesso basta poco per diventare orgogliosi...
Pensate l'effetto di sentirsi dire: devi amare te stesso! in te c'è la divinità! in fondo, tu stesso sei dio! da una persona portata all'egoismo, alla voglia di prevalere sugli altri. Chi non avesse le giuste predisposizioni, psicologiche prima e spirituali poi, sarà portato ad inorgoglirsi e a cominciare a pensare di essere l'unico depositario della Verità (con la V maiuscola!); potrà sentirsi in obbligo di diventare dispensatore di consigli senza senso e stravaganti, col pericolo di trascinare dietro alla sua follia gruppi affamati e alle prime armi di anime che andranno prima o poi allo sbando.
Questo mio piccolo sfogo non vuole togliere a nessuno la possibilità di riversare in rete o su carta i tesori preziosi della propria anima e della propria intelligenza. Di questo bisogna sempre ringraziare Dio che mette sulla nostra strada tali persone!
Vuole solo far riflettere su come noi stessi per primi, quando leggiamo di queste cose, dobbiamo farlo cum grano salis, con un pizzico di buon senso. E quando scriviamo o diciamo qualcosa dobbiamo tenere conto che, parafrasando le parole di Gesù, non dobbiamo dare le perle ai porci.
I tesori di grazia che tutti riceviamo (e che qualcuno è in grado anche di comprendere e ridistribuire, ma non tutti) sono come la luce delle lampade che vanno messe sul tetto della casa (Mt 5,15) **, o come le cose ascoltate nel segreto e che vanno poi proclamate pubblicamente (Mt 10,27) ***. Ma...
... pur senza voler tornare alle sette segrete, dobbiamo sapere con chi e di cosa parlare.
Anche questa è saggezza!  
   
Juan Segundo

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* Non mi pronuncio sulla veridicità o meno di quest'ultima realtà, perché non ho approfondito l'argomento. Siamo circondati, infatti, di persone che dicono di essere reincarnazioni o canalizzatori di entità spirituali vissuti anni o secoli prima. Spesso si tratta di imbroglioni che hanno trovato un modo (lucroso) di sbarcare il lunario mettendo insieme un'accozzaglia di notizie e notiziole tratte da qualche sito specializzato in questi argomenti. E, purtroppo, vista la sete di spiritualità (ma spesso solo di stranezze per giustificare idee e comportamenti senza senso) dell'uomo, prolificano anche a danno di chi è veramente studioso o fa esperienza di messaggi e visioni da un'altra realtà.
** "... né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa."
*** "Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti."

venerdì 21 marzo 2014

Portzufim: le espressioni di Dio secondo la Cabala



Siamo ancora in tema di Cabala.
L'articolo di Monica Angeli questa volta ci porta a scoprire i Portzufim, i volti di Dio.

Portzufim è un termine ebraico plurale (al singolare Portzuf) che significa letteralmente Volto, Manifestazione, e rappresenta la Struttura Spirituale dell'anima. *

Secondo la Kabbalah le sei principali espressioni di questo volto sono: Atiq, Arikh, Abba e Ima, Zeir e Nuqva.

L'essenza della Divinità (Atzmut ) è una sommatoria di queste molteplici espressioni che si estendono lungo tutti i livelli del Creato e dell'increato. Tuttavia l'unità di Dio non è affatto minacciata né negata da queste varie componenti, poiché l'assoluta unità di Dio è contemporaneamente sia l'origine dei Partzufim che la sua risultante complessiva.
Vediamo ora nel dettaglio quali sono queste sei espressioni della divinità.

Zeir Anpin
Antiq Vomin = L'antico dei Giorni (ritenuto remoto perché del tutto rimosso dagli eventi della Creazione ). Rimane immutabile e non subisce influenze di qualsiasi trasformazione in atto nel Creato.
Arikh Anpin = (Il Volto infinitamente lungo ) presenza di coesione che attraversa l'intero Creato come se fosse una rete di fili sottilissimi che unisce e tiene insieme le miriadi di Creature. Anch'essa non modificabile o limitabile dal libero arbitrio umano. Essa è la responsabile ultima della sopravvivenza del tutto. Tra le sue varie e meravigliose proprietà Arikh è l'origine di ogni guarigione fisica e spirituale.
Abba e Ima = il Padre e la Madre. Rientrano nelle descrizioni antropomorfiche che la Scrittura offre di Dio. Sono presenti in ogni esperienza, religiosa o meno, del vivere umano. Il loro stesso nome indica il ruolo che uomini e donne possono assumere nel corso della loro esistenza. Fanno parte del mondo nel quale esiste l'amore che tutto dona, ma anche il progetto che l'Amore vuole realizzare. A fianco dell'Amore, esistono anche l'autorità, la legge, il giudizio. Abba e Ima danno sostegno ma anche rimprovero; forniscono aiuto ma chiedono ed esigono da parte degli umani anche comportamenti retti ed onesti.
Per ultimo ci sono altre due Portzufim: Zeir Anpin (il Figlio) e Nuqva (la Figlia).
Zeir Anpin = Volto in miniatura o anche Figlio. L’insieme delle caratteristiche del Figlio è molto complessa, e la maggioranza dei comportamenti e delle frasi che la Scrittura attribuisce a Dio, fa parte di questo archetipo. Esso si modifica nel tempo e nello spazio e soprattutto in base all'interpretazione che gli uomini fanno di esso. Zeir Anpin cresce e si ferma, e può pure regredire. S'innamora in modo appassionato; ma è anche geloso, vendicativo, punitore, è un giudice severo e si offende. È allo stesso tempo la sede dell'Amore e della forza, e non sempre controlla il continuo oscillare tra l'uno e l'altro di questi due opposti. È qui che c'è l'amore tra le creature, che unisce uomo-donna, il romanticismo, i travagli che le relazioni umane si trovano ad attraversare. Alternativamente può essere ira, gelosia ,vendetta e punizione. È, insomma Zeir Anpin , il Figlio, il Dio della Bibbia.

Nuqva = la Sua Femminuccia, è la più misteriosa, la compagna buia e nascosta del Figlio. Rappresenta il popolo, la comunità dei fedeli. La Femminuccia è velata nella Terra Santa o nei luoghi cari alla vita religiosa. È la più influenzabile tra le Personificazioni Divine, la più coinvolta con la storia della Creazione.



Juan Segundo 
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* Secondo la Kabbalah, Partzuf contiene anche tutte le dieci Sephiroth, cioè le modalità o "strumenti" attraverso cui l’Infinito si rivela e contemporaneamente crea il mondo fisico e quello metafisico.

mercoledì 19 marzo 2014

Francesco e il crocifisso. Una storia d'oggi.


Quella mattina Francesco aveva già ringraziato mille volte Dio per la splendida giornata di sole, tipica della sua terra d'Assisi.
Eppure c'era ancora qualcosa che sentiva nell'animo suo, qualcosa che non lo lasciava tranquillo, che lo teneva come in attesa.
Sentiva come se qualcuno l'aspettasse per un'udienza importante, un incontro definitivo.
Camminava da solo, come sempre, per le campagne attorno la sua città.
Dietro una macchia d'ulivi scorse dei ruderi. S'incuriosì e decise di andare a vedere da vicino. E quando arrivò nelle vicinanze, nel suo cuore crebbe ancor di più l'ansia: doveva correre.
Giunse e capì che si trattava di una piccola chiesa abbandonata e cadente.
Una forza potente l'attirava ad oltrepassarne la porta, ed egli lo fece, incurante del pericolo che tutto potesse crollare.
Più si avvicinava a quel che restava dell'altare, più il suo cuore sembrava placarsi e l'anima raddolcirsi.
Finché d'improvviso un raggio di luce, entrato da chissà quale crepa nelle mura, illuminò qualcosa che finora era rimasto celato al suo sguardo.
Tenuto da chissà cosa, un crocefisso pendeva sulla semplice tavola in pietra che era stato l'altare.
Francesco non aveva mai visto un crocifisso così.
Gesù, per quanto inchiodato mani e piedi, non ha (come in tutti i dipinti che ha visto finora) il capo reclinato, le ferite grondanti sangue, lo sguardo sconfitto di chi con la morte sta per perdere la battaglia più importante.
All'incontrario Francesco vede un uomo tranquillo, sicuro di sé, trionfante; che emana dal proprio corpo, anche visivamente, luce e forza.
Tutt'attorno tanti personaggi. Qualcuno lo riconosce: Maria, la Madre di Gesù; e quello al suo fianco non può che essere Giovanni, come Francesco aveva letto nel Vangelo: Gesù li aveva affidati l'uno all'altra*, quasi in un testamento terreno.
Dall'altra parte, se non ricorda male dalla narrazione del Vangelo, c'è Maria Maddalena. Deve essere quella che tiene la mano sotto il mento. Aveva sentito dire che questo gesto è proprio di chi ha ricevuto un segreto, una rivelazione importante. Maria Maddalena porta un vestito rosso scarlatto, colore dell'amore passionale, coperto da un mantello celeste, segno anch'esso d'amore ma moltiplicato per l'immensità della divinità. Anche di questo aveva sentito: Maria Maddalena, si diceva ma lontano dalle orecchie di preti e vescovi, era stata la compagna di Gesù e a lei, il Signore aveva rivelato cose che non aveva detto a nessun altro.
E poi ci sono angeli che discutono tra loro (di cosa poi?), santi a lui sconosciuti, il centurione che aveva trafitto il costato di Gesù... C'è persino un gallo: che fosse quello che aveva cantato quando Pietro aveva tradito?
Francesco rincorreva i pensieri dietro ai dettagli, ma qualcosa lo fece tornare al centro del dipinto: Gesù crocifisso.
Sentì che davanti a quella figura non poteva che inginocchiarsi: lui, povero e umile ragazzo alla ricerca di un senso della vita, dinnanzi a colui che il senso l'aveva rivelato.
E così Francesco si perse nella contemplazione e nella preghiera.
Domande su domande, tutte quelle che finora avevano invaso la sua povera mente: come posso seguire la volontà di Dio? Cosa posso fare per trovare la vita e sconfiggere il male? Come posso piacere a te, Gesù? Cosa devo fare per essere tuo testimone e messaggero d'amore? Insomma: qual'è la mia strada?
Il tempo passava e dentro di lui i pensieri si facevano sempre più ingarbugliati, pesanti. L'anima sempre più inquieta. 
Perché, Signore, non hai per me una risposta? perché mi lasci in questo buio? Perché ho accettato di esser perseguitato e maltrattato anche da mio padre per seguire te e tu no mi parli?
D'un tratto, qualcosa superò l'intensità dei cinguettii degli uccelli là fuori.
Era una voce, una voce d'uomo. Dolce, suadente, ma anche carica di fermezza e autorità, proprio come il volto del Gesù dipinto sul crocifisso.
La prima volta non afferrò bene le parole, ma la seconda furono chiare: Francesco, va e ripara la mia chiesa, che come vedi va in rovina!
E una terza volta la frase si ripetè.
Chi poteva aver parlato? Non c'era nessun altro se non lui.
E Francesco capì: era Gesù dal crocifisso che gli aveva rivolto quelle parole! La risposta alle sue domande!
Va e ripara la mia chiesa! Finalmente la strada da seguire! La missione da compiere! Il suo compito nel cuore del mondo!

Non so se le cose andarono precisamente in quel modo quella mattina. Se c'era veramente il sole, se gli uccelli cinguettavano o se il crocifisso fosse appeso o poggiato da qualche parte.
Ma così mi piace pensarlo. Per il resto i biografi di Francesco d'Assisi ce la raccontano così. Più o meno.
Francesco non comprese subito queste parole. All'inizio pensò che dovesse andare a riparare materialmente le tante chiese in rovina che popolavano la vallata d'Assisi. E cominciò anche a farlo, personalmente o donando dei suoi averi.
Poi, però, con l'andare del tempo le cose gli si chiarirono meglio in testa: la chiesa che doveva riparare era molto più vasta e fatta meno di mattoni.
Era la chiesa di Roma che stava andando in rovina, che aveva perso la propria strada, che non era più quella che avrebbe dovuto portare le parole del vangelo al mondo: amore, vicinanza, consolazione, compassione...
Gesù, il Signore che dal crocifisso continuava a governare ancora il mondo, aveva bisogno delle sue mani, dei suoi occhi, del suo cuore. Gli stava suggerendo che era venuto il tempo per i suoi rappresentanti di uscire dalle mura e ritornare sulle strade, dove i poveri avevano la casa, dove si consumavano le tragedie della vita.
Perché proprio lui? si chiese spesso, fino alla fine, Francesco.
Probabilmente per la sua capacità di vedere le cose con semplicità, di andare al cuore della realtà, a sentirsi uno con gli altri, con gli animali, con la Madre Terra.
Probabilmente perché aveva capito che nessuno è solo a questo mondo e noi siamo sempre il prossimo di qualcuno. E se non ci siamo noi, spesso, non c'è nessun altro vicino a chi soffre nel corpo e nello spirito.
Probabilmente perché aveva capito che Gesù, adesso, non è quello che ci fanno vedere nelle chiese, quello del venerdì santo, trasfigurato dal sangue, sofferente, morto. Gesù è quello della mattina di Pasqua, risorto, vivo, forte. Proprio come quello del crocifisso.

Il crocifisso che Francesco ha davanti, ora.
E allora una preghiera gli sorge dal cuore e gli affiora alle labbra:
O alto e glorioso Dio,
illumina il mio cuore.
Dammi fede retta,
speranza certa
carità perfetta,
umiltà profonda,
senno e conoscenza,
perché io possa servire i tuoi comandamenti. Amen
Francesco esce dalla chiesa, le lacrime agli occhi, il cuore colmo di gioia, speranza, forza.
Ora può andare per il mondo, si può presentare anche a quelli che si proclamano rappresentanti di Dio in terra, per dirgli che...

Ma questa è un'altra storia. Che forse vi racconto un'altra volta.

Juan Segundo

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* Vangelo di Giovanni 19,26-27: Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!» Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!» E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.

lunedì 17 marzo 2014

Il Bene, il Male e la Cabala


La Sephirot
Ancora un appuntamento con Monica Angeli e i suoi appunti sulla Cabala.
Oggi parliamo di bene e male.

Almeno una volta nella vita è capitato a tutti noi di porci la domanda: ma l'universo da quante e quali forze è guidato?
E poi queste forze dove si trovano: dentro o fuori di noi?
Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto la Kabbalah.
Essa ci dice che la forza è una sola, quella del bene, e si chiama: Creatore.
Il nostro modo di percepire ciò che bene e ciò che è male deriva dal nostro credo religioso, dal mondo che ci circonda, così come da quello che ci ha inculcato la nostra famiglia. Ma se continuiamo a porci domande significa che la nostra conoscenza è superficiale.
Allora la Kabbalah (che significa proprio: insegnamento, rivelazione) ci aiuta ad approfondire l’argomento permettendoci di addentrarci in questi concetti carpendone l'essenza stessa.
Il Creatore, dice la Kabbalah, è l'unica forza esistente, forza benevola che circonda il nostro mondo; che guida la natura sia animale che vegetale, in modo molto rigido, costringendola a seguire le sue leggi con assoluta precisione. Essa, infatti, diversamente dall'uomo, non è dotata di libero arbitrio.
L' essere umano invece ha la libertà di scegliere come comportarsi in relazione a sé stesso, all'ambiente , alla società, ecc. . Per questo motivo, spesso non risponde all’Amore del Creatore con lo stesso tipo di amore. Quest’abuso della libertà allora è causa primaria di separazione dal Creatore ed ha perciò bisogno di correzione.
Per comprendere come tutto è guidato da un'unica forza, quella del bene, basta pensare che anche la separazione è creata da Dio, e diventa un modo per risvegliarci. Infatti noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, quindi ogni cosa di noi, ogni azione, deve essere somigliante e simile a Lui; un atteggiamento diverso invece ci renderebbe differenti e distanti e la distanza non permette di ricevere la spinta dall'alto che ci permetterebbe di ascendere.
Il male esiste, ma non è una forza.
Esso sta dentro di noi, alberga nel nostro cuore. Più ci si avvicina a Dio e più si entra in quegli stati chiamati mondi spirituali, o sensazioni del Creatore, e nella stessa misura in cui entriamo in questi stati, sperimentiamo la gioia e la bontà.
L'autocorrezione deve avvenire a livello del cuore. Il cuore è il deposito di tutti i desideri che il più delle volte sono di natura egoistica, e anche se ci sono geni e comportamenti altruistici negli esseri umani e negli animali, le buone azioni derivano da una sorte di auto interesse. Ciò significa che una persona non ha alcuna capacità di fare del bene autonomamente, ma ha bisogno di ricevere energia dall'alto. Questo processo è chiamato metodo di ricezione Kabbalah.
Partzuf

Questo metodo crea nella persona un punto di contatto con la forza superiore: si riceve energia da quella forza e ci si innalza, perché da soli non ce la potremmo fare.
Il cuore contiene al suo interno un punto, una piccola scintilla. Esso è il punto del Creatore dall'alto, quella scintilla che ci spinge dall'alto verso la spiritualità. Ma si tratta soltanto una spinta, che non ha la potenza di farci salire; tutto il resto dipende da noi.
Se saremo in grado di raggiungere questa forza superiore, oppure di ripristinare la connessione con le forze superiori che ci correggono, solo allora diventiamo speciali.
Noi non disponiamo di poteri magici né di mezzi per salvarci, ma se direzioniamo quel punto nel cuore correttamente, allora riceveremo queste forze dall'alto, tanto da creare, secondo la Kabbalah, da quel punto nel cuore una cosiddetta Partzuf o le dieci Sephiroth o l'anima. *
Quindi quell'anima, quella parte che è stata formata, può finalmente ascendere con la persona nel mondo spirituale.


Juan Segundo

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* Diciamo, per ora, che questi tre termini siano equivalenti. Nei prossimi articoli, Monica spiegherà le eventuali differenze.

venerdì 14 marzo 2014

L'energia del Reiki

Quest'oggi volevo proporvi di fare la conoscenza con il Reiki (argomento che ho affrontato già altre volte).
Per farlo, mi affido al sito Fisica Quantistica da cui prendo questa pagina

Voglio solo ricordare che in diversi ospedali italiani (all'estero, invece, è una realtà molto più consolidata!) gli operatori di Reiki possono svolgere la loro opera come coadiuvanti nella cura del dolore.

Buona lettura!


L'energia Reiki

Reiki, è la capacità di riunire la forza vitale del corpo con l’energia universale dalla quale deriva. La forza vitale è calore ed energia emanati dal corpo.
In India, questa forza viene chiamata Prana, in Cina Ch’i, ed in Giappone Ki. Con l’apertura dei canali energetici del corpo, una persona acquisisce la capacità di riequilibrare la propria energia vitale: si collega all’energia universale, diventando così esso stesso un elemento che la veicola.
Una volta appresa tale capacità, basterà appoggiare le mani al corpo, proprio o altrui, perché l’energia del Reiki inizi a scorrere e a riequilibrare la forza vitale di chi la riceve. La prima sensazione sarà quella del calore, poi della distensione, ed infine del sollievo. Grazie al Reiki, è quindi possibile superare tutti i problemi che derivano da blocchi energetici, responsabili poi dell’insorgere di sintomi fisici e malattie.
Reiki è una disciplina molto semplice da applicare. Non servono doti personali particolari, né tanto meno anni di studio. Dato che l’energia fluisce automaticamente dalle nostre mani, basterà apprendere la semplice tecnica per appoggiarle in modo corretto sul corpo. Esistono tuttavia diversi livelli di insegnamento e di pratica del Reiki. Nel primo livello, si imparano l’auto-trattamento per il riequilibrio energetico ed il trattamento rapido per punti definiti; nel secondo e terzo livello vengono insegnati alcuni simboli atti a rafforzare il potere dell’energia Reiki e ad indirizzandola verso luoghi lontani (trattamento a distanza), e tecniche più specifiche per il trattamento * di disturbi precisi come: disturbi nervosi, respiratori, digestivi, circolatori, cardiovascolari, metabolici e sanguigni.
Nell’ultimo livello, il quarto, si acquisiscono tutte le tecniche per indirizzare l’energia dove si vuole, permettendole così di aprire i canali e di iniziare a fluire libera. La tecnica per l’applicazione è molto semplice: l’energia scorre da tutta la mano, motivo per cui è sufficiente appoggiarla aperta, perché il Reiki inizi ad agire. Chiaramente più aumenta il livello di apprendimento, maggiori sono le nozioni da apprendere, ma la cosa fondamentale è che già dal primo livello, si possono avere benefici. Bisogna sempre rammentare che “più è lontano l’ego, meglio il Reiki funziona”.
Mikao_Usui
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Il Maestro “Mikao Usui”, fondatore della disciplina Reiki:

Mikao Usui, nacque in Giappone nel villaggio Taniai-Mura il 15 agosto 1865. Buddista, visitò l’Europa e l’America e studiò in Cina. Sperava di avere successo nella vita, ma incontrò molte difficoltà. Depresso a causa dei diversi intoppi, Usui salì sulla sacra montagna Kurama in Kyoto (l’antica capitale giapponese) e dopo avervi meditato senza cibo per ventuno giorni, sentì all’improvviso una grande energia sopra di sé, fu illuminato ed ottenne il trattamento Reiki.
Inizialmente egli utilizzò i trattamenti Reiki su sé stesso e sui membri della propria famiglia, constatandone l’immediata efficacia. In seguito, Usui comprese che doveva condividere i benefici di questa tecnica, con chiunque ne volesse usufruire. Nel 1922, quindi, ad Aoyama, Tokyo, Mikao Usui fondò la “Usui Reiki Rioho Gakkai” per insegnare il Reiki. Questo luogo divenne presto un punto di riferimento per molte persone, che arrivavano anche da molto lontano, per sottoporsi ai trattamenti reiki di Usui. Nel settembre del 1923, ci fu un grande terremoto e Mikao Usui curò e salvò molte persone. Morì il 9 marzo 1926 a Fukuyama, nelle vicinanze di Hiroshima.

Il Trattamento ed l’auto-trattamento Reiki:

Durante il trattamento Reiki, dobbiamo imparare ad abbandonarci totalmente all’Energia Universale. Perciò quando trattiamo una persona, l’ego deve restare il più lontano possibile, per lasciar fluire liberamente l’Energia Universale, che ha un potere illimitato.
Imparare il Reiki è facilissimo: dopo aver ricevuto i quattro “Reiju” del primo livello da un insegnante, ovvero “le armonizzazioni”, che servono per aprire i “canali energetici” della persona, ci si auto-attiva. Il nostro corpo subisce un riequilibrio energetico di mente, corpo e spirito. Ed è possibile farsi l’auto-trattamento. Quando un insegnante di Reiki dona un Reiju ad uno studente, alza il suo livello energetico, la cui frequenza vibrazionale inizia a risuonare con quella dell’Energia Universale. Avviene così un contatto che risveglia la sua coscienza, apre i canali del corpo, lasciando fluire l’Energia esterna.
Durante l’auto-trattamento, le mani devono restare in ogni posizione (sono dodici in tutto) per due, tre, cinque minuti, o per quanto ci si sente. Se si sbaglia posizione durante l’auto-trattamento, non importa, poiché l’energia Reiki sa sempre dove andare. In totale, un trattamento Reiki dura circa mezz’ora, ed è comunque meglio fare trattamenti brevi ma frequenti, che lunghi e saltuari. Dopo il trattamento completo, si può procedere e porre le mani su una parte specifica del corpo da guarire.
Le persone che non riescono a trovare mezz’ora al giorno per prendersi cura di sé, non vogliono veramente guarire. Non si rendono conto dell’opportunità che stanno sprecando. In sostanza, la responsabilità della guarigione dipende esclusivamente da noi stessi.
Per passare dal primo al secondo livello, occorre tanto esercizio: almeno tre settimane. Non servono regole specifiche o concentrazione mentale, basta usare periodicamente l’Energia Reiki, per imparare a gestirla e poterla così avere a disposizione ogni volta che vogliamo. Si tratta di un allenamento quotidiano.
Il Reiki non esce solo dal palmo delle mani, ma anche dalla punta delle dita. È inoltre indifferente come si pongono le mani: destra e sinistra si possono indifferentemente sovrapporre, poiché mano su mano rafforza l’energia, oppure anche allineare; si fa come ci si sente, dove guida l’istinto. Ognuno deve seguire il proprio intuito e la propria esperienza. E’ inoltre corretto strofinare le mani per terminare la sessione Reiki. Mentre se si sente troppa energia, è possibile scuoterle per fermare il flusso energetico.
In generale, più utilizziamo l’energia Reiki, più saremo connessi all’Energia Universale. La felicità è una scelta: se decidiamo in questo momento di essere felici, lo saremo. Indipendentemente da ciò che accade intorno a noi, indipendentemente dalla nostra condizione psico-fisica. L’importante nella vita non è ciò che abbiamo, ma come ci sentiamo.

Filosofia ReikiI cinque principi del Reiki:

Il modo più semplice per spiegare la filosofia alla base del Reiki, è sicuramente quello di usare le stesse parole del suo fondatore Mikao Usui, il quale disse:
“Il Reiki è il metodo segreto per invitare la felicità, la medicina spirituale per tutte le malattie”.
Egli disse: ”Solo per oggi… “
” Non ti arrabbiare” ” Non essere ansioso” ” Sii grato e diligente” ” Sii gentile con gli altri” ” Ricorda di pregare ogni mattina e sera.”
Una delle cose fondamentali, nei precetti Reiki, è quella di vivere il presente (solo per oggi). Il passato è ricordo. Il futuro è un’illusione. Va bene fare progetti per il futuro, ma non bisogna preoccuparsene. Il futuro non è ancora stato scritto. Non vuol dire rinunciare ai propri progetti, semplicemente sta a significare che non ci si deve preoccupare (non essere ansioso). L’ansia corrisponde ad un’energia negativa, che racchiusa nel nostro corpo lo avvelena. Il rischio è quello di perdere il momento nel quale si vive, di perdere la gioia per le piccole cose del quotidiano, di perdere la felicità.
Non bisogna inoltre ignorare la rabbia, o cercare di reprimerla. “Non ti arrabbiare” significa che si deve imparare a riconoscere i propri sentimenti di rabbia, cercando poi di comprendere, perdonare e lasciare andare le cause dell’ira. Come per l’ansia, se non permettiamo alla rabbia di abbandonare il nostro corpo, ma al contrario la interiorizziamo, potrebbe nel tempo essere causa di malattie. I principi del Reiki indirizzano verso la liberazione dai blocchi energetici, consentendo così alla “vita” di procedere serenamente.
Per essere grati (alla vita) e diligenti (verso il proprio spirito), bisogna vivere nella rettitudine morale. Ringrazia sempre chi ti ha fatto un dono o chi è stato gentile con te. Ringrazia l’Energia Universale per la vita che ti ha donato, e per tutte le lezioni che ti da quotidianamente. Il lavoro è un mezzo necessario per mantenere sé stessi e contribuire anche al sostentamento della comunità. Va svolto sempre nel modo più corretto ed onesto possibile. Cedere alla disonestà e a comportamenti maligni ed intrighi, è sintomo di inettitudine morale.
Rispettare il prossimo e la natura, vuol dire aver compreso che ogni azione, nel bene e nel male, ha un effetto prima di tutto verso noi stessi. Se sei gentile con gli altri, sei gentile con te stesso: tutta l’energia positiva che mandi fuori prima o poi tornerà indietro moltiplicata, in questa vita o nella prossima.
Nella preghiera si concretizza il riconoscimento dei propri limiti e l’apprezzamento per tutto quello che ha contribuito ad accrescere il nostro spirito. Dobbiamo cercare di essere felici nella semplicità del quotidiano, perché questa è la vera medicina per la cura dello spirito e del corpo. La vera guarigione è prima di tutto spirituale.

(Fonti: “Komyo Reiki Kai Italia: le origini della tradizione” di Chiara Grandi, http://www.chiaragrandi.it/libro_reiki_gratis.htm e http://www.chiaragrandi.it

Juan Segundo


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* con il termine trattamento non si vuole intendere, naturalmente, l'evento della cura, che è e resta di competenza della scienza medica.  

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