venerdì 24 ottobre 2014

"Lasciar andare" le persone care


Spesso diciamo che è umanamente normale soffrire per la perdita di una persona cara.
Ed è verissimo, sia nel senso positivo: soffriamo perché siamo uomini, non c’è niente di cui vergognarsi; sia nel senso ‘negativo’: soffriamo perché siamo ancora troppo uomini.
Ciò che contraddistingue la nostra umanità, oltre a tutte le bellissime qualità che spesso rendono ancor più bella la vita (pensiamo al riso di un bambino, alla bellezza di una persona anziana che emana pace dai propri capelli bianchi e dalle proprie rughe… ), è proprio il mettere sempre il nostro ego al primo posto.

Non voglio usare la parola “egoismo” perché nella nostra cultura è piena di significati negativi, ma dovrebbe essere così.
La vita dell’anima umana dovrebbe trascorrere nel purificarsi, cioè nel far diminuire in noi la nostra egoità e nel far crescere conseguentemente e in proporzione la nostra anima spirituale. Così come dice Giovanni il Battezzatore davanti a Gesù: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). In questo caso Giovanni è lo specchio della nostra umanità che non può andare oltre, non può sostituirsi alla divinità manifestata in Gesù, ma può solo perdersi in Lui.
Giovanni termina il suo ministero in terra nel momento in cui viene decapitato (Marco 6,25-30), quando cioè non ha più la possibilità di esprimere materialmente nella predicazione la superiorità della figura di Gesù: ormai il sasso era stato lanciato e l’annuncio fatto.
E d’altra parte muore proprio perché ha terminato il proprio compito sulla terra: “Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce.” (Gv 1,6-8)
Gesù dice: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,3). Se, cioè, non arriverete a pensare come i bambini, che non hanno ancora il senso della distinzione tra loro e il mondo esterno, non potrete entrare in un mondo (il regno dei cieli) dove questa distinzione non esiste perché Dio è tutto in tutti: “E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.” (1Corinzi 15,28).
Ciò significa che, in un modo che ancora non comprendiamo, siamo un’unica realtà con chi ci sta accanto, con chi vive dall’altra parte del mondo, con la piantina che coltiviamo sul nostro balcone e con la natura intera.
E siamo una sola realtà anche con la persona cara che ha lasciato questo mondo.
Proprio come noi, come Giovanni il Battezzatore, anche lei aveva un compito in questa vita, ed è normale che una volta portatolo a termine abbia lasciato il proprio corpo.
Se andiamo a trovare qualcuno per portargli un messaggio o per salutarlo, una volta terminata la visita andiamo via, non rimaniamo più lì. E lo stesso è per l’uomo che porta a termine il progetto che aveva fatto prima di incarnarsi proprio in “questa” vita.
Allora perché piangere (se non per motivi “umani”, come dicevo all’inizio) per chi ci lascia?
Anche se la persona ci era molto cara, molto giovane, molto brava. Esiste addirittura un modo di dire: ‘sono sempre i migliori quelli che se ne vanno’. Ed è proprio così: “ce ne andiamo” da questa vita quando abbiamo terminato il nostro viaggio, lo scopo per cui eravamo venuti.
Non resta che pensare, perciò, che chi muore giovane, evidentemente, aveva “programmato” la purificazione di alcuni aspetti del proprio karma che hanno richiesto quel 'poco tempo' per essere portati a compimento.
Per tornare da dove abbiamo cominciato, volere che gli altri vivano la loro vita insieme alla nostra, che non ci “abbandonino” mai, è egoismo: siamo un tutt’uno con tutti, stiamo bene con chi amiamo, ma proprio perché li amiamo dobbiamo volere che facciano al meglio la sua strada. E quando la loro strada è compiuta non abbiamo altro modo per esprimergli il nostro amore se non lasciando che vadano per cominciare un altro viaggio.


Juan Segundo

(questo articolo è già stato pubblicato sulla pagina del gruppo di condivisione biblica La Lampada)

5 commenti:

  1. All'atto pratico però non è mai così. Accettare la morte di una persona cara, soprattutto se giovane, è doloroso anche per chi è sorretto da una fede molto grande.

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  2. E' un modo "interessante" di vedere la cosa, ma è davvero tanto difficile accettarlo. Un abbraccio

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    1. Ciao, Francesca e ben tornata! Il principio non è quelo di vedere le cose una separata dall'latra, ma di far rientarre tutto in un progetto generale. Così se partiamo dal credere alla reincarnazione, allora viene naturale accettare una spiegazione del genere. E come questa tante altre cose che, purtroppo, ci portiamo dietro come retaggio di una cultura cattolica che ci ha tagliato la capacità di ragionare, di vedere le cose da altri punti di vista, di trovare perciò altre risposte. Leggere e rileggere la bibbia tenendo conto del fatto che l'anima è, sì, una ma che percorre la sua strada nell'arco di molte vite incarnate ci permette di vedere più chiaramente anche aspetti pratici della vita di tutti i giorni. un abbraccio!

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  3. capito a fagiolo....6 mesi fa se ne andava Mathias...e io ancora adesso non riesco ad accettarlo :(

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  4. @Ariano, @Donata: non dico che "umanamente", come ho detto all'inizio, non sia difficile, lo è stato anche per me quando ho perso 2 cugini molto più giovani di me. Ma dopo i primi momenti ho capito che tutto rientrava in un piano, un piano che non avevo scritto io e che, anche se in quel momento non lo comprendevo, era per il meglio. grazie per il vostro contributo!

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