mercoledì 29 giugno 2011

Morte dell'erba

Tempo fa il buon Alex, ops... scusate, il nostro Alex, aveva parlato del romanzo Morte dell'erba, citandolo nella serie di romanzi apocalittici e catastrofistici sull'onda lunga del Survival Blog. Il titolo non mi era nuovo, ed infatti andando a spulciare tra le seconde scelte della mia libreria (quei libri che compro e metto da parte in attesa di aggressione) l'ho trovato. Un bel volumetto Urania, bianco e maneggevole che aspettava paziente di essere spolverato e messo sul comodino. Non sapevo ancora cosa mi ero perso fino a quel momento, perché una volta cominciato non l'ho mollato più, cercando anche i cinque minuti della pausa pranzo per andare a continuarne la lettura.
Per chi non ne conoscesse la trama, eccola dalla quarta di copertina: alla stessa razza dei Trifidi appartiene questo Virus Chung-Lí, che partendo in sordina dall'Estremo Oriente si sposta a poco a poco verso l'Europa resistendo a tutti i veleni, a tutti gli isotopi, a tutte le difese che la scienza occidentale innalza contro di lui. Secondo il classico schema di Wyndham, anche John Christopher adotta il punto di vista di una famiglia inglese tradizionale, che assiste dapprima con distacco, con tranquillità, alla lenta avanzata dell'invisibile nemico. Ma da un mese all'altro, da una stagione all'altra, le cose cominciano a cambiare anche nella solida Inghilterra. Scarseggiano i cereali, la carne, e tutta la catena alimentare dell'uomo è in pericolo. La gente ha paura, nonostante le assicurazioni ufficiali e gli appelli alla calma. Le grandi città rischiano il caos totale e la morte per fame. Chi vuole uscirne trova posti di blocco militari, e deve farsi strada a fucilate. Nella disgregazione dell'ordine sociale, ognuno ridiventa lupo, volpe, serpente. E la salvezza è incerta, la lotta per sopravvivere spietata, la mente dei profughi lontana.
John Christopher, uno degli pseudonimi usati da Christopher Samuel Youd, racconta una storia semplice, di una fuga dalla città, ormai letteralmente rinsecchita in tutti i suoi valori umani ed economici, ad un possibile giardino dell'Eden dove ricominciare dopo l'ennesima fine dell'umanità messa su carta.
Messo così il libro sarebbe uno dei tanti romanzi apocalittici, che ricalcano cliché letti e riletti; ma questo Morte dell'erba ha qualcosa in più.
Dopo un inizio un po' pesante nelle prime 30-40 pagine (e qui ho rischiato di abbandonare il libro, ma mi sono fidato del maestro Girola...) la narrazione comincia a smuoversi e a camminare insieme al gruppo dei profughi che devono raggiungere la possibile salvezza nella vallata del fratello del protagonista. E con la narrazione inizia la lenta trasformazione del protagonista che comincia ad adeguare la sua visione della vita alla realtà che incontra ad ogni chilometro percorso. La sua posizione, sempre più realista e pragmatica, si scontra a volte violentemente con quella della moglie, che resta legata ad una umanità ancora piena di buoni propositi, dove non vige ancora la legge dell'homo homini lupus codificata da Plauto prima e da Hobbes definitivamente applicata alla società. La sua paura di vedere il marito trasformato in un mostro violento e senz'anima è quasi la nostra, che siamo messi di fronte, coi personaggi della storia, a scelte difficili e radicali, con il bisogno di empatia verso l'umanità da una parte e la necessità di salvare la pelle dall'altra. Perché anche il salvarsi oggi è sempre in vista di una vita nuova domani.
Il personaggio meglio riuscito, dal punto di vista narrativo, e che più di tutti ho apprezzato, è stato sicuramente Perry, cinico fino all'estremo, ma capace di rimanere alla fine un appartenente al genere umano, ma di una umanità nuova, un'umanità del dopo-virus.

Alcune curiosità che interesseranno sicuramente il mio amico Nick (e a cui non voglio rubare il mestiere che peraltro fa benissimo!): da questo romanzo venne tratto nel 1970 un film, diretto da Cornel Wide, dal titolo 2000: la fine dell'uomo. Invece, sempre da opere di Christopher, questa volta dalla trilogia dei Tripods, vennero prodotti un film e, negli anni '80, una serie televisiva inglese.
Il mio giudizio sul libro: placet, voto, sicuramente, 8,5 (il mezzo voto è dovuto alla tematica più che alla narrazione). Se poi volete una recensione professionale, potete sicuramente vedere qui.
Leggendo le prime pagine del libro ho notato una strana assonanza di nomi, e per questo chiedo sempre al McNab: ma il morbo di Chiun-Lì di Christopher è parente del prione di Lee-Chang?



... E con questo post il garage riapre. Questa settimana è stata proficua, di letture (oltre a questa ho pronte altre recensioni) e anche di scrittura (forse qualcuno lo sa già: ho rimesso mano al mio Survival Blog e sto scrivendo una seconda parte, che però viene prima dell'altra... insomma è più complicato a spiegarsi ora che a leggersi poi, quindi abbiate pazienza!). Vi ringrazio tutti, anche quelli che mi hanno scritto in pvt, per quello che avete detto e scritto sul mio e sui vostri blog. Sono stato contento che questa mia piccola esperienza sia stata fonte di discussioni sul web in particolare e sul rapporto tra 'le realtà' moderne in generale. Non era mio intendimento, ma ho seguito con interesse le chiacchierate: è stato un esempio di come il blog sia utile.
Alla prossima.

TIM

mercoledì 22 giugno 2011

Stop

Avviso:
tutti quelli che hanno parcheggiato auto, moto, biciclette, pattini a rotelle e affini in questo garage, sono pregati di portali fuori entro questa sera.

Il garage chiude.
Lo so, siete già scoppiati in lacrime, qualcuno dia un fazzoletto a quello in seconda fila... Ma non vi preoccupate, è una chiusura provvisoria. Non per ferie, ancora è presto. Non per malattia, sto abbastanza bene fisicamente.
Per disintossicarmi.
Mi sono accorto che aprire il blog al mattino, cercare i vostri (graditissimi peraltro) commenti, rispondere, dare un'occhiata ai siti che seguo, ecc. ecc. ecc., sta diventando quasi un peso, mi sta dando la nausea.
Non dipende da voi che mi leggete e che scrivete di cose belle sante e giuste.
E' che mi sento come in una gabbia, dove tutto sta diventando quasi un obbligo, dove l'ansia da prestazione non è quella che qualcuno potrebbe credere ma mi attanaglia sempre più spesso.
Avete presente quando fumate il sigaro (se non lo avete mai fatto, provate, il sigaro è una sensazione a parte!) per troppo tempo e alla fine vi resta quella percezione di avere una polverina in bocca? E' così: vorrei accenderne ancora un altro ma sento già la bocca sporca!
Mi sono accorto che, specie quando il lavoro in negozio è più pressante, l'idea di  andare a vedere chi ha risposto o chi ha postato la fa da padrone sulla lettura, sulla scrittura, su tutto ciò che non è video, tastiera, blog, contatore del blog.
Si può parlare di dipendenza?
Allora mi voglio disintossicare.
Perché non posso credere che io esisto solo perché c'è la rete, perché se linko qui e poi lì imparo qualcosa di nuovo (questo forse è anche vero); perché non posso credere che se perdo il collegamento ai pdf dei miei lavori o a quelli di Alex, Glauco, Ariano, e poi l'altro e poi l'altro, io non esisto più o comunque non posso andare avanti.
Pensavo stanotte (lo so che la notte si dorme o... , ma io non dormivo e non facevo o...) che a volte ho tante belle idee per racconti in testa, e a volte mi verrebbe la voglia di alzarmi, andare, aprire il notes e buttarli lì. E non lo faccio, perché magari mi dico: non ho tempo; e poi invece corro ad aprire e chiudere il blog, riandare a qualcuno di quelli degli amici pur sapendo che non è stato aggiornato o che difficilmente ci possa essere qualche nuovo commento.
Allora ho deciso che si chiude. Per qualche giorno, magari una settimana, magari dopo domani sono di nuovo qui. Devo solo aspettare di non sentire più la compulsione a cliccare sull'account google col mio nome e a perdermi in strade e stradine, rivoli e fiumiciattoli.
E tutto questo esonda poi anche nella mia vita extrablog. Ricordate il buon vecchio Asimov e le sue introduzioni a ?Le grandi storie della fantascienza Nel mondo al di fuori della realtà, l’anno incominciò male e poi migliorò. Il 10 gennaio i giapponesi... La realtà sta diventando quella virtuale e non il contrario.
Forse è anche un po' il male del secolo. Chissà.
Ma voi continuate a scrivere, a mandarmi commenti, state sicuri che io li leggerò, così come probabilmente un salto da voi lo farò, forse solo una volta al giorno. O due.
E le interviste? Continueranno, anzi forse avrò più tempo per lavorarci. Ma sapete che postare un'intervista 'costa' un paio di giorni di lavoro pieni? Mica robetta (avviso per Nick, che lui capisce!).
Anche il web è contro di me: non sono riuscito nemmeno ad inserire una foto d'inizio post. Che sia una vendetta di blogger per quello che sto scrivendo?
Comunque, volevo solo mettervi sull'avviso: se per qualche giorno non avrete aggiornamenti dal mio garage niente paura.
E' solo che oggi voglio stare spento. Oggi e per qualche altro po' di tempo.
Ma torno.
E' una minaccia.

TIM

martedì 21 giugno 2011

Le interviste possibili: Davide Mana

Ora ditemi voi se per fare quest’intervista son dovuto andare al decathlon, quello in fondo a corso Torino, a piedi, ché l’auto si era presa un giorno di ferie senza avvisare. In questo periodo di piogge e grandinate ho anche beccato l’unica giornata di sole a picco: 32°! E tutto questo perché? Perché il personaggio di oggi mi ha fatto sapere di voler essere intervistato”sul campo”, cioè mentre lavora, epperciò mi ha chiesto (in modo perentorio) di attrezzarmi per un escursione in montagna dove, a suo dire, doveva effettuare alcuni controlli “in grotta”. Gli ho fatto notare che sono claustrofobico e che il massimo dell’escursione per me è quando di notte mi alzo per andare in bagno. E già lì ho difficoltà a tornare al buio in camera da letto. Ma una mail mi avvisava solo del giorno, dell’ora e del posto da dove saremmo partiti per il viaggio: sabato, alle 10 del mattino, da casa sua.

Studio un po' il personaggio, poi mi organizzo per bene, con mappe stradali di ogni tipo e alla fine, su una vecchia carta militare del 1923 a cura del Regio Esercito Italiano, riesco a scovare il posto indicatomi da Davide. Parto alle 5.45 del mattino, attrezzato con due thermos: uno con una tisana alla melissa e arancio amaro (per lo stomaco: quando sono sotto pressione ho sempre problemi di… mi avete capito) e uno con una bevanda di orzo all’anice.
Alle 9.15, mentre cerco di orientarmi con la cartina in mezzo a strade sterrate e cartelli di legno con indicazioni tipo: vi siete persi, eh!? comincio a capire perché l'SDA non gli consegna i pacchi.
Per fortuna che c’è il sole, perché mentre continuo a distruggere i copertoni su spuntoni di roccia, affilati come il coltello di Annie Wilkes, che emergono dalla carrabile che sto percorrendo, vengo abbagliato da riflessi di luce. Mi fermo e penso che ci sia una qualche finestra che riflette quella luce. Quindi se c’è una finestra c’è anche un casa. Ma poi mi rendo conto che i riflessi hanno un senso, cioè sono intermittenti, come se qualcuno stesse usando l’alfabeto morse marino.
Di quest'ultimo non capisco niente, ma decido che, perso per perso, tanto vale provare; così faccio inversione ad U e riesco ad individuare la traversa giusta: all’imbocco c’è una buca da lettere col nome: Davide chessietevenutiaffarequa Mana, seguito da alcuni segni per me indecifrabili, che non riesco a capire se siano lettere di qualche linguaggio alieno o solo resti decennali di mosche di passaggio.
Raggiungo la mèta che sono quasi le 10, quindi in perfetto orario. Lascio l’auto fuori dal cancello ed entro cercando qualcosa con cui avvisare del mio arrivo, che so’ un campanello, un batacchio da suonare; ma niente.
A questo punto vedo qualcuno seduto su una sdraio sotto un albero di ciliegio con un libro in mano; mi avvicino cercando di fare rumore con le scarpe sul ghiaietto e quando sono quasi dietro di lui, mi fa Siediti.
Ciao, sono Temistocle. Sono arrivato appena in tempo, possiamo partire in orario, gli rispondo mentre mi metto davanti a lui. Sì, è proprio Davide, che senza alzare lo sguardo dal libro mi dice Non si va da nessuna parte, voglio sapere come va a finire questo libro. Siediti e tira fuori le domande. Resto un po’ stranito, un po’ deluso (vederlo all’opera su qualche larva di Dermestes Maculatus sarebbe stato interessante) e un po’ sollevato (non si scarpinerà in qualche burrone senza uscita apparente).
Ecco, in quel momento capisco che Davide è così. D’altra parte voi prendereste sul serio un tipo come quello della foto? Con quel panama in testa che sembra messo lì per proteggere dai raggi extraterrestri dei vegani che cercano di condizionare la sua mente?
Getto un’occhiata dietro di lui e osservo la sua casa: sembra un bel casale ristrutturato. Peccato per quella specie di dependance che si nota poco distante dal fienile. Ha un aspetto poco rassicurante e soprattutto mi sembra di conoscerla, di averla vista da qualche parte. Ma non so dove e in quel momento non ho tempo di starci a pensare.
Tiro fuori il registratorino (sempre quello di Mauro Bianchi) e inizio.


Vuoi dire qualcosa per presentarti ai lettori del mio blog che ancora non ti conoscono?



Mi chiamo Davide Mana, sono nato a Torino nel 1967. Sulla mia carta d'identità c'è ancora scritto “Studente”, ma checché ne dica l'anagrafe, al termine di una carriera universitaria quantomai avventurosa, mi sono laureato in Geologia, per quasi dieci anni sono stato ricercatore e formatore freelance, ed ora sono ricercatore (finché dura) all'Università di Urbino. Mi occupo di animali morti – di piccolissimi animali morti, essendo un micropaleontologo. È molto più noioso di quanto non sembri.
Nel tempo libero, scrivo, gestisco un blog che si chiama strategie evolutive (con la minuscola), e tengo corsi e conferenze pubbliche.
Ho anche lavorato come traduttore, centralinista in un call center, come tecnico di laboratorio, come insegnante di italiano per stranieri, come spaventapasseri e come addetto al servizio d'ordine in alcune manifestazioni pubbliche.
Come micropaleontologo, ho una decina di pubblicazioni a mio nome.
Le mie storie ed i miei articoli non accademici sono molti di più, e sono comparsi in Italia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in Francia e in Giappone; esiste persino del mio materiale piratato su eMule – cosa che considero un segno del fatto che ce l'ho fatta, sono un dannato professionista.
La prossima uscita è un racconto su un'antologia internazionale destinata a raccogliere fondi per la Croce Rossa proprio in Giappone.
Penso che, nonostante questa tua brillante carriera abbia avuto anche tu un’infanzia e un’adolescenza. Perciò cosa le ha popolate, parlando di letteratura, cine-tv, musica? c’ero lo zampino della tua famiglia nelle tue scelte?


Io sono cresciuto con la TV in bianco e nero. “The Avengers” si intitolava “Agente Speciale”, “I Spy” si intitolava “Partita a Due”. Ho guardato tutta la prima stagione di “Spazio 1999” abbarbicato su uno sgabello in cucina. Sono tre serie televisive, quelle che ho citato, che mi hanno marchiato indelebilmente – il surrealismo e l'eleganza di Steed e EmmaPeel, le località esotiche del telefilm con Culp e Cosby (il Giappone, Hong Kong!), e quello spazio interstellare vastissimo e misterioso davanti al quale il Dottor Bergman diceva sempre “Non lo so” (un autentico mantra, per chi si dedichi seriamente alla scienza), sono una parte importante della mia formazione culturale.
Appartengo anche alla generazione che ha visto Gundam in TV, senza bisogno di DVD. E naturalmente allora l'Episodio Quattro si intitolava semplicemente Guerre Stellari.
Come letture, a parte i classiconi (Salgari, Burroughs, Verne... che odiavo, tra l'altro), e una marea di fumetti, sono cresciuto con i volumi della Libra, e con le collane classiche della Nord.
Sul versante fantascientifico, resto un fan dichiarato di Hamilton, Williamson e Brackett, il fantasy l'ho scoperto con Lyon Sprague de Camp e il suo amico Fletcher Pratt (ben prima di scoprire Conan, tra l'altro).
E poi via, tutti gli altri. Vance e Wolfe, Herbert e Dick.... E poi quelle cose che allora esistevano e ora paiono scomparse – Peter Kolosimo, Carl Sagan, Thor Heyerdahl, Jacques Cousteau... Ripensandoci, mi pare di aver passato quasi dieci anni – tra medie e liceo – solo a leggere letteratura d'immaginazione. Prevalentemente fantascienza. E mi rendo conto di essere stato fortunato, poiché il mio periodo di formazione ha coinciso col momento nel quale, nel nostro paese, la disponibilità di immaginario era vastissima ed estremamente varia (e potrei dire lo stesso per il poliziesco, o per la saggistica). Oggi il panorama nelle librerie è desolante – come fanno i ragazzi a formarsi un gusto proprio?
La mia famiglia, in tutto questo, è sempre stata presente ma mi ha sempre concesso la libertà di esplorare i miei interessi senza interferire. E per questo i miei genitori hanno tutta la mia gratitudine.


Ti giuro che rileggerò con attenzione questa tua risposta, e se vuoi sosterrò un esame apposito nella prossima sessione; ma non chiedermi anche le date perché io non me le ricordo mai! Quando studiavo per prendermi una laura avevo un professore di storia che appena entrato in classe apriva il registro (proprio come si fa alle superiori!) leggeva due o tre nomi e annunciava, ad esempio: battaglia di Austetrliz e il malcapitato doveva dire la data. Solo dopo 5 minuti di interrogatorio stretto cominciava la lezione. Ma per fortuna che non ho fatto con lui l’esame! Comunque, a prescindere, ora come sono cambiati, se lo sono, i tuoi gusti?
Invecchiando, la percentuale di saggistica aumenta, mentre quella di narrativa diminuisce.
E pur restando un fiero sostenitore della fantascienza, leggo molto più fantasy che in passato – forse perché l'offerta è aumentata. E non ho più certi integralismi adolescenziali, naturalmente. Non mi interessa se Lovecraft lavi più bianco di Dick o tutti quei discorsi da fan nei quali, in retrospettiva, ho buttato un sacco di ore attorno ai vent'anni. E poi sto tornando al passato, per cui mi interessa di più – per dire – una nuova edizione de Le Mille e Una Notte che non il nuovo romanzo di Lois McMasters Bujold. Poi lo leggo lo stesso, il romanzo della Bujold, ma... ecco, ho delle altre priorità che non dipendono più tanto dalla lista dei Premi Hugo, quanto da altri elementi. Rimango abbastanza fedele al genere, ma sono molto più possibilista.


Mi guardo attorno cercando di essere il più naturale possibile, poi ingoiando tutta la saliva che mi ha nel frattempo invaso la bocca chiedo con voce quasi inudibile: bzzbzzbbzz. Come? Mi urla lui alzando leggermente gli occhi dal libro. Mi faccio coraggio e ripeto a voce più alta:
Ti piace il posto dove sei cresciuto e dove vivi oggi? e come ti ha influenzato? anche nello scrivere…

Sono nato e cresciuto a Torino, che è una città che amo molto, e che mi ha certamente influenzato, tanto per le atmosfere, che per la personalità generale, un po' chiusa, un po' troppo prudente.
Ed infatti quello è il rovescio della medaglia – il culto della discrezione a Torino, specie fino alla fine degli anni '80, era tale, che cercare di fare o dire qualcosa di diverso era una forma di maleducazione inammissibile.
Volersi mettere in mostra, cielo, che arroganza! Scrivere, recitare, suonare, mai. Vivere a Londra per un anno, nel '92, mi diede una prospettiva piuttosto diversa, e io credo, salutare. Ora, da quasi tre anni vivo in un paese di mille anime scarse in provincia d'Asti... nell'Astigianistan, come dico talvolta. Ritmi diversi, un diverso modo di rapportarsi agli altri. Ma non è male – a parte le battute sull'Astigianistan – ed è tutto parte del processo di apprendimento.


Ho visto, venendo qui, che il posto è bello. Certo se mettessero qualche cartello in più sembrerebbe meno il deserto dell’Arkansas dei western anni ’70. Ma… Cosa? Ruggisce da sotto la tesa del panama. No…è che…, continuo io, ma la tua famiglia si interessa a quello che fai ora?
No. Mio fratello di quando in quando legge il mio blog, e se glielo chiedo rilegge i miei racconti per segnalarmi i refusi. Mio padre credo non sappia neanche che ho un blog. Mia madre, poche settimane prima di morire mi disse che di leggere ciò che io scrivevo non le importava nulla. Non fu proprio bellissimo, ma posso capirlo.


Butto lì un: Maestro! per cercare di ingraziarmelo un po’, vista la piega che sta prendendo l’intervista. Davide chevvuoi Mana si ferma, abbassa (addirittura!) il libro e con sguardo angelico mi dice: Dimmi, caro! Prendo coraggio e dopo un’occhiata agli appunti chiedo tutto d’un fiato: come scegli gli amici, o come gli amici scelgono te? e loro, i colleghi di lavoro, condividono i tuoi stessi interessi, conoscono la tua passione per la scrittura o sanno che gestisci un blog che magari si interessa di ‘cose strane’?

Gli interessi comuni sono alla base di gran parte delle mie amicizie. Di solito l'interesse comune innesca il dialogo, e poi ci si rende conto che è divertente, e si continua parlando anche d'altro. Di solito scherzo e dico che i miei migliori amici sono a per lo meno ventimila chilometri da dove sono seduto, ma non è vero – ho anche un paio di amici ad una decina di chilometri, ed una manciata di amici a non più di novanta chilometri. Un dato piuttosto curioso è che gli amici che frequento più da vicino solitamente non si interessano alle me attività online – non leggono il mio blog, ad esempio. Begli amici, eh?

Gente ingrata! Bel posto questo… bell’aria… eh… Perché non vieni al dunque, spara Davide sbrigatichehofretta Mana. Ecco, veramente volevo permettermi di chiederti se sei credente, in qualcosa o in qualcuno.

Anni addietro, alla visita militare, alla voce “Religione” sul modulo, scrissi “Agnostico”. Il caporale che raccoglieva i moduli lo lesse e mi disse “Ecceccosavuoldire?” (una parola sola), ed io gli risposi “È come ateo, ma più zen”. Mi guardò come se fossi appena sceso dal disco volante. Sono stato cresciuto da cattolico, ma ho dato le dimissioni. Sulla figura di una entità creatrice, spiacente, non ho dati conclusivi – e tutto nella mia professione mi porta a dubitarne (essere paleontologi significa anche non dormire tranquilli la notte, pensando a certe cose).
Ma rispetto ogni forma di spiritualità – finché non si mette a sindacare sulla mia vita privata, sul mio ambito professionale, o non cerca di uccidermi con un'auto-bomba. Mi aspetto da ogni forma di spiritualità, che le mie opinioni vengano rispettate (ed è lì che comincia a marcare male).
Allora a questo punto non posso che farti una domanda, come dire… personale. Mi fermo un attimo per aspettare qualche reazione particolare, ma lui mi sembra calmo, quasi sorridente. Evidentemente è pienamente soddisfatto della risposta che ha appena dato. Così continuo: Azzardo una domanda che non c’è nei questionari degli altri intervistati... E qui mi sembra che da dietro il libro gonfi il petto con soddsfazione. Ma è una mia impressione, eh e nasce dal fatto che, oltre a Strategie Evolutive, tu gestisci un blog dal titolo inequivocabile: Buji Zen. Allora, anzitutto cosa significa Buijzen; e poi cosa ti ha avvicinato alla disciplina zen e quali aspetti apporta nella tua vita?
"Bujizen" è un termine giapponese che indica un atteggiamento di eccessiva sicurezza nell'avvicinarsi allo Zen, come se l'illuminazione si potesse ottenere senza sforzo. È inteso come una critica ironica a certe scuole zen non-tradizionali. L'ho scelto per un motivo di una sciocchezza colossale - ci sono tanti di quei blog là fuori con la parola "Zen" nel titolo, e che trattano dalla cucina a microonde allo sci fuoripista, che qualcosa di molto diverso ci voleva per forza, per un blog che volesse parlare di zen e taoismo in modo non serioso.
Per quel che riguarda poi la mia esperienza, ho cominciato a interessarmi alla filosofia zen quando ero al liceo, nella prima metà degli anni '80 (sì, mi sento vecchio), quando scoprii un bel libro intitolato "La Cultura Zen", e da allora ho continuato ad approfondire l'argomento. Ho letto libri a carrettate, ho seguito un corso breve nel '92, ho scambiato mail con un sacco di gente da quando ho avuto internet. La cosa ha raggiunto il suo apice quando, tre anni or sono, ho tenuto un corso di introduzione al taoismo per l'Istituto ItaloCinese di Torino - fu proprio come prodotto del corso che nacque il blog Bujizen.
Quali aspetti apporta nella vita... mah - il livello di stress è calato notevolmente, e credo abbia contribuito a tenermi in carreggiata nei momenti, e non sono mancati, in cui le cose hanno preso una brutta piega. Si tratta di un approccio diverso alla risoluzione di certi problemi. Oggi come oggi, l'elemento che continua a interessarmi, in queste filosofie, è che si tratta di un approccio molto simile a quello scientifico (per quanto possa suonare incredibile) e con il valore aggiunto di una buona dose di umorismo.
Bene, torniamo alle… Bellissimo, esplode Davide porcapupattola Mana. Resto sbigottito per qualche attimo, pensando di aver toppato in qualcosa, ma poi mi accorgo che la sua esclamazione si riferisce a qualcosa che è successo nella storia del libro che sta leggendo. Infatti nei brevi istanti che io faccio la domanda, Davide sovvelocissimoaleggere Mana fagocita anche pagine intere del volume che ha in mano. Non può essere, che colpo di genio, un personaggio perfetto! continua, e questo mi da l’aggancio per la domanda successiva. Ecco, a proposito di personaggi, da dove vengono fuori i tuoi personaggi e le tue storie? qual è un tuo personaggio, o lavoro, a cui sei particolarmente affezionato?
Da ciò che leggo, dalle persone che incontro. Di solito, cerco di creare personaggi che mi interessino – perché se non interessano a me, come diavolo posso sperare che interessino a qualcun altro? E cerco dei personaggi che possano presentare delle difficoltà in fase di scrittura, che mi portino un certo livello di coinvolgimento emotivo – perché credo che se ci mettiamo un po' più di fatica, scriviamo meglio. Per cui, chissà, qualche guru della scrittura potrebbe dire che le mie storie sono “character-driven” anziché “plot-driven”. O qualcosa del genere. Io coi guru della scrittura, specie quelli che usano espressioni come “plot-driven”, ho poca pazienza.
Personaggi o lavori a cui sono affezionato – spesso no, perché una volta pubblicato e riletto, trovo ciò che scrivo sempre inferiore ai miei standard. Sono molto affezionato a Bobbie Howard, la versione parallela e femminile dell'autore di Conan attorno a cui ruota la mia storia “La ballata di Bobbie Howard”. E mi piace molto “La Regina dei Pirati di Atlantide”, la storia che ho presentato al concorso Ucronie Impure di Alex Girola – credo di aver fatto un buon lavoro, ed avrei voluto avere più spazio. Chissà che un giorno o l'altro...
Ma la storia migliore, naturalmente, è sempre e comunque quella che devo ancora scrivere.
D’un tratto dal tavolino dove sono poggiati il mio registratore e il suo telefonino parte questa musica, e visto che non può essere il mio aggeggio a riprodurla, deve essere per forza il suo. Capisco che è la soneria e Davide chebbella! Mana resta estasiato con gli occhi per aria. Il telefonino, gli faccio. Davide ebbellissima Mana non muove un ciglio e continua a bearsi della musica. Ma non rispondi? gli chiedo di nuovo, anche un po’ infastidito dalla lagna che viene dal telefono. E’ la mia canzone preferita e la voglio sentire finché finisce. Ma se non rispondi chiuderanno la comunicazione! replico spazientito io, questa volta. A questo punto rientra nel corpo e mi risponde piccato: Se vogliono, richiamano! Ho capito e tento di smorzare la tensione che potrebbe nascere. Senti, per continuare, c’è un personaggio o un fatto a cui ti senti particolarmente legato e che ha influito e influisce sulle tue scelte?
Ho molti idoli, i miei santi personali – Charles Darwin, Richard Feynman, Carl Sagan... Oppure Michael Moorcock, Harlan Ellison, Fritz Leiber... Oh, sì... ammetto un profondo rispetto per il personaggio di Harry Flashman e per il suo autore, George MacDonald Fraser. Credo potrei crearmi un mio personale calendario dei santi e riempire ogni giorno senza difficoltà. Il che significa che, alla fine, non ho un singolo personaggio di riferimento. Alla fine, comunque, credo di dovere di più, in termine di scelte e di atteggiamento mentale, a persone incontrate faccia a faccia, a relazioni umane dirette, che non all'influenza – per quanto presente – di grandi autori o personaggi.
Guardo il libro che tiene in mano ma non riesco a capire di cosa si tratta, perché le scritte sono in una lingua che potrebbe essere hindu, vietnamita o bergamasco della bassa. Vedo solo che sulla copertina è raffigurata una specie di dea indiana che fuma qualcosa di enorme e vagamente raffigurante una canna. Non oso chiedergli niente perché potrei fare la figura dell’analfabeta (“Ma lo stai guardando, davvero non lo sai!? Tse!”), così procedo con un’altra domanda che è abbastanza spinosa, quindi la faccio e basta, senza preamboli. Ti piace l’Italia oggi? quali sono i suoi pregi, i difetti, le potenzialità?
Non mi piace esageratamente – credo che i difetti, primo su tutti il desiderio feroce di non avere responsabilità, seguito a ruota da un'assoluta mancanza di compassione, abbiano soffocato tanto la proverbiale brillantezza dell'italiano improvvisatore, un po' cialtrone ma onesto, quanto le potenzialità coltivate spesso faticosamente per anni.
Siamo un paese che invecchia rapidamente, intrappolato in un presente esteso in cui non esistono più né il passato né il futuro... come una permanenza forzata in una colossale casa di riposo in cui si attende la morte,e chi può permettersi di allungare una mancia alle infermiere magari ha due porzioni di torta la domenica.
Il desiderio di andarsene è ormai generalizzato. La consapevolezza di avere una scadenza – la mia, coincidente con la fine del mio dottorato di ricerca, è il fatidico 2012 – rende più facile distaccarsi, mollare, andarsene. C'è un'espressione poco educata della lingua inglese, “andare a piantare la propria croce sull'altra collina” - ecco, quando l'ipotesi di una vita durissima altrove diventa preferibile a ciò che il tuo paese ti offre, credo si sia arrivati al capolinea. Poi, nulla da dire sul paesaggio, l'arte, la civiltà antica e la storia. Paradossalmente, nulla da dire sui singoli cittadini – tutti gente fantastica, presi uno per uno. È l'Italia come sistema, di cui ciascuno di noi è una parte, che è ormai arrivata alla fine della corsa.
Con questa mi è andata abbastanza bene, nel senso che non aveva un’espressione tanto schifata mentre rispondeva, e ha riabbassato gli occhi soffermandosi sul libro solo 3-4 volte. Perciò mi faccio coraggio e faccio subito la successiva. Cosa pensi dei flussi migratori che negli ultimi venti anni stanno cambiando gli equilibri culturali, sociali e politici d’Italia e d’Europa?
In prospettiva storica, i grandi movimenti migratori ci sono sempre stati e – in retrospettiva – hanno sempre portato ad un rinnovamento vitale. Ed in prospettiva ecologica, la varietà è essenziale per la robustezza e la vitalità di un sistema. L'incapacità operativa dimostrata dall'Italia e dell'Europa nel reagire costruttivamente trasformando la tragedia (questi non sono turisti, questa è gente che sputa sangue un chilometro dopo l'altro) in risorsa, è la dimostrazione che Marshall McLuhan aveva ragione – la politica ci fornisce le risposte di ieri ai problemi di domani. Un esempio classico – il riemergere di spettri che si credevano sepolti con la Seconda Guerra Mondiale, se non con la Guerra dei Trent'Anni.
Stiamo finendo perciò andiamo un po’ più sul velluto, sul facile facile. Vorrei chiedergli qualcosa del Lemuria Social Club (che non ho capito perché una specie di casa editrice digitale -avete presente i vecchi Millelire?- abbia un nome così esotico) ma ho paura che si imbarchi in qualche discorso sull'indissolubilità di corpo e anima nella filosofia ming antica. Così rilancio in scioltezza: una cosa, una qualunque, che vorresti restasse di te.
Questa è difficile.
Mi piacerebbe riuscire a lasciare questa idea che sottoscrivo in pieno, che la specializzazione, in qualsiasi ambito, è l'anticamera della morte. Che la competenza richiede varietà, che le suddivisioni in materie, ambiti, dipartimenti, stili, generi, è solo una grossa sciocchezza quando applicata alla vita reale, che l'esperienza e la curiosità sono indispensabili e non possono avere confini o limiti. Che poter dire “Non lo so” è una grande opportunità, perché significa che c'è ancora spazio per esplorare.
Ma credi che mi daranno retta? Bah!
E’ finita! Come scrivevano sulle porte dei cessi delle stazioni le reclute a fine naja. Penso di esserne uscito abbastanza bene. Ora so qualcosa in più di Davide essiamonoi!essiamonoi! Mana, e anche l’atmosfera è molto più rilassata. Il riflesso del cielo è stupendo e non mi sono reso conto che abbiamo fatto sera! Abbiamo passato tutta giornata a parlare e non ho sentito neanche l’esigenza di andare a fare un po’ d’acqua! Miracoli della (fanta)scienza! Gli sparo l’ultima domanda, per evitare che succeda qualche altra cosa fuori dal normale: dove andrai in vacanza quest’estate?
Non lo so. Ho un sacco di lavoro da fare, un sacco di cose in via di sviluppo, e pochissimi soldi. Pessimo cocktail. Mi piacerebbe cominciare un pellegrinaggio dei musei fondamentali – l'Egizio di Torino, l'Oceanografico di Monaco, il NSM di Londra... uno in ogni weekend per il mese di settembre.Non sarebbe male. Ma forse resterò in panciolle sotto ai ciliegi, con una pila di libri.


Insomma le vacanze Davide spostatevidalsole Mana le ha già iniziate. O la sua vita è tutta una vacanza che interrompe con qualche giorno di lavoro? Mah!?


TIM

(Le altre interviste possibili: Nick, Simone M., Glauco, Alex, Edu, Ariano, Elvezio, Luca, Gelostellato ed Enzo)

lunedì 20 giugno 2011

La capanna della sofferenza


rubata qui

Sono stato in posta stamattina, ci vado almeno una volta al mese per pagare i bollettini vari che sommergono le nostre esistenze e ci svuotano il portafoglio.
Naturalmente non funzionava niente o quasi e sono rimasto ad aspettare per una buona mezz'ora.
In questo tempo di attesa avevo intenzione di aprire il Cybook e immergermi nella lettura di qualcosa. Invece la mia testa ha cominciato a vagare, anche grazie ad una signora vicino a me che parlava della scomparsa in giovane età di una sua amica. Questo mi ha fatto venire in mente un'usanza di alcune tribù tibetane del nord, che non so neanche dove ho letto o sentito.
Se c'è nel gruppo un malato, questo viene posto in una tenda al centro delle altre (che sono normalmente poste in cerchio) e qui resta fino alla guarigione o alla morte. Ma la particolarità è che ogni giorno qualcuno lo va a visitare e gli porta un dono. Non qualcosa di particolare o di strano, ma semplicemente una radice, una foglia, una piuma d'uccello, qualcosa così, insomma. E il malato capisce, guardando questi oggetti, che non è solo nella sofferenza.
Quest'immagine mi ha fatto riflettere sull'importanza che la nostra società dà alla persona malata, specie in fase terminale. 
Io ho perso i miei genitori a distanza di 2 anni e mezzo, entrambi a causa di un tumore al fegato. Mio padre è stato ricoverato prima un paio di volte per poche ore al pronto soccorso nell'arco di 15-20 giorni; poi dopo l'ultimo ricovero la notte di ferragosto è rimasto in ospedale per una settimana ed è morto. In quei giorni è stato tartassato con prelievi quotidiani per controllare i valori del sangue, continue terapie con iniezioni e compresse (anche quando aveva difficoltà a deglutire), gli hanno messo una mascherina particolare per ossigenarlo, ecc. E la mattina che è morto era talmente stufo di tutto questo che, in stato semicosciente, ha strappato di mano all'infermiera l'ago con cui gli stava facendo l'ennesimo prelievo, sporcando di sangue tutto ciò che stava intorno. Dopo un paio di ore ha chiuso gli occhi. Gli stessi medici che l'hanno assistito avevano comunque detto che era destinato a spegnersi nel giro di pochi giorni.
Dopo quest'esperienza di accanimento nei confronti di mio padre, quando mia madre è arrivata allo stesso punto, ho preferito tenerla a casa, anche perché lei aveva sempre detto: "fatemi morire a casa mia". Naturalmente ha avuto tutta l'assistenza medica possibile, anche grazie ai medici di un associazione di volontariato che qui a Vercelli segue i malati in fase terminale. E mia madre è spirata tranquillamente, senza che prelievi e terapie varie le prolungassero l'agonia.
Davanti ad una persona che sta morendo, io penso, dobbiamo pensare anzitutto alla persona, non al nostro rapporto con lei. Mi spiego. Se pensiamo che stiamo perdendo un familiare probabilmente ci viene naturale dire (o gridare) dentro di noi: non voglio. Ma la morte è l'unica certezza della vita, si dice. E prima o poi dobbiamo morire tutti. Perciò ritengo che bisogna sempre chiedersi qual'è la cosa migliore per la persona che si ha davanti, sia che questa stia bene sia che, a maggior ragione, stia male.
Chi arriva a quei momenti, normalmente, capisce che sta morendo e capisce pure, per quanto questa cosa possa procurargli dolore nell'animo, che è inevitabile. Perciò ritengo, forse a torto, che voglia soffrire il meno possibile.
Non voglio qui impelagarmi in discussione su eutanasia e cose di questo tipo, ma semplicemente ragionare con voi sul far seguire alle cose il loro ritmo naturale.
Come quel tibetano nella tenda: alla fine morirà pure, ma ogni giorno potrà vedere dalla foglia e dalla radice che non è solo. E che tutti lo rispettano perché è ancora uno di loro, fino alla fine.
TIM

venerdì 17 giugno 2011

Le interviste possibili: Enzo Milano

 Guardando la foto qui di fianco mi vien voglia di immaginare questa chiacchierata con Enzo Milano al tavolino di un bar, di quelli di ferro rotondi, che ti fa venire in mente un cynar, quello di una volta, quello di Ernesto Calindri. Tutt’attorno il traffico, auto che strombazzano e noi due seduti a ciarlare degli affari nostri, davanti ad un bicchiere lungo e ottagonale. Però a ben vedere quel pizzetto e quelle strisce nere sul colletto e sui polsini hanno un che di inquietante. Forse è per questo che tutti lo chiamano l’uomo lupo? E che una sezione del suo blog si chiama
la genesi del lupo? Sicuramente in molti l’abbiamo conosciuto attraverso la sua produzione letteraria, ma vediamo se la persona che esce fuori dalle sue risposte coincide con l’idea che ci siamo fatti di lui.


Per chi non sa niente di te, in due parole…



32 anni, nato e cresciuto nella provincia di Milano, ma di origini campane. Convivo da 4 anni con una psicologa (non a caso) e ho un figlio, Fabio, di 9 mesi.
Sarà bello alla fine di queste interviste fare la conta tra polentoni e terroni! Ma cerchiamo di cominciare… dall’inizio. La tua infanzia e adolescenza di che tipo di letteratura, cine-tv, musica, è stata popolata? C’ero lo zampino della tua famiglia nelle tue scelte?


Il primo autore che ho letto con continuità, e che mi ha influenzato di più, è senz’altro Stephen King. Sono cresciuto con i vari cartoni animati sui robottoni che andavano qualche anno fa (Transformer, Voltron, Mazinga, Ufo-Robot) e con la saga di Star Wars. La musica, invece, è arrivata un po’ più avanti, con i Litfiba di Piero Pelù. La mia famiglia non mi ha particolarmente influenzato, ho scelto ciò che m’interessava con assoluta libertà.


Bene, sono contento di questa libertà che hai avuto. Evidentemente c’è ancora in giro gente che non ha i paraocchi in certe cose. E ora come sono cambiati, se lo sono, i tuoi gusti?



Per quanto riguarda la lettura sono diventato sostanzialmente onnivoro. Leggo qualsiasi cosa, purché di genere. Così come la musica, dove mi piace un po’ di tutto senza eccezioni. La TV l’ho abbandonata da anni, nel 90% dei casi non ha contenuti che m’interessano. Prima che diventassi padre frequentavo spesso i cinema, ora sono per forza di cose passato ai DVD. Un buon film non si rifiuta mai.

Sei nato e cresciuto dalle parti di Milano. Ti piace questo posto e come ti ha influenzato?

Mi piace e non mi piace allo stesso tempo. Milano ha troppo di tutto: bianco, nero e un’infinita varietà di grigi. Ma, abitando in provincia, riesco a godermela mantenendo un equilibrio soddisfacente. Per quanto detto, la metropoli offre quasi giornalmente spunti per storie di ogni genere. Le sollecitazioni non mancano di certo.

Ci sono alcuni degli intervistati che hanno detto di avere una famiglia a cui non interessa niente di quello che fa, altri che invece sono seguiti. Qualcuno addirittura ci tiene a… non far sapere niente! E la tua famiglia di che tipo è, da questo punto di vista? Si interessa o potresti anche vincere il Campiello e resterebbe indifferente?

Sì, si interessa in parte. Ho una piccola ma agguerrita schiera di fans nella mia famiglia, soprattutto per quanto riguarda ciò che scrivo. Il supporto più continuativo e importante, comunque, arriva dalla mia compagna. Anche perché il tempo che trascorro a scrivere lo sottraggo, principalmente, a lei e al mio piccolo.

Molti vorrebbero che chi gli sta vicino non gli stesse col fiato sul collo, specie la sera quando le idee ti arrivano e non le puoi lasciare andare così. Quindi sei un uomo fortunato, almeno da questo punto di vista. Gli amici, invece, come li scegli? e loro, i colleghi di lavoro, condividono i tuoi stessi interessi, conoscono la tua passione per la scrittura o sanno che gestisci un blog che magari si interessa di ‘cose strane’?

Gli amici sono una componente importante per la mia passione. Anche se non condividono i miei stessi interessi, sono comunque quasi tutti dei lettori forti, e non aspettano altro che io scriva un nuovo racconto. Sono un forte stimolo. Con la parte di amici in rete, invece, ci si è trovati e conosciuti proprio per la comunione di passioni e interessi, quindi è senz’altro molto coinvolgente discutere con loro di articoli, progetti, letture e quant’altro.

La foto che mi hai mandato e che ho messo a inizio post, col tuo bel gilet, sa di personcina a posto, di quelle che la domenica porta la famigliola in chiesa alla messa delle undici. Ma tu, sei credente?

No. Sono appassionato di miti, folclore e leggende che possono anche avere a che fare con religioni passate o odierne, ma l’argomento “credo” mi tange poco.

Eppure, ci avrei giurato; è proprio vero che l’abito non fa il monaco! Veniamo alla tua attività di scribacchino: da dove vengono fuori i tuoi personaggi e le tue storie? Qual è un tuo personaggio, o lavoro, a cui sei particolarmente affezionato?

Alcuni miei personaggi vengono fuori da me stesso, nel senso che sono delle copie più o meno mascherate di quello che ero, che sono o che sarei voluto essere. Tutti gli altri seguono lo stesso ragionamento, ribaltato su parenti, amici e conoscenti. Quando creo un personaggio, primario o secondario che sia, devo quasi sempre avere nella testa una persona reale di riferimento. Il mio personaggio preferito in assoluto è ancora inedito. Lo vedrete nel mio prossimo romanzo.

E invece un personaggio a cui tu ti senti particolarmente legato e che ha influito sulle tue scelte?

Che ha influenzato la mia vita direi di no, però mi sono parecchio affezionato al Risorgimento. Ho già dedicato diverse opere a quel periodo, e ne arriveranno presto delle altre.

Risorgimento, 150enario dell’Unità d’Italia, prima e seconda Repubblica (dovremmo fondarne una terza o basta rimettere a posto quella che c’è? mah, lo scopriremo solo vivendo!): l’Italia di oggi, ti piace? quali sono i suoi pregi, i difetti, le potenzialità?

 
Potenzialità enormi, nella maggior parte dei casi sprecate. Non ti dico che non mi piace perché non vedo da altre parti nel globo un cosiddetto paradiso terrestre. La mia famiglia è abbastanza “sparsa”, parlo a ragion veduta.


Come me anche la tua famiglia è fatta di emigranti. Magari siamo saliti col trolley invece che con la valigia di cartone, e con l’aereo invece che col treno, ma comunque sia un giorno abbiamo chiuso una casa al sud e ne abbiamo aperta un’altra qui al nord. Da figlio di emigranti, cosa pensi dei flussi migratori che negli ultimi venti anni stanno cambiando gli equilibri culturali, sociali e politici d’Italia e d’Europa?

 
Vengo da una famiglia di viaggiatori, che solo dalla mia generazione in avanti si è sostanzialmente fermata. Dai racconti dei miei genitori e, soprattutto, dei miei nonni, mi rimangono delle immagini non troppo dissimili da quelle di oggi. Disagio, povertà, difficoltà a integrarsi, criminalità più o meno associata. Un insegnamento trasmessomi? Riga sempre dritto e fai il tuo dovere, i risultati arriveranno. E, se e quando arrivano, tutti ne sono arricchiti. Ne ho diversi esempi.


Siamo alla fine e restano solo due domande. La prima: una cosa, una qualunque, che vorresti restasse di te.

 
L’ho avuta circa 9 mesi fa. Mio figlio.
Molto bella questa risposta. E, per il gran finale: dove ti troveremo in vacanza quest’estate? e quando ci andrai?

 
Andrò ad Agosto. Al mare (è un must) con la famiglia.
Fine dell’intervista. Spegniamo i riflettori. Facciamo i nostri migliori auguri a Enzo e speriamo che ci regali tanto altro bel materiale da leggere, per il nostro divertimento e per quello di chiunque avrà la fortuna di incontralo un giorno o l’altro sulla sua strada.

Intanto questa è la sua musica.

TIM

(Le altre interviste possibili: Nick, Simone M., GlaucoAlex, Edu, Ariano, Elvezio, Luca e Gelostellato)


martedì 14 giugno 2011

Le interviste possibili: Raffaele "Gelo" Serafini

Non potevo che prendere quest'immagine (se l'è voluta lui, quando mi ha dato mano libera!) per rappresentare Raffaele Gelostellato Serafini, l'ideatore tra l'altro del Fun Cool! e della GeLotteria. Ma anche l'autore di Bare per barattoli, Usciti dalla fossa, Quadri per prigioni, Natale sotto spirito e del racconto Decadenza con cui ha vinto, insieme ad altri quattro autori (tra cui Matteo Poropat e Luigi Brasili NeroPremio. Ma se non lo volete fare, per così dire, innervosire andate a consultare la sua bio-bibliografia completa, che trovate qui. (E ve lo dico dopo essermi preso una ca***iata paurosa perché non ero preparato sull'argomento!).
Perché è difficile prendere sul serio Gelo, ma è colpa sua, non sai mai quando scherza o quando è serio. Sarà colpa dell'essere nato e cresciuto in una terra particolare? Quale? Vediamo se ce lo svela lui stesso qui dappresso.

Cominciamo con qualche notizia anagrafica.

Eh no, porcapassera, se cominciamo con delle domande grafiche non andiamo d'accordo! Ah, okay, scusa, ho letto male... vuoi sapere le cose come quelli là del faccialibro, eh... Birbone! Nato nel '75 sotto il segno del leone e vivente in mezzo al Friuli. Dovrebbe bastare. Come dici? Più dati? Il numero di telefono lo trovi nei bagni di un qualsiasi autogrill e il resto lo trovi sul blog o nel mio sito porno. (No, non ho un sito porno, ma mi hanno insegnato che se scrivi porno, sul web, arrivano più clic).

Leone, eh! bene, noi leoncini ruggiamo molto, ma molto dipende anche da chi ci sta davanti! ricordi Totò e Fabrizi? se uno non s'intimida... Iniziamo con le domande di avvicinamento. Parlando di letteratura, cine-tv, musica, con cosa sei cresciuto? La tua famiglia ti ha in qualche modo condizionato?


A parte che se aspettavo di crescere con letteratura, musica e TV a quest'ora sarei un corpicino putrefatto o mummificato, comunque no. Alla TV guardavo i cartoni animati, al cinema non ci vado da anni per mancanza di tempo (il che non vuol dire che io non guardi i film) e come letteratura leggevo quel che trovavo in biblioteca comunale, da adolescente, e di cui non ricordo praticamente nulla, eccetto che mi piacevano i mostri, sì, quelli sempre. Ah, ecco, in famiglia eravamo poveri, e i soldi servivano soprattutto per il semolino e i formaggini – per il sostentamento fisico – ma c'è una cosa che mi compravano sempre: enciclopedia e libri da colorare. Poi però andava a finire che leggevo solo le enciclopedie sugli animali e le piante. Sono infallibile in quegli argomenti! Il mammifero più veloce? Ghepardo, 120km/h! L'insetto? Il bombo! L'animale più longevo? Il tuatara! (okay, ci sarebbero i vermi di mare, ma mi schifano e non li voglio nominare). Insomma, le enciclopedie le leggevo.
Un tipo da Lascia o Raddoppia, insomma! E poi, come sono cambiati i tuoi gusti?


Le enciclopedie non le leggo più è vero... mi sono dato alla lettura varia, ogni libro che leggo mi dà qualcosa, e più leggo più mi accorgo di quanto sono ignorante e di quanto sia spocchiosa l'idea di scrivere senza aver letto tantissimo e bene. La TV non la guardo più e al cinema continuo a non andarci. E continuano a piacermi i mostri, questo sì. Mi sono dimenticato qualcosa? Ah sì, certo, la musica! Per fortuna ora se ne può ascoltare tantissima e io ne ascolto tanta. Di quella in effetti non so star senza. Poi certo, appartengo e apparterrò sempre agli orfani del grunge, ma sono debolezze con cui bisogna convivere...
Sulla TV siamo perfettamente d'accordo, meglio un buon racconto da leggere, o da scrivere. E a proposito di scrivere: il posto dove sei cresciuto e vivi, ha influenzato la tua scrittura e, più in generale, la tua vita?
Dài, su, per una volta ti rispondo seriamente. Vivo in un Universo, come diceva Nievo. Ho il mare la montagna, la collina, la laguna, il lago, il fiume, la pianura, i boschi tutto a meno di mezzora d'auto. Vivo in un buco di paesetto rurale che ignoro e mi ignora e non potrei chiedere di meglio, anche perché la sera prendi, fai due passi, e magari vedi la volpe, il picchio o uno scoiattolo e ti riconcilia la giornata. E poi posso usare i gatti come fossero presenze e le oche come fossero cani. Parlo, scrivo e insegno lingua friulana e mi piace, filtro la vita e le cose che faccio attraverso ciò che conosco meglio e ciò che conosco meglio è il posto dove sono nato e vissuto. Certo, non significa che scriva solo cose ambientate nel mio intorno, perché si può scrivere di dovunque e c'è il web ad aiutarti, ma quando scrivo di un mostro che nuota nelle acque di sorgiva, vestito di trote e libellule, io so di cosa parlo.
La tua famiglia, invece, si interessa a quello che fai ora da punto di vista, diciamo, artistico?
Certo! Però ora che mi sono ritirato dal fare concorsi, i miei sono un po' infastiditi, perché a loro piace venire alle premiazioni, soprattutto quando c'è il rinfresco! Io invece le odio, e vorrei avere un doppelgänger da mandare a tutte le cose sociali... Sì, anche dalla morosa, sì!
Bisogna stare attenti a dire pubblicamente certe cose. qualcuno potrebbe cogliere la palla al balzo e andare da lei a nome tuo, e, come direbbe il principe, da cosa nasce cosa... Mah, de gustibus... . Ecco, i gusti: come scegli gli amici ? E chi ti sta intorno, condivide i tuoi stessi interessi, conosce la tua passione per la scrittura o sa che gestisci un blog che magari si interessa di ‘cose strane’?

)
Suvvia... si scelgono gli amici? Naaaa... è come con le farfalle: a volte sullo stesso fiore per anni, altre in continenti diversi. Ma sempre farfalle si è, poi ogni tanto fai amicizia con un calabrone, o una zanzara... ma sono cose che vanno. I colleghi di lavoro sì, sanno della scrittura, del blog e di tutto il resto: altrimenti come farei a obbligarli alle presentazioni di libri e a partecipare alle cazzate del blog?
Posizione particolare la tua, ma rispettabilissima, visto che nasce, credo, da una riflessione non superficiale.Questa domanda non è più seria delle altre, perché ogni aspetto della vita di una persona va preso seriamente, anche se si scherza un po': tu sei credente?

Insomma, che domanda da un milione di neuro! Per credere si crede sempre, a qualcosa, se non altro nella sfiga o negli altri o nella spiritualità o – proprio se ti va di culo – in te stesso. Poi che sia uno o che sia un altro, credere alle divinità è inversamente proporzionale al livello di cultura e di felicità. E per ora sono stupido, ma felice.

E d'altra parte è la posizione di moltissime persone che ritengono che l'orizzonte che bisogna guardare per scoprire la verità non debba essere a partire dall'alto, ma dal basso. Cambiamo argomento: da dove vengono fuori i tuoi personaggi e le tue storie? qual è un tuo personaggio, o lavoro, a cui sei particolarmente affezionato?

Personaggi... tempo fa ti avrei detto che vengono così, da un'idea, da un conoscente, da una caratteristica. Sarebbe stata una risposta superficiale e sciocca. Accanto al processo creativo c'è molto, moltissimo di non creativo, per produrre uno scritto non mediocre. I personaggi devono venire da quanto sopra, ma vanno modellati dalle necessità della storia, del contesto, del fine da raggiungere... insomma. Non si improvvisano, si studiano e si disegnano. Poi logico, anch'io adesso che parlo con te e ho pensato a un giovanotto che fa diventare animali le canzoni plasmandole con le mani ho voglia di scrivere di lui, ma bisogna vedere la storia che ci sta intorno. Magari diventa donna e vecchia. :)
Sempre in tema di personaggi, ma questa volta storici, ce n'è uno a cui ti senti particolarmente legato e/o che ha influito e influisce sulle tue scelte?
No. Non mi viene in mente niente e nessuno, quindi penso che la risposta sia no.
So che rischio un risposta pepata anzicchennò, ma nell'anno del 150mo dell'unità d'Italia questa domanda sicuramente abusata te la devo fare lo stesso, anche per correttezza verso tutti gli altri che hanno già risposto: ti piace l’Italia oggi? quali sono i suoi pregi, i difetti, le potenzialità?
È una battuta, vero? Siamo un Paese adorabile, che può, in potenziale, eccellere in quasi tutti i campi del vivere, ma siamo anche un popolo esecrabile, in quanto soggetto a dar corda ai difetti umani – egoismo in primis, ma anche ignoranza, superficialità, boria e inettitudine – in modo da lasciarli dominare e porre il Paese intero in balia di una qualsivoglia deriva negativa, sia politica, di costume, sociale o semplicemente, di personalità degli individui. Dando uno sguardo storico, siamo uno dei pochi Paesi che ha sfruttato e sta sfruttando le grandi innovazioni tecnologiche del Novecento (telefono, televisione, informatica, scoperte scientifiche...) cogliendone solo i lati negativi e amplificandoli. Siamo un Paese fenomenale, per certi versi, perché le rivoluzioni vengono inglobate dallo status quo, che successivamente si ripresenta innovato, dopo aver depurato la rivoluzione dagli aspetti positivi. Prendi l'avvento dell'ebook, per farti un esempio breve e rapidissimo. Invece di sognare e realizzare una istruzione che viaggi con libri digitali liberi, migliori e a costo zero l'Italia è riuscita a evolversi in libri digitali gratuiti fino a ieri per diritti d'autore scaduti che ora costano 8-10 o 20 euro... Serve dire altro?
Sicuramente sono quelle cose che ti fanno passare la voglia di vivere in questo posto. Ma penso che la maggior parte dei Paesi europei non sia messa meglio di noi. Questo non migliora la nostra situazione o non ci giustifica, ma come si suol dire: mal comune mezzo gaudio. E della situazione dei flussi migratori che negli ultimi venti anni stanno cambiando gli equilibri culturali, sociali e politici d’Italia e d’Europa, cosa ne pensi?
Mi piace il kebab, ma non digerisco le cipolle, e vado sempre al cino giapponese, dove puoi mangiare, a pranzo, per otto euro, tutto quello che vuoi. Ma proprio tutto eh. Capisci? Io mangio così tanto che poi per due giorni potrei fare a meno. E puoi farti anche il gelato da solo, con il fapalle, che è una cosa fantastica e ti consiglio di provare. Tu metti le palline tipo di fragola, di limone e di cioccolata, e magari puoi fare anche i giochetti, mescolare e sciogliere. Anzi, se vuoi, ma questo è proprio da perversi, puoi metterci la banana fritta sopra e poi coprire tutto con panna. Certo, è inevitabile che i gusti si mescolino. Il gelato è fatto per sciogliersi, per evolversi, e prima o poi si mescolerà agli altri gusti. Però, se vuoi delle buone coppe di gelato, devi avere tanti gusti diversi e ben distinti, altrimenti i mix non funzionano. Okay? Comunque, come anche la tua domanda, è molto influenzata dai media. Non per farti arrabbiare, ma i flussi migratori recenti sono irrisori rispetto a quelli del passato secolo, e le modifiche interrazziali, su scala mondiale, sono altrettanto poca cosa. Sono i media che ci spingono a pensare che “stanno cambiando gli equilibri culturali, sociali e politici d’Italia e d’Europa”. Cosa che è inevitabile, sta succedendo da millenni e prima o poi sarà meglio decidersi a gestire – come Paese e come individui - se proprio non vogliamo fare quelli che cercano di vuotare la propria barca con un cucchiaino da caffè, invece di scoprire che l'acqua è bassa, si tocca, e molti sono già a riva a prendere il sole.
Io non mi arrabbio, le mie domande sono sempre provocatorie, anche quando chiedo: quanti anni hai? perché mi si potrebbe rispondere: quelli che ho, quelli che mi sento, o quelli che mi danno gli altri? sta a chi risponde saper interpretare al meglio l'imbeccata. Quindi fai benissimo a rispondere in questo modo. Capisco la tua risposta perché è vero che abbiamo avuto periodi storici di migrazioni a carattere biblico (nel senso letterale del termine!) ma ritengo che questo nostro periodo abbia sicuramente qualcosa di diverso e particolare rispetto al passato, almeno quello prossimo. Ed ora, se abbiamo fatto la pace, ti chiedo di dirmi una cosa, una qualunque, che vorresti restasse di te.
Qualche bella storia, di quelle che ti passeggiano in testa per anni.
E in vacanza quest’estate, dove ti troviamo?


A Lignano, al mare. Leggere, dormire, correre e sguazzare. Nient'altro.
Vuoi aggiungere qualcosa, che so una domanda che... ti sorge spontanea?
Aggiungere una domanda? Ma non mi hai già tediato abb... ah okay, va bene, devo cercare di essere simpatico e non far capire che odio la gente. Dunque, la domanda è: perché hai scelto la canzone che ti ho chiesto di scegliere?
Dunque. Quella della canzone che ti rappresenta è una mia vecchia fissa. E in realtà non c'è una canzone che ci rappresenta, è ovvio. Ce ne sono tante, a seconda dei momenti del giorno e del vivere. Però ti dico di mettere Plowed degli Sponge, che sono un pessimo gruppo pseudogrunge, e quest'album è pessimo, ma la canzone, anch'essa niente di che, ha un inizio che spesso mi fa pensare: ecco io vivo così. Poi magari penso anche che Pet Cemetery dei Ramones è la canzone più bella del mondo e quando non sono gli Sponge, sono i Ramones, ma come link ti dico “Plowed”. Cercatelo tu, però. :)
Ah, per la foto puoi prendere qualunque cosa di mio tu trovi per il web, anche la foto di un dodo che balla il tip tap, se la trovi.
Ma io avevo pensato a qualcosa di più personale. Spero che ti piaccia quella che ho scovato sul tuo Salvadeat. Allora abbiamo finito? Pensi che possa bastare così? Che ne dici?

Sì, tranquillo. La foto non la guardo nemmeno, ché sono indifferente al pensiero altrui, su queste cose. Ciao a tutti i poveretti che sono arrivati a leggere fin qua. Fatevi offrire un birra, va, ve lo meritate...

(Le altre interviste possibili: Nick, Simone M., Glauco, Alex, Edu, ArianoElvezio e Luca
Bene. Sono contento di essere uscito vivo da quest'intervista, ma vi giuro che ho dovuto sudare parecchio, e non perché faccia caldo, ché fuori c'è un temporale coi controfiocchi. Alla fine ho dovuto sobbarcarmi anche un trasloco veloce, perché c'erano due tizi con facce poco raccomandabili che stazionavano sotto casa mia da giorni (poi ho scoperto che erano Testimoni di Geova infuriate, ma ormai era troppo tardi!). Ed ora un saluto e alla prossima. Gelo... ehi Gelo... dove sei? Ma che fai lì sopra!? Scendi che è pericoloso!...

TIM
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