lunedì 28 gennaio 2013

Per oggi facciamo così...

I cinque principi in lingua originale
Ciao a tutti!
Già avrete notato che in questi ultimi tempi non sono molto presente sul blog, per motivi di lavoro. Ma nei prossimi giorni è probabile che non possa neanche affacciarmi per una breve visita, a causa di un impegno urgente e impegnativo -ma molto gradito!- arrivatomi tra capo e collo. Perciò vi lascio con la riproposizione di parte di un vecchio post (siamo agli inizi del mio blog, perciò probabilmente nessuno di voi l'avrà mai letto!) in cui commentavo i cinque principi della filosofia del Reiki.
A presto!
Solo per oggi
1. non essere arrabbiato
2. non ti preoccupare
3. sii grato
4. si onesto con te stesso e lavora con impegno
5. sii rispettoso verso gli altri.
SOLO PER OGGI: è già questo un principio; esprime l’importanza di impegnarsi nelle cose giorno per giorno, senza ansia o fretta, ma vivendo intensamente il momento. Quello che è passato non esiste più (e spesso porta con sé rabbia, rancore e senso di colpa); il futuro deve ancora venire (e ci porta preoccupazione, ansia e aspettativa); ciò che resta è il presente che invece richiede tutta la nostra attenzione ed energia.
NON ESSERE ARRABIATO: la rabbia nasce dalle ferite ricevute o dalla sensazione che qualcuno ci stia facendo del male. Per rinunciare alla rabbia dobbiamo anzitutto riconoscerla ed esprimerla, portare fuori i nostri sentimenti, imparare a proteggere il nostro spazio, la nostra vita e le nostre relazioni. Rinunciare alla rabbia non vuol dimenticarsene o rimuoverla, ma avere comprensione di noi stessi e degli altri, lasciar andare i nostri rancori e il desiderio di vendetta.
NON TI PREOCCUPARE: la preoccupazione nasce dall’insicurezza, dalla paura di ciò che siamo e di ciò che ci aspetta, dal pensare ad un evento e anticiparne spiacevoli conseguenze. Tutto ciò denota mancanza di fiducia e di abbandono. Rinunciare alla preoccupazione vuol dire godersi la vita attimo per attimo, sapendo che tutto ciò che accade è per il mio bene. La preoccupazione nasce dalla mente che ricorda il passato, che anticipa il futuro, che teme il dolore e ricerca il piacere e non vive nel presente.
SII GRATO: ringraziare vuol dire accogliere ciò che ci circonda e noi stessi in un unico abbraccio; vuol dire sapere che siamo in questa vita per fare le esperienze che stiamo facendo, belle o brutte che siano. Quello che conta è che noi siamo qui, vivi, ad imparare la lezione. E possiamo ringraziare in ogni attimo per quest’opportunità che ci viene data.
SII ONESTO CON TE STESSO E LAVORA CON IMPEGNO: onestà è avere il coraggio di dire la verità, anzitutto a se stessi. Guadagnarsi da vivere onestamente e con impegno non significa semplicemente non rubare, ma imparare a riconoscere il proprio talento e metterlo al servizio degli altri. Il lavoro più importante è costruire giorno per giorno la propria vita.
SII RISPETTOSO VERSO GLI ALTRI: anche: onora tutti gli esseri viventi. Significa riconoscere la natura spirituale di ogni cosa e rispettarne l’essenza e il destino. Onorare significa rispettare la parola data e portare a termine gli impegni assunti; significa inchinarsi di fronte a qualsiasi manifestazione della vita e impegnarsi a difenderla, comprenderla e proteggerla. Amore, cura e gratitudine messi insieme formano la parola onorare. Il mondo intero mi appartiene, ma devo nutrire verso di esso un profondo senso di responsabilità, non posso uccidere e distruggere senza che ciò si ritorca contro di me.

TIM

venerdì 25 gennaio 2013

Un po' di musica per il commissario Bacone



Ascoltavo, poco fa' per strada, un po' di musica dal mio vecchio lettore MP3. Era di scena Sergei Rachmaninoff col suo concerto per piano n. 2. È uno dei brani che mi affascinano di più, che mi capita di ascoltare anche 2-3 volte di seguito. E mi veniva in mente che proprio con questo brano ho aperto la stesura del mio secondo racconto lungo con protagonista il commissario Francesco Bacone, lavoro iniziato da più di un anno e che ancora non è andato oltre il 3 capitolo. Ma che, come si suol dire, ho tutto in testa. Così ho pensato di darvi in pasto la musica di Rachmaninoff e l'attacco del racconto.
Buona lettura e buon ascolto!

1.Dove Bacone offre un caffè

Non si può suonare Rachmaninoff in una chiesa, eccheccavolo!
In chiesa va bene Bach, pensava Bacone mentre usciva dal tepore caldo e legnoso dei banchi della cattedrale per tuffarsi nel freddo gelido della strada.
Per quanto, però, il concerto n. 2 aveva un che di maestoso nell’overture che gli richiamava non solo il mare in tempesta, ma anche un uragano di vento, un soffio potente. E lo Spirito Santo, ricordava dal catechismo di Dognazio (come tutti chiamavano il parroco del tempo) era rappresentato proprio come un vento maestoso.
Allora sì, poteva andare anche Rachmaninoff.
Almeno per quella mattina in cui si sentiva inquieto senza sapere il perché.
In fondo Conci stava presenziando il commissariato e, per quanto come persona Bacone non avesse una grande stima di lui –più che altro avevano due visioni diverse della vita e delle cose- l’ispettore era un buon poliziotto, conosceva i fondamentali, come si usa dire.
Sul resto era meglio stendere un velo pietoso.
Così Bacone si era concesso una mattinata di libertà.
Qualche giorno prima aveva consegnato il rapporto sul caso Mirella Forti e ora non stava seguendo niente di particolare. Coordinava più che altro il lavoro su alcuni episodi di danneggiamento delle fioriere in centro storico, ma le telecamere a circuito chiuso installate nei punti strategici stavano dando una grossa mano.
Normalmente per Bacone una mattinata di libertà significava passare il tempo su qualche panchina del viale o davanti a qualche vetrina; ma sempre con un occhio all’orologio, in attesa dell’ora di tornare in commissariato, l’unico posto che riconoscesse come casa sua.
Quella mattina, invece, era diretto al Libro-Caffè, il locale che gli aveva fatto conoscere il suo amico Lucà, quello con l’accento sulla a, anche se non era francese.
Lo rilassava ascoltare musica in sottofondo sorseggiando un orzo all’anice o un caffè, attorniato da libri e libri che aspettavano di essere presi, sfogliati, acquistati.
Quattro o cinque stanze (non le aveva mai contate) con pareti ricoperte da semplici scaffali in legno carichi di volumi, e tavolini dove poter cosnumare le ordinazioni servite dalle ragazze con la divisa nera. In una sala più grande delle altre faceva bella mostra di sé un bancone in legno massiccio, col lavandino in marmo e lo scolatoio in acciaio, probabilmente recuperato da qualche vecchio bar.
Non che Bacone leggesse molto o fosse un amante dei libri, come certa gente che sostituisce la morbosità verso il culo di una ragazza con quella di una prima edizione autografata di Cesare Pavese. Nella vita, rifletteva a volte, fare di una cosa il centro assoluto della propria esistenza (che sia un libro o il culo di una ragazza) diventa una malattia, non un interesse; è patologico, non ricreativo.
Spesso andava lì solo per pensare in tranquillità, o per godere dell’aria condizionata d’estate e del riscaldamento d’inverno.
Non disdegnava però neanche un buon libro che gli tenesse compagnia. ...


TIM

mercoledì 23 gennaio 2013

Il libro più bello mai scritto al mondo



So che non frega a nessuno, ma vorrei scrivere il libro più bello del mondo.
L'ho già tutto in testa, giuro.
Ho deciso che il mio libro dovrà avere alcune cose essenziali, che ho trovato in tutti i bei libri che ho letto finora: una copertina, molte pagine e, soprattutto, moltissime parole stampate sopra. Forse ci metto pure delle figure.
Nel prossimo libro che scriverò ci sarà un personaggio cazzuto, tutto muscoli (avete presente Mr. Muscolo idraulico gel?) e con un'enorme farfalla tatuata sul polpaccio. O forse lo faccio femmina. Il personaggio, non la farfalla, ovviamente.
Poi, nel prossimo libro che scriverò, ci sarà anche un personaggio che è eternamente indeciso e che non entra mai in un bar perché è, appunto, indeciso tra un crodino e un caffè d’orzo. O forse un sanpellegrino. O forse un cappuccino con briosce. O forse senza briosce. O forse…
Il prossimo libro che scriverò sarà ambientato nelle fredde lande scandinave, dove il gelo e il ghiaccio riempiono il paesaggio e l’anima. E si svolgerà tutto in una vasca da bagno piena di acqua bollente.
In questo prossimo libro, metterò due appendici. Nella prima scriverò tutte le possibili critiche che si possono fare al libro; nella seconda tutte le possibili lodi che si possono intessere. Così facendo permetterò a chi lo legge di godersi la storia, senza pensare già al fatto che, poi, ci deve scrivere qualcosa in proposito. N.B.: mi hanno detto che c'è gente che riuscirebbe a trovare comunque qualcosa da (ri)dire sul libro: scriverebbe che non gli ho lasciato libertà di parola. E soprattutto che nessuno lo pagherebbe per scriverci qualcosa su. Bah!).
Non so ancora se manderò il manoscritto (perché poi si chiama manoscritto se alle case editrici si manda un file?) a un editore; o se lo farò impaginare a dovere e, con una buona copertina, lo metterò a pagamento tramite qualche editore digitale; o se lo metterò in libera lettura sul mio blog.
Nel caso fosse pubblicato in versione cartacea (e vorrei vedere: sarà il più bel libro mai scritto al mondo!) allora lo farò stampare su quella carta grossa, giallina, da edizione economica, quella che fa' tanto buon profumo di carta.
Nel caso in cui, invece, fosse pubblicato in digitale (e vorrei vedere: sarà il più bel libro mai scritto al mondo!) allora regalerò una boccettina di buon profumo di carta. Così, tanto per non fare scontento nessuno.
A quante cose bisogna pensare per immaginare, scrivere, pubblicare un libro!
Sapete cosa vi dico: mi è passata la voglia di scrivere il libro più bello mai scritto al mondo. 

TIM

giovedì 17 gennaio 2013

Italiani, brava gente!

Riapro un attimino (brivido da censura!) il blog per raccontarvi una cosa capitata oggi.
Pausa pranzo e vado all'Ufficio Postale per pagare l'ennesimo e immancabile bollettino.
La macchinetta che distribuisce i numerini per la coda è rotta. Visto che ogni volta c'è qualcosa che non va', mi dico che è meglio questo che il mancato funzionamento del sistema operativo con relativo blocco delle casse.
Così siamo in fila davanti agli sportelli. La coda è così composta:
1. ragazzo di colore
2. signora latinoamericana
3. signora italiana
4. io.
Ad un tratto la signora italiana, avvolta in una pelliccia marron lunga fino ai piedi,  intuendo che il cliente allo sportello aveva concluso la sua operazione, con uno scatto degno della migliore partenza di Fernando Alonso al GP di Montecarlo, brucia sul tempo i due che la precedono e si fionda sulla cassa vuota.
A questo punto il ragazzo di colore si gira con uno sguardo meravigliato andante aullo stupito verso la signora latinoamericana, la quale risponde alla sua muta interrogazione con un: "Eh, che ci vuoi fare! Siamo in Italia!"
Italiani: che figura di m***a!

TIM
(a causa di uno sciopero selvaggio di blogger, questo post esce senza immagini. Appena possibile ovvierò all'inconveniente. Sindacati disfattisti!)
       

venerdì 11 gennaio 2013

Il gioco della... crisi

Questo post nasce come ampliamento del precedente, anzi più che altro come risposta ai diversi commenti arrivati, anche a quelli su Twoorty. Tutto era venuto fuori da una semplice idea: la crisi non ha portato solo svantaggi.
In fondo tutti noi abbiamo detto sin dall'inizio che anche se il 21 dicembre non avrebbe portato la fine del mondo, sicuramente un cambiamento ci sarebbe stato.
Ora non voglio dire che tutto quello che sta succedendo sia colpa dei Maya, di Berlusconi o delle banche americane e dei loro intrallazzi. Non ne capisco molto di queste cose; io so solo che non gira più una lira (e non fate la battuta che sono più di 10 anni che abbiamo l'euro!).
Voglio partire da un'osservazione dell'amico Simone M. presa da uno dei suoi commenti:
il cerchio si stringe e sempre più persone saranno insoddisfatte
E dal mio commento... al commento:
Hai centrato il problema: "il cerchio si stringe e sempre più persone saranno insoddisfatte". Le persone saranno insoddisfatte non perché non hanno il cellulare, ma perché non hanno quello ipertecnologico che ti avvisa quando c'è da togliere la lasagna dal forno o la bistecca dal fuoco ... Se faccio il rappresentante e non mi posso permettere un'auto che mi sia d'aiuto nel mio lavoro, è un problema non avere i soldi per comprarla. Ma se l'auto che voglio è un mercedes da 80mila euro che farebbe schiattare di rabbia il vicino e non posso permettermelo, se permetti è solo un bisogno inesistente.
Come dicevo, Simone ha centrato il problema: la società ci ha riempito di bisogni non solo falsi, ma anche inutili e dannosi.
È vero che dovremmo chiederci: chi è la società? non siamo forse noi? certamente! anche noi siamo la società, e proprio per questo dovremmo vigilare che, coloro che hanno all'interno di essa un peso maggiore del nostro, non prendano il sopravvento, non indirizzino le nostre scelte a loro profitto, ecc. ecc. Ma non è questo il discorso che qui voglio fare, anche perché sarebbe troppo vasto e io non sono così preparato da poterne discuterne con voi. E potremmo cadere in tesi complottiste che ci porterebbero lontano. 
La mia tesi è molto semplice, invece: aver perso in questi anni certezze e punti di riferimento (ad esempio il posto fisso; uno standard di vita tranquillo -ma io direi: a(da)giato) ci ha dato la possibilità di ripensare tutto l'impianto della nostra società. Ma soprattutto di rivedere i nostri punti di riferimento, quelli personali e intimi. 
È come se il fracasso provocato dal crollo attorno a noi dell'economia e della vita sociale, ci abbia svegliato.
E se molti, ad esempio, si lamentano (sentito personalmente!) che non riescono più ad andare al ristorante con gli amici 2-3 volte la settimana, ma devono accontentarsi del solo sabato, ci sono anche di quelli che stanno riscoprendo il fatto che per stare insieme ci si può anche riunire a casa di qualcuno. Ci sono quelli che dovendo lasciare a casa la macchina, per andare al lavoro hanno scoperto la bici o i mezzi pubblici e, con essi, tutto un mondo attorno che non conoscevano.
È vero, non è tutto così idilliaco, ma a me preme mettere in evidenza le opportunità che abbiamo.
Molti di noi in questo momento, forse sono costretti a scelte che sono limitative rispetto a qualche anno fa. Ma chiediamoci: veramente quello che facevo (o come lo facevo) prima era un bene per me? Di quante di quelle cose avevo realmente bisogno, se ora, magari, non ci sono più e vivo ugualmente? Cosa significa, alla luce di questo, vivere bene? Di quante e quali cose ho bisogno per vivere bene?
Potremmo fare un gioco: sederci a tavolino, con carta e penna, e tracciare sul foglio bianco una linea centrale, scrivendo da una parte le cose che finora ho considerato un bene per me e dall'altra quelle che ho creduto nocive o non buone. Rispondere sinceramente potrebbe aiutarmi a capire non solo ciò di cui ho bisogno veramente, ma anche di cosa ho riempito finora la mia vita, che indirizzo gli ho dato.
Infatti non perché una cosa esiste, vuol dire che sia buona/utile/vantaggiosa. Esiste la cocaina, ma non è una cosa buona né utile. E anche quando una cosa è buona può non essere usata in maniera utile e vantaggiosa; pensiamo alla scoperta della scissione dell'atomo (buona di per sé) e alla bomba atomica che ne è stata una conseguenza.
Certo ci vuole coraggio a fare il giochetto di cose buone/cose cattive; specialmente perché di fronte a qualche punto potrei scontrarmi non tanto con me stesso, quanto con  l'immagine che mi sono creato tra amici e conoscenti, con ciò che ho voluto mostrare loro.
Non voglio dilungarmi più del dovuto, la mia è solo una piccola riflessione. Ma voglio chiudere con un pensiero di Enrico Berlinguer, che ho scelto non per questioni di parte politica (non in questo caso almeno), ma perché riassume perfettamente il pensiero di questo post:
... L’uomo è fatto per essere felice: solo che non è necessario, per essere felici, avere un’automobile… Oltre un certo limite materiale le cose materiali non contano poi granché; e allora la vita si concentra nei suoi aspetti culturali e morali. Noi vogliamo che la nostra vita sia una vita completa, multilaterale, ricca e piena, una vita nella quale l’uomo esprima tutti i suoi valori reali. È questo che dà un senso alla vita, che dà valore a un popolo”.
TIM


martedì 8 gennaio 2013

Viva la crisi!

Grande Altan!
Forse questo piccolo post non cambierà l'idea che ci siamo fatti della crisi. Ma sono cose che mi frullano da un po' per il neurone rimasto, e volevo condividerle con voi.
Ormai sono 5 anni che una delle parole più pronunciate (a ragione o a torto) è crisi.
Abbiamo avuto un governo per gestire la crisi che ha finito per farci cadere ancora più a capofitto; e parlo di quello Berlusconi. E un governo nato per tirarci fuori dalla crisi in cui ci aveva gettato il precedente che doveva, invece, tirarcene fuori; e parlo di quello tecnico. Su quest'ultimo non saprei cosa dire: un anno di legislatura non può essere un periodo sufficiente per dare un giudizio.
Pur senza voler sminuire gli effetti nefasti della crisi (disoccupazione, famiglie sul lastrico, ecc.) quello che penso io, però, è che in qualche modo tutto questo ci ha fatto bene.
I TG, i giornali, le inchieste, sono pieni di esperti che continuano a dirci
* che i consumi si sono ridotti;
* che la gente ha cominciato a non gettare più via la roba appena comprata o poco usata o a comprare solo quello di cui effettivamente ha bisogno;
* che anche nei consumi alimentari si sta imparando a riciclare quello che resta dal pranzo o dal giorno prima;
* che si sta facendo sempre più spesso a meno dei prodotto pronti e si pensa di più a cucinare prodotti freschi;
* che moltissimi hanno cominciato a fare il pane in casa;
* che si privilegiano i prodotti del mercatino sotto casa o del contadino fuori porta;
* che moltissimi hanno cominciato a lasciare a casa l'auto e ad andare a piedi o ad usare la bici e i mezzi pubblici.
Sembra di leggere gli spot pubblicitari di certe agenzie o associazioni di consumatori che fino a qualche anno fa cercavano di farci vivere e consumare in maniera più consapevole e con meno sprechi.
E allora? Doveva arrivare la crisi per farci aprire gli occhi?
Certo, chi ha cominciato adesso non lo fa perché ha preso coscienza che un altro modo di vivere è possibile, ci mancherebbe; ma è un primo passo.
Se la gente, anche per Natale, ha comprato sempre meno gadget spesso inutili e ha puntato, ad esempio, sull'abbigliamento (che va sempre bene) non è un dato negativo. Può essere un male per chi il gadget lo vende e lo produce, ma non per chi lo riceve.
Quando ero bambino i regali natalizi dei genitori e degli zii erano sempre gli stessi: maglie, maglioni, biancheria intima, scarpe, libri. Poi c'era il giocattolo dei nonni; ed era una festa.
Ci stiamo liberando di moltissime cose che erano solo prodotti di bisogni indotti e stiamo cominciando a ragionare in base a ciò che ci è veramente necessario.
E magari tutto questo potrebbe farci scattare un lumicino in testa che ci fa vedere la realtà da un altro punto di vista.
Ma... parere personale, eh!

TIM
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