venerdì 30 marzo 2012

Alcune cose che farò nella prossima vita

(qui
(aggiunta delle 15,40)

--ATTENZIONE! DISCONOSCIMENTO DI RESPONSABILITA'!
Questo non è l'inizio di una catena di S. Antonio, né una Top Five o Top Ten.
È solo un post sul mio blog.--


(fine aggiunta)


Come voi sapete, e se non lo sapete ve lo dico adesso, io credo nella reincarnazione.
Almeno per ora. Domani potrei cambiare idea, come ho fatto per decine di cose anche essenziali nella mia vita. Nel qual caso sarete i primi ad esserne informati.
Credo che siamo un'entità in crescita, o quantomeno in cammino, e che maturiamo di incarnazione in incarnazione.
In questo momento non è proprio il caso di fare discorsi sui massimi sistemi; sappiate solo che sono in una fase in cui sto perdendo ogni attrattiva per una fede che si basi sulla credenza dell'esistenza di un dio, di qualsiasi tipo. Da tempo, invece, ho acquistato la certezza che le religioni, di qualsiasi tipo, siano la tomba della fede.
Ora che ho finito di pontificare sulle verità assolute (forse ci ritornerò, e sarà un segnale. Non capite cosa sto dicendo? fa niente; forse Angelo ha afferrato, vero Swordman?) vengo all'argomento del post.
(Però, adesso che rileggo l'introduzione mi sembra che di carne al fuoco per un post ce ne sia già abbastanza, e potrei conservare il resto per un altro articoletto. Ma no! Sono solo quisquilie buone per giocare ai buoni e ai cattivi sulla lavagna mentre la maestra è in bagno a fumarsi la sigaretta!)
Argomento del post, dicevo. 
Il titolo mi sembra chiaro: alcune cose che farò nella prossima vita, quindi procediamo.
L'idea mi è venuta fuori dalla lettura di quest'illuminante post di Davide Mana sul nuovo e scintillante Il futuro è tornato.
Infatti la prima cosa che farò assolutamente nella prossima vita (se non mi sarò nel frattempo reincarnato in un bradipo o in un politico) è imparare l'inglese. A scuola ho studiato francese e (solo per due semestri all'università) tedesco; perciò capisco qualcosina di idioma gallico (molto tempo fa lessi, con l'ausilio del vocabolario, un libro del commissario Maigret) e ho solo le basi per capire che quello che ho davanti è scritto nella lingua di Lutero e Karl Heinz Rummenigge. Come tuona il post succitato, se non capisci l'inglese sei tagliato fuori dal gioco della grande letteratura -e ha perfettamente ragione! In verità ho iniziato innumerevoli volte corsi di inglese, tutti però abbandonati dopo i primi how are you? fine, thanks you!, perché non ho mai capito come mai se entri in una farmacia inglese a comprare una scatola di preservativi devi prima chiedere come sta la commessa. Mah! Evidentemente paese che vai, usanze che trovi!
Altra cosa che devo assolutamente fare nella prossima vita è: fare sport. Non voglio diventare uno di quei fanatici che se non fanno i loro 500 metri quotidiani in scioltezza non riescono poi a sbevacchiare senza sensi di colpa in paio di birrozze. Vorrei semplicemente riuscire a frequentare con una certa costanza un palestra, in modo da non dovermi portare dietro ogni giorno i miei muscoli inflacciditi e le mie maniglie dell'amore ben evidenti. Non che sia un obeso cinquantaduenne che stramaccia da un divano all'altro; faccio tutti i giorni il tratto casa-lavoro a piedi (in tutto un km circa) e quando posso faccio passeggiate rilassanti. Io parlo proprio di movimento che sviluppi e armonizzi i muscoli che permettono  al mio scheletro di non collassare al minimo intoppo.
Collegato con questo c'è il terzo desiderio: praticare tai chi chuan o arti marziali simili (escluse quelle di puro combattimento). Questo mi permetterebbe di assicurare oltre al controllo del mio corpo, quello sulla mia energia psichica. Uno dei miei problemi principali, infatti, è la assoluta mancanza di volontà: inizio una cosa con l'entusiasmo di un bambino affamato davanti alla pappa col pomodoro e smetto dopo due giorni col fastidio di Lapo Elkann davanti all'ennesima multa da pagare.
Ultimo decisione, perché altrimenti più che un post diventa il primo volume della saga di... fate un po' voi, è quella di giocare a scacchi a buon livello. Il gioco degli scacchi mi piace perché devi avere sempre la situazione sotto mano, intuire le mosse dell'avversario, fare le tue cum grano salis, nascondendo le vere intenzioni e con un occhio all'orologio. Un po' come un politico, solo che invece dell'orologio loro controllano ogni momento il portafoglio. Da ragazzo, millenni fa, ho giocato a scacchi per anni e, pur non essendo bravo, me la cavavo. Poi non ho più trovato nessuno con cui ingaggiare duelli all'ultimo re e così ho rimesso scacchiera e pedoni nell'armadio. Sì, è vero che esistono semplici giochi degli scacchi per PC e anche gratuiti, ma ci vorrebbe costanza, che come detto sopra io non ho, e tempo (beh, quello si potrebbe trovare!). E poi volete mettere il gusto di gettare tutto in aria coi pezzi che fanno quel caratteristico rumore cadendo in terra, quando perdete l'ennesima partita contro un mostriciattolo di 8 anni che ti guarda divertito!


TIM

lunedì 26 marzo 2012

Masche, di Fabrizio Borgio

classica copertina
da Fratelli Frilli
Benissimo! Ho visto che la nuova faccia del blog è piaciuta e che è stato colto il motivo del mio cambiamento: meno fronzoli e più sostanza; ma allo stesso tempo maggiore leggibilità.
Devo comunque ringraziare Daniele che con pazienza mi ha aiutato a sistemare la copertina, creando per me il banner che vedete sopra. Saranno anche cose facili da fare, ma io come sapete sono negato, per cui il suo aiuto è stato gradito e importante.
Voglio inaugurare la nuova veste del mio giornale di bordo scambiando con voi un parere su un libro di Fabrizio Borgio, Masche.
Riassunto (dalla copertina):
In un piccolo paese del Piemonte meridionale, tra le Langhe e il Monferrato, vengono ritrovati i corpi di due vecchie sorelle gemelle, brutalmente uccise.
Il caso presenta aspetti anomali e misteriosi. L'inchiesta viene affidata a un agente del Dipartimento Indagini Paranormali, Stefano Drago. Il lato oscuro di una realtà ancorata ai retaggi di una civiltà contadina che ha tramandato oralmente miti ancestrali e credenze popolari invaderà la sua vita e quella dei funzionari che lo seguono nella complessa indagine, in un crescendo di paura e fatti poco spiegabili, che si conclude in modo terribile e ambiguo. 

Come sempre vi dico che se volete una recensione seria la potete trovate in questo post di Alex o in questo di Edu. Ce ne sono anche altre, ma queste due sono le prime che ho rintracciato.
E veniamo alle mie impressioni di lettura.
Certamente una storia che unisce il poliziesco (o comunque l'indagine poliziesca) col paranormale o sovrannaturale (non sto a fare distinzioni di sorta, ma avete capito quello che voglio dire!) mi fa felice, visto che queste sono anche le mie due passioni preferite, letterariamente parlando.
Fabrizio Borgio riesce a non fare un minestrone insapore, costruendo una storia che dà un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma il vino dentro al racconto resta comunque buonissimo, se mi passate l'immagine. In questa prima indagine di Stefano Drago, agente del DIP (Dipartimento Indagini Paranormali), è affiancato dal suo amico commissario Massimiliano Ferrari e dall'agente Cinzia Testa (una che non sta proprio indifferente a Stefano Drago), arrivata di supporto. Tutti e tre i personaggi hanno un loro spessore, agiscono autonomamente e non ce n'è uno che sovrasta sugli altri, ma ognuno sta al proprio posto e recita la propria parte (pur tenendo conto che il personaggio principale e Stefano Drago).
Quel che mi ha colpito subito in questa narrazione, è il paesaggio che Borgio descrive in modo più che veritiero: le Langhe si riconoscono sicuramente, sia come paesaggio umano che naturale. Ma quel che più conta è la storia che si immerge in un quadro in cui le Masche (come da quelle parti vengono chiamate le maghe, le fattucchiere) permeano uomini e cose e sono capaci di fagocitare col loro potere anche il tempo: esse sono state, sono e saranno, a dispetto di tutto e tutti.
Un'altra cosa che mi ha fatto piacere il libro è che l'autore non cerca di dare spiegazioni razionali a ciò che razionale non è: lui si limita a raccontare i fatti, lasciando in bocca il sapore dell'ineluttabilità di certe cose, dell'impossibilità per la ragione di arrivare 
dove oggettivamente non può.
Non ho avuto (ancora) modo di leggere altre avventure di Stefano Drago, ma grazie all'impressione positiva di questo Masche, mi sono ripromesso di cercare ancora storie che lo vedono protagonista, anche per vedere se le promesse, letterarie, sono state mantenute.
Ma veniamo alle dolenti note di questa lettura.
E non parlo dell'opera di narrazione, bensì del manufatto libro, della sua impaginazione, del suo editing.
Non lo dico per mettere i puntini sulle i o per fare sfoggio di pedanteria inutile, ma dover seguire una storia come questa con tutti quegli inciampi nella lettura mi ha sfiancato.
Paragrafi contenenti i dialoghi di due personaggi diversi senza la possibilità di capire quale dei due parlasse; virgole poste quasi a caso, per cui per capire il senso di alcune frasi bisognava andare a orecchio; virgolette-caporali che non si aprono o non si chiudono...
Non vado oltre, anche perché, purtroppo queste ed altre cose specie da metà in avanti del libro si sono materializzate quasi ad ogni pagina.
Un esempio: (pag. 132) Dai finestrini, il fenomeno luminoso saettò fulmineo, Ferrari, che aveva a sua volta estratto la pistola, non fece in tempo a distinguere un possibile bersaglio, come i colpi s'interruppero, le luci erano scomparse alla vita. Cinzia era pallida e concentrata spasmodicamente nella giuda, solo dopo alcuni chilometri, udì Ferrari che continuava a chiamarla, invitandola a fermarsi.
Ad un certo punto avevo persino deciso di abbandonare il libro, quando in una pagina veniva scambiato il nome di un personaggio con quello di suo fratello (e visto il tenore della storia, ci poteva benissimo stare che ci fosse effettivamente la presenza di Piero invece che di Carlo!). Ma mancavano solo ventina pagine e così ho voluto vedere come finiva la storia.
Ho voluto inoltre segnalare la cosa anche perché l'ho notata in quasi tutti i libri che ho letto pubblicati dalla Fratelli Frilli, ed è un peccato che una casa editrice che si è impegnata e si impegna a valorizzare autori nuovi, a dargli spazio, a inserirli in un contesto anche culturale, si perda poi in queste cose. 
Mi scuso per l'osservazione che può sembrare pedante e professorale; ma è solo lo sfogo di un lettore che chiede maggior rispetto per la categoria.
Ed ora, per concludere un giudizio personale sul libro (quindi esclusa l'ultima parte del post). Il libro: placet. Voto 7,5.
Consigliatissimo!
Un ultimissimo aggiornamento. Stamattina sono stato a Torino e ho avuto l'occasione di acquistare qualche libro (usato). Per un totale di 7 euro e 50 ho fatto miei: Il conto dell'Ultima Cena di Andrea Pinketts; Assassino senza volto, di H. Mankell e Venere privata, di Giorgio Scerbanenco. Un consiglio: ho cominciato a leggere quest'ultimo sul treno e, statemi a sentire: qualsiasi cosa abbiate sotto mano, lasciate perdere, procuratevi questo libro e leggetelo!


TIM

sabato 24 marzo 2012

Ho rifatto la facciata

(qui)  Papa Ratzinger ai cubani:
"L'ideologia marxista non corrisponde alla realtà."
Meglio un buon sigaro!
Quella che avete davanti è la nuova pagina del blog, quasi definitiva.
Dico quasi definitiva perché vorrei modificare ancora qualcosa ma non so come si fa, ad esempio come spostare l'immagine della copertina a destra, o la scritta del titolo a sinistra e altre cosette sparse. Se dovessi riuscire a scoprire l'arcano, lo metterò a posto; altrimenti tutto resterà così. Che poi alla fine, penso, la cosa più importante non è avere una bella immagine di copertina o i colori più sbrilluccicanti, ma che tutto si legga bene e, soprattutto, che quello che c'è scritto sia interessante.
E vi lascio con l'augurio di passare una buona fine settimana e con una domanda topica (in combinato con la foto di copertina):





TIM

venerdì 23 marzo 2012

Vetrina in allestimento

A cena con gli amici.
Un brevissimo post di aggiornamento. Questo che vedete non è il nuovo volto del mio blog, ma solo un inizio lavori. Purtroppo per stasera Big Ben ha detto stop e si è fatta l'ora di andare a casa. Perciò lascio il lavoro a metà. Ci rivediamo domani.


TIM

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (V- fine)

adesso è chiaro
a cosa serve?
Ultima puntata. Ce l'abbiamo fatta! La storia dovrebbe acquistare di significato. Il condizionale è d'obbligo (come si suol dire!) perché in effetti è piena di stranezze, non solo narrative ma anche letterarie. Nel senso che il linguaggio (lo vedo da solo, non me lo rinfacciate!) è abbastanza involuto nel complesso e magari le frasi sono troppo lunghe. Non date la colpa all'editor che ha lavorato, come sempre, al meglio; ma quando manca la materia prima, c'è poco da fare!
Solo un'osservazione prima di lasciarvi alla lettura. Osservazione, anzi risposta, che è rivolta più che altro ad Ariano  e Glauco, i quali mi avevano messo sull'avviso: il finale va riscritto, perché non è possibile che una storia termini... così. È letterariamente e umanamente impossibile. E hanno anche ragione. Ma io ho pensato: in fondo è una storia fantastica, perché non può finire in questo modo?
E comunque, fatemi sapere il vostro parere anche per questo aspetto, se vi va.
Ed ora, buona lettura!



La passata di pomodoro
Davide era acquattato davanti l’anta del mobile basso e aveva cominciato a fissarla, come pronto a scattare al minimo movimento. Ma né l’anta, né tantomeno il mobile certamente si sarebbero mossi.
Evidentemente c’era qualche altra cosa.
Rina mi fissò tra l’incredulo e l’interrogativo. Mi distrassi un attimo perché per strada  stava passando 
lentamente un'auto e il riflesso del sole sulla carrozzeria metallizzata mi aveva colpito la coda dell’occhio: non ci giurerei, ma mi sembrò di riconoscere la Rover del ’90 dell’omino dello ska. 
Fu questione di un istante: Davide balzò con il suo grido da battaglia contro il mobile, ma arrivato a pochi centimetri dall’anta che era il suo bersaglio, fu come respinto, come se avesse urtato contro una parete invisibile di gomma.
Il gatto volò letteralmente sulla poltrona che si trovava sotto la finestra, rimase qualche secondo interdetto, più stupito che colpito (proprio come Golia aveva fatto con lui), poi scivolò giù e cadde sul pavimento. Ristette come morto.
Rina corse a vedere, urtò con un ginocchio contro il tavolo e fece quasi volare via una sedia. Si chinò su Davide per prenderlo, ma lui sollevò lentamente la testa e la guardò con gli occhi di chi ha passato un brutto momento e ha bisogno di comprensione e coccole. Rina lo prese in braccio.
“Cos’è stato?” mi chiese.
Non lo sapevo, veramente, né l’immaginavo. Già era difficile credere a quello che avevamo visto, pensiamo cosa poteva essere capire.
Mi balenò in mente la scena di Villi che cade, anche lui come colpito da un forza invisibile, dopo essere passato sulla macchinetta per il pomodoro.
E rividi anche in un flash – back quell’attimo in cui mi era sembrato, anche quella volta, di aver notato il riflesso di un’auto metallizzata passare per strada.
Per quanto sembrava impossibile, dovetti mettere insieme le due cose: in un mondo razionale due più due deve fare quattro.
Andai verso il mobile, aprii l’anta e… la POMO SPLAT era lì, dove l’avevo riposta l’ultima volta che l’avevo usata.
La ghisa dava un impatto visivo di pieno, solido, ma c’era di più in quella macchinetta, l’avevo notato sin dalla prima volta: sembrava che ti guardasse. Era li, nella sua scatola aperta e pareva fissarci come da un letto di riposo: Toh, guarda chi si rivede, state bene? Tutto a posto? È successo qualcosa? sembrava dire sorridendo beffarda.
Richiusi l’anta.
“Perché hai aperto quello sportello?” chiese Rina.
“Non lo so, forse perché Davide stava saltando verso quel punto” era inutile dirle tutto quello che mi passava per la testa, anche perché avrebbe pensato, forse a ragione, che la mia arteriosclerosi avesse preso a galoppare a mille.
Rina continuava a carezzare Davide e lo cullava come fosse un bambino. Dovette ripassare davanti al mobile per uscire dalla stanza e il gatto gettò di nuovo un flebile miagolio facendo la mossa di stringersi ancora di più contro la padrona.
La cosa finì lì e né io né Rina ne parlammo più.
Il lunedì successivo mi alzai con l’intenzione di preparare una bella passata per tutta la settimana: il sabato Rina mi aveva fatto la scorta di pomodori per salsa e avevo deciso tra l’altro di ricambiarla con qualche bottiglia di conserva fresca. Eppure avevo quasi perso l’entusiasmo iniziale, non perché non mi piacesse il gusto del sugo fatto con quella macchinetta, ma perché ogni volta che per un qualche motivo entrava in ballo lei, succedevano cose quantomeno illogiche.
Già l’apertura dello sportello del mobile dove era custodita mi riservò una sorpresa: accanto alla scatola c’erano una decina di animaletti morti. Per un vecchio mobile non era poi così strano: non è inusuale trovare piccole tarme o moscerini privi di vita sugli scaffali; lo strano era che si trovavano tutti ammucchiati vicino la scatola e tutti sembravano non solo morti, ma anche spappolati, quasi macinati, anzi proprio triturati, e senza un goccio di sangue o altro liquido che fosse.
Per un attimo ebbi quasi paura di prendere la POMO SPLAT, poi mi diedi dello stupido e mi dissi che ci dovesse essere un qualche motivo che giustificava il fatto e che io non conoscevo; ma questo non voleva dire che la cosa non fosse perfettamente normale: evidentemente stavo proprio invecchiando.
Fissai la macchinetta al tavolo con i suoi bei morsetti.
All’improvviso mi ricordai che erano due giorni che non facevo uscire Villi dalla gabbia e lo liberai. Mentre aprivo la porticina ebbi come un presentimento che mi fece esitare un attimo, una premonizione, quasi una paura. Ma Villi era già in volo per la stanza, libero e felice.
Tornai in cucina, andai al lavandino dove avevo messo i pomodori a lavare e presi a strofinarli uno per uno sotto l’acqua corrente. Villi mi passò accanto, sfiorandomi con le ali, come soleva fare per ringraziarmi ogni volta che lo liberavo. D’istinto mi girai verso la finestra e vidi distintamente passare la Rover dell’omino dello ska; mi parve anzi addirittura che lo stesso omino guardasse verso di me e mi salutasse con la mano.
Nello stesso istante sentii uno strano rumore proveniente dal tavolo dietro di me, accompagnato da un urlo di terrore quasi umano.
Mi voltai di scatto e la POMO SPLAT stava triturando Villi. Potevo vedere nitidamente l’ala del mio cardellino che finiva di entrare nell’ingranaggio della macchinetta, la manovella muoversi da sola e dalla bocca dell’oggetto uscire quel che restava dell’uccellino che mi aveva tenuto compagnia per tanti anni.
Villi (o meglio: la poltiglia informe che era stato Villi) era lì, per terra, e senza che ci fosse una goccia di sangue sopra o nelle vicinanze.
Mi avvicinai al tavolo.
La POMO SPLAT si era fermata e sembrava guardarmi soddisfatta, se era possibile con aria di sfida, con la manovella che dondolava leggermente.
La mia testa era entrata in stallo, incapace non solo di riflettere su ciò che i miei occhi avevano appena visto, ma anche semplicemente di pensare a qualsiasi cosa.
Allungai una mano verso di lei, più per sincerarmi che quello che avevo davanti fosse davvero un oggetto inanimato e non un essere vivente di qualunque tipo. La manovella fece un mezzo giro come per prendere la rincorsa, poi cominciò a girare lentamente e regolarmente e solo allora mi accorsi che la mia mano destra era finita nel suo meccanismo che… stava mandando giù le mie dita, poi la mano… ora aveva cominciato col polso. Ma porca miseria… mi stava ingoiando!
Siete sicuri che anche questo sia un modo come un altro per morire?




TIM

mercoledì 21 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (IV)

Si comincia a capire
il senso di quest'oggetto,
ora?
E siamo alla quarta puntata. Rispetto l'ordine di un episodio ogni due giorni anche per non sovrappormi ad un altro (ottimo!) racconto a puntate, quello dell'amico Ariano, che vi consiglio vivamente: non ha niente a che fare con questo mio lavoretto; il suo racconto ha tutti gli ingredienti per restare indelebile nella mente di chi legge. È una cosa seria, insomma.

La passata di pomodoro
Conoscevo Rina da quando eravamo venuti ad abitare con Elisa in questa casa, più di 25 anni fa. A quel tempo tutto attorno c’erano solo giardini e un campo di granturco che d’estate ci regalava colori e profumi. Eravamo felici della nostra casa, orgogliosi di quei 95 mq. più cantina e box auto (che adesso ormai era diventata una dependance della cantina, da quando avevo venduto l’auto perché non riuscivo più a guidarla). Il giorno che andammo dal notaio a firmare il contratto d’acquisto Elisa era passata dal parrucchiere per farsi pettinare (cosa che faceva solo in grandi occasioni) e si era messa il vestito buono (anch’esso da grandi occasioni).
Rina fu la prima persona che incontrammo il giorno del trasloco e ci invitò a mangiare qualcosa alla sera a casa sua; e qui conoscemmo anche Piero, suo marito. Per più di vent’anni fummo inseparabili, finché il suo Piero e la mia Elisa ci lasciarono nel giro di due mesi l’uno dall’altra. Per lunghi anni soffrimmo entrambi, com’è naturale che sia, ma il Signore illuminò le nostre strade, mettendoci l’uno accanto all’altra negli stessi momenti e nelle stesse situazioni, e così (come dice Sheakspeare): “Quando nel dolore si hanno compagni che sanno condividerlo, l’animo può sopportare molte sofferenze”. E fu quello che sperimentammo.
Elisa era diventata la mia compagna un paio di anni prima, quando il mio capufficio mi aveva chiesto di iniziare ai segreti del lavoro una massa di riccioli neri con un largo sorriso sempre pronto a scattare agli angoli della bocca e ad un altrettanto largo paio di seni. Pur avendola sempre davanti, alla scrivania dirimpetto la mia, pur sentendo durante le otto ore e più il suo odore ogni volta che veniva a chiedere delucidazioni e spiegazioni chinandosi vicino a me o lasciandosi cadere sui talloni, mi accorsi di amarla solo quando in ufficio cominciarono a chiamarci ‘Romeo e Giulietta’. E così ringraziai quella decina di milioni di italiani che avevano qualche anno prima votato a favore del divorzio e misi fine ufficialmente ad una brutta storia precedente con una tizia da cui non avevo avuto niente e di cui è bene che abbia dimenticato anche il nome. Ci sposammo senza tante pompe e invitati, anche perché tra tutti e due non è che circolassero molti soldi. Trovammo però quelli per il mutuo che ci permise di acquistare la nostra casa.
E così torniamo a Rina. Adesso era alla mia porta, col suo gatto tra le gambe, e mi chiedeva se avevo bisogno di qualcosa al mercato.
“Entra un attimo che devo aver messo la lista per la spesa da qualche parte, così vedo quello che mi puoi portare.”
Rina e Davide entrarono insieme, Rina con la sua nuova pettinatura di capelli bianchi, Davide col suo incedere solenne, il suo pelo lungo e fulvo e la coda enorme alzata, come la bandiera dei carrellini per bambini nei supermercati, che ti dicono sempre: io sono qui.
Davide era un persiano stupendo, che Rina e Piero avevano trovato molti anni prima a girovagare in pieno agosto sul marciapiede deserto sotto casa. L’avevano preso con loro; avevano messo diversi annunci del ritrovamento sui lampioni della zona e, quando erano stati sicuri che nessuno poteva più venirlo a chiedere indietro, l’avevano definitivamente adottato, con tanto di medaglietta, vaccinazioni, ecc..
Il nome era venuto fuori dalle epiche lotte che Davide (che ancora si chiamava semplicemente ‘Gatto’) aveva fatto con Golia, un insulso cane nano di una coppia che abitava nel nostro condominio. Golia, altrimenti da tutti noi detto ‘Uffa’, a causa delle continue interiezioni lanciate dalla padrona al suo riguardo, aveva la caratteristica di miagolare in continuazione. E per noi vederlo portarsi a spasso i padroni era diventato come guardare le comiche di Sanlio e Ollio o Buster Keaton.
Appena Davide-Gatto aveva preso possesso del suo nuovo territorio erano naturalmente cominciate le lotte con quel cane che incontrava spesso in giardino o in giro per le scale. Devo dire che tutti, anche se in silenzio e in segreto, facevamo il tifo per lui.
Finché un giorno Davide-Gatto e Golia si incontrarono faccia a faccia, anzi muso a muso, da soli, nell’androne del palazzo. Chissà come Golia era riuscito a eludere la sorveglianza della sua mini padrona (una quarantenne ossigenata sul marroncino chiaro, alla perenne ricerca del colore di capelli che si avvicinasse di più a quello del pelo del suo cane, di un metro e mezzo scarso d’altezza, con l’aria perenne di chi ha da risolvere tutti i problemi del mondo e deve solo decidere quando cominciare) e si era trovato a mettere le zampe fuori di casa.
Fu così che Davide–Gatto l’incontrò e si sentì addosso la responsabilità di tutti i gatti del mondo che devono vendicarsi delle angherie subite da parte di tutti i cani del mondo. Senza dare il tempo a Golia di riflettere gli assestò una zampata sul naso che lo fece barcollare per un attimo, più sorpreso e colpito nell’orgoglio che nel corpo. Golia (memore di essere lontano parente di dobermann, come diceva la sua mini padrona) reagì abbastanza immediatamente, dapprima abbaiando per ristabilire le distanze, poi passando all’attacco.
Ma Davide–Gatto aveva già salito quattro gradini della scala, mettendosi in posizione strategica di controllo della situazione. Da qui cominciò a gonfiare il pelo e a emettere grida di guerra, finché non spiccò un balzo che lo portò ad atterrare su Golia, il quale cadde di lato cercando di addentare Davide–Gatto sul collo.
Furono momenti di guaiti, miagolii e lamenti di dolore, abbai, scatafascio di portaombrelli abbattuti dalla furia cieca della lotta tra i due. Qualcuno uscì dalla porta e si portò sul luogo da cui provenivano i rumori di battaglia.
Il tutto durò un paio di minuti, forse anche di meno, ma alla fine, in un estremo urlo di dolore – terrore (Davide–Gatto l’aveva artigliato nelle parti basse, lì dove pur trattandosi di una animale, fa un male… cane) Golia con uno scatto alla Carl Lewis, scappò lontano, tanto lontano che non lo si vide più in giro. Da quel giorno, per tutti, Gatto prese il nome di Davide e così rimase.
Entrammo in cucina e:
“Ecco la lista della spesa, vedi tu se c’è qualcosa che mi puoi prendere al mercatino. Se poi trovi qualche altra cosa di buono, prendila pure”.
Ma qui successe qualcosa che ha dell’incredibile: anche il Gatto, che pur si era conquistato il suo nome nuovo sul campo dopo la battaglia con Golia, come vi ho or ora raccontato, anche Davide, dicevo, capitolò davanti alla POMO SPLAT.
Anzi capitombolò.
Come sempre quando la sua padrona veniva a farmi visita, Davide era intento al suo giro d’ispezione per la casa, per controllare che tutto fosse in ordine. Passate in rassegna cucina, camera da letto e bagno, si era avviato col suo incedere da sceriffo cosciente dei suoi mezzi e della sua autorità verso il tinello.
Lo guardammo varcare la porta con un sorriso di complicità; poi accompagnai Rina all’uscio: come spesso accadeva, Davide sarebbe rimasto con me fino al rientro della padrona. E proprio mentre Rina stava per uscire sentimmo un ronfo e poi un miagolio insistente, prolungato, quasi un ringhio canino.

lunedì 19 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (III)

Senza frapporre tempo in mezzo, ecco la terza puntata di


La passata di pomodoro
“Tenga conto che i nostri prezzi” prese a dire Mompolini tirando fuori la macchinetta e poggiandola sul tavolo “sono i migliori anche perché vendiamo direttamente al cliente, senz’altro intermediario che me. La qualità la può vedere coi suoi occhi e se vuole le posso dare una dimostrazione pratica di come funziona a meraviglia.“
Quel colore, la ruvidezza tipica della ghisa sotto le mani, mi fecero venire alla memoria le mattinate passate con Elisa a scegliere i pomodori uno per uno dal fruttivendolo (che pazienza quel sant’uomo!), a osservarla mentre lo passava, ma soprattutto l’odore di sugo, quell’odore che adesso, come tante altre mattine ormai, non voleva uscire dalla padella. Dovevo essermi estraniato per un po’, perché il Mompolini mi squadrò:
“Qualcosa che non va?”
“Niente, è che la sua macchinetta mi ha riportato indietro nel tempo.”
“Vedrà che anche i suoi risultati le faranno riassaggiare i buoni sughi della sua Elisa” ritoccava il tasto, caro a chi vende per mestiere, del sentimento, quasi riaffondando il coltello nella piaga.
Era proprio come quella che avevamo un tempo. Mompolini era soddisfatto della mia soddisfazione e volle rincarare la dose, colpendo al punto giusto al momento giusto:
“Beh, certo è proprio un bel prodotto, siamo proprio soddisfatti di POMO SPLAT. Se vuole gliela lascio in prova. Anzi la può provare anche ora.”
Devo ammettere che l’idea di passare il pomodoro come ai vecchi tempi mi dava l’eccitazione di fare qualcosa di bello e proibito allo stesso tempo.
“Dice davvero? La posso provare ora? Proprio questa qui?”
“Ma certo, faccia come vuole, tanto sono sicuro che una volta visto… e soprattutto assaggiato il risultato la comprerà sicuramente. E poi a questo prezzo!”
Non ero ancora pronto a questa frase, ma visto che era saltata fuori era meglio togliersi il dente subito.
“Ah, ecco, a proposito quanto costa la macchina?”
“So che non mi crederà, ma sono solo 25 euro e le lascio anche la borsa che normalmente è solo per i rappresentanti!” Era trionfante come uno studente che abbia appena dimostrato all’esame di fisica che la teoria di Einstein è una gran balla.
Ed io ero veramente sorpreso, come un professore che ad un esame di fisica abbia assistito alla demolizione della teoria di Einstein da parte di uno studente.
Ma non ero sorpreso tanto per il prezzo, quanto perché con soli 25 euro potevo rivivere emozioni antiche. Della borsa non mi interessava un granché.
Lo so che è stupido, ma per uno che vive cercando di trovare nell’oggi i segni e le sensazioni del passato, questa cosa era come vincere un terno al Lotto.
“Sa cosa le dico” presi coraggio “adesso facciamo una bella passata con la sua POMO SPLAT, la mettiamo in padella a posto di quella cosa schifosa che stavo cercando di fare prima, e nel frattempo che il sugo va prepariamo l’acqua per buttare giù due spaghetti, e lei sarà mio ospite a mezzogiorno.”
Mi sembrò preso in contropiede dalla proposta. Titubò un attimo, estrasse dal taschino del pantalone un orologio a cipolla (che è quasi sempre, nei libri, regalo del nonno), si guardò le dita per qualche secondo, poi fece schioccare la bocca come chi ha assaporato qualcosa di ottimo, e:
“Ma sì, accetto, mi è venuta fame e al pensiero di stare da solo anche oggi in una trattoria con le tovaglie a quadretti sui tavoli e le cameriere con le tette che straripano dalle camicette bianche, rabbrividisco.”
E dopo un attimo che sembrò di riflessione divertita: “Non tanto per le tette, che non guastano mai, quanto per quello che le padrone delle tette mi servirebbero sulle tovaglie a quadretti. Però mi promette che dopo pranzo i piatti li fa lavare a me.”
Accettai di buon grado la sua forma di compensazione alla mia offerta e ci mettemmo all’opera.
Mompolini aveva ragione sulla qualità della macchina, su come la manovella andasse veloce e senza sforzo (ero sicuro che avrei potuto passare tranquillamente una striscia di cuoio con un solo dito), sulla quantità di pomodoro che andava nella bocca superiore (“Può metterne fino ad un chilo e va che è una bellezza, e ne abbiamo un modello che arriva a cinque chili” parola dell’omino dello ska), su come aderisse bene al tavolo bloccata dal morsetto, su come la buccia si separasse perfettamente dalla polpa.
Insomma ero più che convinto che quella macchinetta sarebbe stata mia.
Alla fine mangiammo un piatto di spaghetti che finalmente cominciava ad avvicinarsi a quelli che faceva Elisa, e Mompolini bevve abbondantemente birra e vino, sia separatamente che mischiati.
Quando lo salutai (erano quasi le 4 e lui aveva lavato i piatti) la macchinetta era in bella mostra sul tavolo del tinello. Mi affacciai alla finestra e vidi la Rover allontanarsi velocemente lungo il viale.
Avevo però uno strano presentimento alla bocca dello stomaco; sentivo che c’era qualcosa di strano in tutto ciò che era successo quella mattina.
E la mia sensazione aumentò esponenzialmente quando liberai il cardellino per la sua ora d’aria quotidiana.
Vladimir Ilic (Villi per gli amici) cominciò come al solito a planare, impennare e picchiare sui mobili di tutta la stanza, ma quando passò in un tentativo di avvitamento (per quanto la sua età glielo permettesse) sulla verticale della macchinetta dell’omino dello ska, ebbe come un blocco, come se il suo motore interiore fosse andato in stallo e lui avesse preso la scossa.
Lo udii emettere uno strano strepito, tra il terrorizzato e lo stupido, poi Villi fece in tempo a riprendere il volo pochi istanti prima di schiantarsi sul tappeto. Dopo un attimo di stordimento riprese i suoi festeggiamenti, ma non transitò più per tutta la giornata sopra il tavolo dove stava la macchinetta.

prima puntata
seconda puntata

TIM

sabato 17 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (II)

Non so se la prima puntata vi abbia fatto fatto fare i salti di piacere o rigettare il pranzo appena consumato. Oppure fatto spegnere il desiderio per la biondina dirimpettaia del terzo piano (succede!).
Sia come sia, sono qui col mio secondo migliaio di parole sull'oggetto che vedete qui di fianco.
Certo ancora non si capisce praticamente niente, a parte che c'è questo pensionato alle prese con la sua vita quotidiana.
Ma, se ricordate, alla fine della puntata precedente, d'un tratto era squillato il campanello della porta... 


La Passata di pomodoro
Non era di certo la vicina di casa che aveva dimenticato di comprare l’olio, perché non era ancora tornata dalle vacanze. Non era il postino perché era ancora troppo presto.
Mentre facevo il rapido esame di cui sopra, il campanello trillò nuovamente.
Istintivamente mi affacciai alla finestra: l’unico elemento estraneo al paesaggio era una Rover del ’90, metallizzata, che sembrava dire con fierezza al mondo intero: sono piccola, ma non vi fidate, se voglio vi faccio vedere i sorci verdi.
Feci un fulmineo giro mentale tra tutti i miei parenti accoppiandoli alle proprie auto, ma nessuno possedeva una Rover.
Terza scampanellata, non arrabbiata ma impaziente.
E andiamo a vedere.
Gli occhialini bianchi che mi stavano guardando da sopra un sorriso protocollare non mi erano nuovi. C’era qualcosa di familiare nell’omino che avevo davanti.
Beh, proprio omino non era avendo i suoi abbondanti novanta chili, ma nel complesso dava proprio l’impressione di un omino ufficialmente rispettoso e ossequioso, almeno quel tanto per dire: lo so che ti sto per rompere le scatole, e anche tu lo sai, ma abbi due minuti di pazienza.
“Ma lo sa che la tradizione ebraica è piena di angeli che fanno su e giù dal cielo tra Dio e gli uomini?” esordì.
“No, guardi, se lei è testimone di Geova o cose del genere, non mi interessa niente, può riprendersi la sua borsa e tornarsene da dove è venuto” fui quasi brusco.
In verità non volevo esserlo, ma quella mattina non avevo voglia e tempo di perdere tempo.
“No, mi scusi, è che riflettevo su queste cose salendo le scale e la sua faccia così aperta e gioviale mi ha ispirato fiducia e mi è venuto spontaneo dirle a lei”
Mi stava prendendo per i fondelli o era una nuova tecnica per agganciare il cliente?
“Mi scusi lei, non volevo essere brusco” buttai lì per lì.
“Non si preoccupi, ci sono abituato. Permette” tendendo la mano “Ernesto Mompolini.”
Ricambiai col mio nome.
Un attimo di silenzioso imbarazzo:
io: gli dico di entrare?
lui: mi farà entrare?
“Prego, si vuole accomodare?” in fondo di tempo ne avevo e il sugo poteva non solo aspettare, ma anche andare a quel paese.
Tirò fuori una strana borsa in plastica rigida nera con una grande scritta gialla: POMO SPLAT.
Lo guidai verso il tinello e lui poggiò la borsa sul tavolo.
“Egregio signore, io sono il rappresentante della POMO SPLAT” – cenno con la mano verso la borsa e impercettibile pausa per creare un po' di suspence – “azienda leader nella produzione e vendita diretta di macchine per passare il pomodoro. Sì, so che oggi come oggi è più facile comprare le lattine già pronte, aprirle con lo strappo e versarle in una pentola. Ma cosa ci sarà in quelle lattine? Vuole mettere il profumo che esce da una bella passata di pomodori freschi che si è scelto personalmente dall’ortolano di fiducia?”
“Lei sfonda una porta aperta!” cominciava ad essermi simpatico “Vuole un caffè?”
“Certamente, è da stamani che ho messo nello stomaco solo un bicchiere di latte freddo.”
“Permetta un attimo, vado in cucina.”
"Se vuole vengo con lei.”
Ci trasferimmo nell’altra stanza e l’omino lasciò la borsa nel tinello.
“Certo i sughi della sua Elisa erano tutta un’altra cosa.”
Mi sorprese: come faceva a sapere di Elisa e dei suoi sughi?
“Come fa a sapere di Elisa e dei suoi sughi” feci meravigliato.
Mi sembrò lui per un attimo sorpreso. Poi:
“Beh, ho visto di là quella foto sulla credenza, quella di lei abbracciato ad una donna e ho capito che doveva essere sua moglie. Poi c’era quel vecchio calendario con la foto della stessa donna e sotto scritto da un bambino ‘zia Elisa’, e così ho fatto due più due. Poi qui in cucina c’è del pomodoro pronto per la padella, lei ha fatto l’osservazione sulla preparazione dei sughi freschi e ho pensato che stesse preparando lei stesso della salsa.”
Non mi aveva spiegato come faceva a sapere che Elisa era ormai morta da tempo, ma avrebbe avuto sicuramente una risposta pronta anche per quella domanda. Perciò non glielo chiesi.
“Normale o decaffeinato”
“Cosa, scusi?”
“Il caffè, dico, lo vuole normale o decaffeinato?”
“Normale, normale, per me il caffè deve essere bello forte, altrimenti non c’è gusto.”
“Mi stava dicendo della sua macchinetta per passare il pomodoro…” e cominciai a preparare la moka.
“Sì, le dicevo che la mia azienda produce questo tipo di macchina e ha preferito conservare la qualità e il materiale di una volta. Anche se forse esteticamente non fa il suo effetto, nella pratica però si dimostra di molto superiore a queste macchinette moderne che durano un giorno e poi vanno in cantina se non nella spazzatura. Lei capisce che la ghisa permette anche un buon lavaggio, e i morsetti la rendono praticamente inamovibile dal piano di lavoro, al contrario delle ventose di gomma, che appena cominciano a seccarsi non tengono più.”
“Come le dicevo prima, lei sfonda una porta aperta, perché anche noi avevamo una macchinetta di ghisa e con quella Elisa faceva la passata. Ma ora non riesco più a trovarla e un attimo prima che lei arrivasse stavo pensando proprio di comprarne un’altra.”
Ci fu come un lampo nei suoi occhi, ma non mi sembrò propriamente il lampo di uno che sta per concludere un affare.
“Ah, vedo che ha un uccellino” Mompolini continuò. “Anch’io avevo un pappagallo, di quelli tutti colorati. Ma col mio lavoro sono continuamente fuori casa e lui era sempre solo, al buio e si stava immalinconendo: mangiava poco, stava lì, in un angolo della gabbia e non faceva più alcun verso. Così ho dovuto regalarlo ai vicini di casa che hanno un figlio piccolo piuttosto vivace. Lo vado a trovare di tanto in tanto e col bambino ha imparato a fare tante cose. A volte lo fa uscire dalla gabbia e mi viene sulla spalla. Sembra che mi riconosca!”
“Questo è un cardellino, ma ormai è vecchio, non ricordo più quanti anni abbia. L’ho preso dopo la morte di Elisa, sa come sono i vecchi, devono avere qualcuno a cui raccontare della sciatica e del conto del droghiere che non torna. E visto che non frequento circoli per vecchi rimbambiti o scuole di ballo per vedovi inflacciditi… ”
L’aroma e il gorgoglio dell’acqua mi stavano avvisando che il caffè era pronto. Spensi il gas e lo versai nelle tazzine.
“Faccia lei con lo zucchero. Forse preferisce il fruttosio?” domandai.
“No, se devo morire giovane voglio farlo alla grande, senza che mi manchi niente, perciò tre cucchiaini di zucchero normale vanno bene.”
Assaporò un sorso. “Buono. Queste vecchie macchinette sono sempre le migliori.”
Forse era solo un modo per riprendere il discorso che gli interessava di più. Infatti:
“Come le nostre macchine per passare il pomodoro di cui le parlavo” finì di bere il caffè “e che ho qui nella borsa. Le dispiace se gliela mostro?”
“No, no, faccia pure, sono curioso di vedere”. In fondo avevo tutta la mattinata libera e poi poteva essere davvero un affare.

prima puntata 



TIM



giovedì 15 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro

La mitica passa
pomodoro in ghisa
Qualche tempo fa avevo inviato un paio di racconti per la pubblicazione sulla Collana Gemini della Pyra Edizioni. Poi tutti sappiamo come la cosa si sia risolta (purtroppo per  Giuseppe) all'italiana!
Un racconto era quel Capello Liquido che era stato scelto per la pubblicazione, e che avete poi potuto leggere a puntate su questo blog. Il secondo non  ricordavo neanche di averlo inviato.
Dopo qualche tempo, quando la cosa era passata nel dimenticatoio, arriva una mail da Glauco, che ricorderete era il curatore della Collana, il quale mi dice che aveva avuto modo di leggere il racconto e che l'aveva trovato molto interessante. Il suo tono quasi entusiastico, mi convinse a ridare un'occhiata nuovamente al testo; perciò sono andato a bussare a casa (metaforicamente!) di Ariano, anch'egli come Glauco amico e scrittore, nonché mio editor storico, perché ci mettesse le sue manine fatate. E così è stato.
A distanza di qualche settimana sono qui a presentarvi, naturalmente a puntate, questo racconto che è stato scritto nello stesso periodo degli ultimi messi in lettura, quindi una decina di anni fa; lo capirete sicuramente da qualche riferimento di cronaca nel testo.
Una curiosità: nel precedente racconto, Capello liquido, ad un certo punto Enzo Ghezzi (uno dei due protagonisti, il cattivo per la precisione) fa riferimento ad un episodio accaduto qualche anno prima vicino casa sua, un fatto di cronaca che non era stato mai chiarito. Ebbene il riferimento era proprio alla storia narrata in questo racconto che state, speriamo, per leggere. Infatti Capello liquidoCapitan Alex  e questo La passata di pomodoro facevano parte nelle mie intenzioni di una trilogia che si svolge tutta nella mia città d'adozione. E non è detto che alla fine non riesca ad assemblare veramente un ebook con tutte e tre le storie.
Ma intanto, se vi va, eccovi la prima puntata di 


LA PASSATA DI POMODORO 
Certo veniva giù che era un piacere, non già per chi era ancora convinto che in agosto l’unica acqua ammessa era quella del mare, o al massimo quella della doccia. Questa invece, sì, veniva giù, ma dal cielo e in compagnia di un bel vento. E insieme facevano una cosa buffa: l’acqua rimbalzava sull’asfalto e sulle auto in sosta e il vento se la portava via immediatamente come poteva portarsi via la polvere e la terra.
Quest’estate era proprio strana, senza afa e ventilatori a tutto spiano, e persino mangiare un gelato o una granita passeggiando lungo il viale che porta alla stazione sembrava un azzardo da pieno inverno. Sì, qualche giornata di quasi caldo o almeno piacevolmente tiepida c’era stata, come quando ero stato a quel concerto di ska-reggae-e-non-so-che-altro nella piazzetta vecchia. Musica divertente, potrei osare dire persino ‘estiva’ (almeno quella!), come divertenti erano stati i ragazzi che avevano improvvisato un ballo lasciandosi trascinare dal ritmo dei suoni dei suoni.
Era stato divertente anche l’omino che era entrato nella piazzetta subito prima del concerto e si era fermato a parlare col chitarrista del gruppo – gli MT Bond e qualcosa. Pantaloni sotto il ginocchio, larghi e con una quantità di tasche difficile da conteggiare, scarpine basse (o forse erano sandali?), una maglietta arancione con la scritta in stile “Banda Bassotti”: 167-761. Dietro gli occhialini bianchi due occhi ormai persi in più di qualche birra. Dopo aver abbondantemente parlato e gesticolato col suddetto chitarrista, si era religiosamente ritirato ad aspettare l’inizio del concerto, chiuso nel suo quintale abbondante portato con dignità e incoronato da una barbetta rossiccia. Una mano in tasca e l’altra a tenere per il collo l’ennesima birrozza dalla bottiglia verde scuro. Ogni tanto qualche sorso ormai irrimediabilmente caldo. Alla prima scarica di batteria era partito al ritmo della musica, accompagnando a tratti colla bottiglia in bocca, in stile sax, il gruppo.
Poi, forse, aveva deciso che per quella sera avevano tutti goduto abbastanza del suo spettacolo, perciò aveva salutato i quattro punti cardinali inchinandosi ed era sparito in mezzo alla gente. 
Un tuono forte e lungo come la chitarra di B. B. King in “The thrill is gone” mi riportò sulla mia sedia a dondolo davanti alla televisione dove qualcuno stava avvisando con la stessa serietà di un proclama della Gestapo dei tempi andati, che a settembre sarebbe ricominciato quel programma in cui qualcuno, che per anni avevi pensato di esserti finalmente tolto di torno, ti vuole rompere nuovamente le scatole e perciò ti manda una lettera con un ‘postino’ dallo sguardo ebete accompagnato da due ‘postine’ con l’aria da massaggiatrici per soli uomini.
Conduce la solita raccomandata di turno con lo stesso sguardo ebete di cui sopra (forse è una caratteristica indispensabile) e dal corpo flessuoso come una sega circolare ferma da tre anni e bisognosa di una buona razione di olio lubrificante.
Era passata qualche settimana quando mi ritrovai all'improvviso davanti l’omino dello ska.
Stavo cercando di addolcire il sugo che friggeva nella padella, ma due cucchiai abbondanti di zucchero non avevano ancora fatto il loro effetto. La prospettiva per la mia pastasciutta d’ordinanza era unica e desolante: il sugo sarebbe finito nel water e al suo posto un casto olio unito ad un virtuoso parmigiano (il burro era ormai off limits per le mie vene).
Come faceva la mia Elisa, la mia amata all'infinito Elisa, a preparare quei sughi così buoni in pochi minuti? Era forse la cottura, il procedimento, il pomodoro? Propendevo certamente per l’ultima ipotesi, anche per non dover ammettere di non essere più capace di cucinare nemmeno due spaghetti al sugo. Dovevo imparare a fare da me la passata di pomodoro invece di buttare soldi in quei barattoli infernali che non sai mai quello che c’è dentro. Elisa passava delle ore, un paio di volte al mese, a preparare la passata che poi metteva da parte in bottiglie riciclate, rigorosamente scure, del vino. È che io non riuscivo a trovare più la macchinetta per passare i pomidori, quella grigia di ghisa col morsetto che agganciava al tavolo della cucina.
Avevamo comprato, in verità, ad una fiera di paese, un’altra passatutto in plastica, rossa e bianca, con la ventosa nera per attaccarsi a qualsiasi piano di lavoro. Ma questi aggeggi moderni sono solo trappole per ingenui allocchi, come amava dire Elisa, e dopo le prime passate la ventosa aveva cominciato a scivolare sul tavolo, il congegno ad uscire spesso dai cardini, e altri incidenti del genere. Risultato: macchinetta nuova in cantina e ritorno trionfale della grigia ma efficiente ghisa.
Alla radio intanto qualcuno dissertava sulla possibilità che gli americani invadessero nuovamente l’Iraq, dopo aver scartato l’ipotesi di occupare qualche altro stato a causa della cattiva stagione o delle troppe zanzare del luogo (ci vuol pure un motivo valido per uccidere o risparmiare un centinaio di migliaia di indifesi civili). E poi ormai erano in Afghanistan, a pochi chilometri di distanza, era da stupidi spostarsi di mille miglia per una piccola guerricciola in qualche sperduto paese sudamericano o africano: l’Iraq faceva decisamente più audience (visti anche i precedenti) e quindi era politicamente più conveniente, anche perché era più facile coinvolgere qualche paese europeo che smaniava per avere un bel nemico alle porte se non addirittura nei propri confini: le serpi in seno hanno sempre fatto effetto, se poi hanno la faccia del Bin Laden di turno, sono perfette per distrarre l’opinione pubblica…
Fra il sugo amaro e la faccia ghignante fintamente seriamente preoccupata di Bush (la vedevo riflessa nelle mattonelle sopra i fornelli), la giornata non si preannunciava per nulla piacevole.
Guardai verso l’orologio, ma fui preceduto dal segnale orario (gentilmente offerto dal riso Scotti che adesso produceva anche olio): erano le dieci e un minuto e niente andava bene.
Il giornale radio ripeté la promessa di Bush di estirpare il terrorismo dal mondo (i tempi dell’arrivano i nostri non passano mai!); dissertò di economia nazionale ed estera; poi fu la volta di qualche delitto insoluto su cui gli investigatori stavano comunque facendo progressi; infine i risultati di calcio della domenica. Niente sul presidente del consiglio: tenendo conto del suo faso tutto mi, la cosa mi sembrava strana e pensai con terrore che stesse preparando una rentreé alla grande per l’autunno.
Sul meteo, squillò il campanello della porta.

TIM


mercoledì 14 marzo 2012

(Alcuni) pochi pensieri sparsi tra il serio e il faceto...

un'arma in mano e una donna ai piedi
cover dell'italico blogger standard
... in attesa dell'Apocalisse.


Il Fisco viola la privacy degli Italiani: che vengano a guardarmi anche nelle mutande. Io non ho niente da nascondere. L'importante è che guardino nelle mutande di tutti.


Per vent'anni tutti i partiti hanno lavorato scientemente per ingrassare le proprie tasche e il loro potere. Ora pretendono che in tre mesi tutto questo sia rimesso a posto, l'economia sia fatta ripartire e la democrazia parlamentare sia ripristinata. Hanno fretta di ricominciare a fare il mestiere più antico del mondo?


Ho deciso: fonderò un partito che ha come unico obiettivo quello di spazzare via i partiti. Raggiunto lo scopo, il mio partito mi candiderà a fare il presidente del Consiglio.


Lo dico da comunista convinto: Monti sta andando a scoprire i centri vitali dei problemi italiani: l'economia potrà ripartire soprattutto se gli investitori esteri capiranno che da noi esiste una giustizia vera e se noi capiremo che la corruzione non è solo un fatto di giustizia penale ma anche economica.


Ora che i temi spinosi che non interessavano a berlu-bersani-casini sono stati affrontati (loro hanno approvato quelle leggi solo per dovere!), i bamb... pardon i politici ricominciano a 
litigare, perché non hanno fatto i compitini prima e ora sono impreparati. E se ora noi li bocciassimo a maggio?


Com'è bello poter sparare a zero senza contraddittorio e dall'alto della mia cattedra di blogger ormai affermato!


TIM


lunedì 12 marzo 2012

Il lustrascarpe, di Alessandro Cascio

Il titolo esatto di questo brevissimo ma interessantissimo ebook è  Il lustrascarpe di uno dei migliori locali d'America e altri racconti di  Alessandro Cascio , edito da Kult Virtual Press.
Non conoscevo Alessandro Cascio e fare qualche ricerca per questo post mi ha fatto conoscere un personaggio sicuramente fuori dall'ordinario e sopra le righe. E quest'intervista può dire qualcosa in più a chi ancora non lo conosce. Ma non è di lui che voglio parlare, bensì dell'ebook in questione.
Trenta pagine in tutto, 4 racconti chiari e puliti.
Chi è Paul Metista oltre a sembrare un lustrascarpe coscienzioso e onnipresente? La strana storia di Ingrid Klimke, Bertold Bleumer e del giovane Gustav Jung. Uno (sporco) divertimento per un gruppo di ragazzi che giocano a fare gli uomini duri. Un poeta Imbecille (con la I maiuscola) che rispetta le regole; fino alla fine.
La lettura è piana, grazie ad una scrittura effervescente, che non si perde in rivoli svolazzanti ma non è neanche stitica; racconta il giusto e con le giuste parole. Ogni personaggio sta in piedi da solo; e pur essendo storie brevi, mi sono chiesto spesso dove l'autore volesse andare a parare. Che per dei raccontini, a mio parere, è gran cosa: vuol dire che suscitano attenzione.
Il mio post è tutto qui, niente di stratosferico, solo la segnalazione di un ebook che può riempire un'attesa dal commercialista o dal dentista (entrambi eventi traumatici) o una fila alla posta facendo volare via il tempo.
In conclusione: placet. Voto: 7.


TIM

sabato 10 marzo 2012

(Alcune) cose e persone che mi fanno salire il sangue alla testa...

presa sempre da qui
... e con la pressione alta che mi ritrovo, per me sono anche pericolose. Ah, a proposito...


ATTENZIONE! DISCONOSCIMENTO DI RESPONSABILITA'!
Questo non è l'inizio di una catena di S. Antonio, né una Top Five o Top Ten.
È solo un post sul mio blog. E non è un post umoristico-satirico.


E ora cominciamo.
(Alcune) cose e persone che mi fanno salire il sangue alla testa...


Non rispettare il codice della strada, tipo: viaggiare senza la cintura allacciata, parlare al telefonino, occupare gli spazi per i disabili, parcheggiare fuori dagli appositi spazi (specie se solo per un attimino); sbraitare poi contro il vigile che ha fatto la multa per aver commesso uno dei suddetti reati stradali.


Avere in mano oggetti di vario tipo (pacchetti di sigarette, buste di corrispondenza, scontrini fiscali) e gettarle in terra per strada.


Sputare in terra mentre si sta camminando, per non essere da meno del branco con cui si sta andando.


Avere i pantaloni a metà culo, mostrando le mutande che devono avere obbligatoriamente l'elastico con marchio in bell'evidenza (ma lo sanno queste persone che è un'usanza che nasce nelle carceri americane e viene usata dai detenuti che sono disposti a soddisfare le voglie sessuali dei boss in cambio di una vita più comoda dietro le sbarre?)


Chi non raccoglie dal marciapiede la cacca del proprio cane.


Chi guida un SUV come se fosse la Costa Concordia (e non c'è niente da ridere!).


Chi lascia con sdegno e disprezzo lo scontrino sul bancone dopo che glielo hai fatto. E quando gli fai notare che io sono obbligato a farlo e lui a prenderlo, ti risponde invariabilmente: dovrebbe andare a prendere chi ruba, quelli che stanno in alto, non guardare queste fesserie!


Lo spazzino del mio quartiere che continua a lasciare sporco dappertutto e ha sempre la sigaretta in bocca (ma lo sa che sul luogo di lavoro è vietato fumare?).


Chi entra in un pubblico esercizio parlando al telefono e, a gesti, vorrebbe far capire al barista che vuole una consumazione o al macellaio che ha bisogno di 1 kg di filetto scelto, ma che sia senza grasso. Poi, quando è costretto a interrompere la conversazione per spiegarsi in linguaggio corrente, dice mi scusi, ma col tono di chi vuol dire: ma sei scemo?


Chi pontifica e sbraita contro le donne oggetto e poi ospita nei propri programmi: veline, vallette mute ma con tette e culi da urlo (secondo il comune giudicare), starlette ormai passate che vogliono tornare sulla breccia a furia di ma quella ce l'ha le mutande?; allo stesso modo i  giornalucoli che costano 50 centesimi e vendono migliaia di copie perché ingrandiscono il particolare della mano del manager-calciatore-cantante-politico X che tocca la f**a di Y mentre sono praticamente nudi sulla battigia di una qualche spiaggia esotica.


X e Y che minacciano querele verso il giornalucolo che ha pubblicato le foto di cui sopra, dopo che per settimane hanno annunciato dove sarebbe andati a fare petting.


I lettori che comprano il giornalucolo.


Personaggi che producono su di me eritemi e trismi di vari muscoli e che evito come la peste (in  ordine sparso): Antonella Clerici; Maria De Filippi; Caterina Balivo; soubrette e veline varie; Sara Tomasi; Mara Carfagna, MaryStar Gelmini e tutte quelle di prima (avete capito); (naturalmente) Berlusconi, Gasparri, Rutelli, Bersani e tutti quelli che questo paese ha bisogno di una svolta; Alessandro Meluzzi; Joseph Ratzingerr e il suo codazzo; Michelle Hunziker; Mario Balotelli; Bocelli, Pavarotti e tutti i cantanti lirici televisivi; Adriano Celentano, Tiziano Ferro, Raf, NeK (ma questi ultimi per fortuna sono spariti dalla circolazione) et similia, i vincitori di Amici, X Factor e menate (il vocabolo sarebbe leggermente più sanguigno) del genere.


Ci sono altre cose e persone che odio visceralmente o comunque preferisco non vedere e sentire e che dovete conoscere per avere un motivo per evitami, ma forse farò un altro post. E magari qualche altro nome lo metterò nei commenti, se ce ne saranno.
Se poi ho urtato la suscettibilità di qualcuno, pazienza; io penso queste cose e le devo dire, perché nascondermi dietro un dito non è nel mio stile.
Ah, a proposito (di nuovo): andatevi a leggere, se non l'avete già fatto, il post di ieri di elgraeco.


TIM



giovedì 8 marzo 2012

Strane foto birichine

Dedico questo post a LadyGhost, anzitutto perché oggi ha arbitrariamente nominato il mio garage come affidabile al 100%, e poi perché quello di cui parlerò brevemente è materia sua.
Quale? le cose strane che capitano tra capo e collo.
Ma andiamo per ordine.
Lo scorso anno ho acquistato un telefonino nuovo, uno di quelli che fanno foto, schermo touchscreen e bla bla bla. L'ho preso solo per un motivo: io sono ciecato e questo era quello con lo schermo più grande intorno ai 100 euri. 
Dopo innumerevoli notti in bianco a studiare le istruzioni per l'uso (non è veeerooo! ma quasi) ho iniziato a fare anche le mie belle foto. Clicca di qua, clicca di là ho cominciato a saper quasi usare l'aggeggio. Per non appesantire la memoria, dopo qualche settimana vado a fare un po' di pulizia nella galleria multimedia e... trovo la foto che vedete sopra!
Le foto fatte col mio telefonino hanno come numero quello ricavato dalla data e dal numero progressivo. Bene, questa foto risulta essere la numero 010420100097; quindi la 97esima del primo aprile 2010 (e giuro che non è un pesce d'aprile!), cioè un anno prima dell'acquisto dell'oscuro oggetto di piacere, quando, forse, ancora non era stato neanche assemblato in qualche oscura parte del mondo dove la manodopera costa un'inezia e se muore un bambino al banco di lavoro lo rimpiazzano subito con un altro.
Ora qualcuno mi sa spiegare l'arcano, visto che io la foto non l'ho mai scattata né riconosco il posto immortalato? 
Non si vince niente, ma se qualcuno ha una spiegazione senza ricorrere a Padre Amorth, gliene sarei grato.
Se poi aveste bisogno di disinfestarvi, spiritualmente parlando, dalle anime di chi vi è morto (tradotto dal napoletano e senza offesa per chi ci crede!), ecco quello che fa per voi.





TIM

mercoledì 7 marzo 2012

Bilico, di Paola Barbato

Con quella faccia d'angelo Paola Barbato non può aver scritto questo libro.
Non un libro così crudo e cattivo, nella storia come nei personaggi, spigolosi e duri come solo un muro di granito può essere.
Personaggi che si fanno beffe delle buone maniere, verso se stessi e gli altri.
Poi leggo che Paola Barbato è anche sceneggiatrice di Dylan Dog e allora comincio a credere un po' di più che abbia potuto scrivere questo Bilico, edito da Rizzoli nel 2006 e letto nell'edizione BUR 2007.
Per un parere serio potete andare a dare un'occhiata qui. Qualche parola in più andrebbe spesa anche sulla storia del libro, che nasce come racconto per il web e diventa poi un classico libro di carta; ma per fare questo vi rimando all'articolo su Thriller Magazine. Della serie: ci vuole sicuramente talento, ma se è già successo può succedere di nuovo...
Andiamo anzitutto alla trama, presa dalla quarta di copertina:
L'assassino, soprannominato "il Seviziatore", ha già ucciso tre volte. Meticoloso, paziente, imprevedibile, compone la scena del delitto come un vero teatro dell'orrore. La donna che gli dà la caccia è Giuditta Licari, anatomopatologa e psichiatra, solida e inquietante nel suo totale distacco di fronte a ogni genere di crudeltà, in grado di guardare il mondo con gli occhi del mostro. L'indagine sul Seviziatore la mette di fronte a qualcosa di nuovo: il dubbio. Dopo anni di delitti sempre uguali, Giuditta incontra un serial killer che, con una mossa impossibile da prevedere, sposta il piano d'azione su un livello personale, costringendola a diventare protagonista dello spettacolo.
La bravura dell'autrice sta nel raccontare la storia da dentro i personaggi: più che di eventi questo libro, da un certo punto in poi, è fatto di sensazioni, aspettative, giochi psicologici.

Paola Barbato
Certo, un thriller nel quale già a metà si conosce il colpevole potrebbe perdere ogni attrattiva, ma in questo caso non è così. Perché la storia continua, e gli omicidi sono sostituiti dalla storia dei personaggi, storia serrata, che sai già come va a finire (o almeno lo immagini), ma sei tenuto in bilico, come dice il titolo; ti trovi a seguire indagini e un processo in cui i personaggi recitano, letteralmente, la loro parte fino alla fine. In bilico perché non sai che giudizio umano dare a Giuditta Licari: non posso svelare niente di più della trama, ma un personaggio come quello non mi era mai capitato di incontrarlo. I protagonisti dei libri sono i buoni, o i cattivi, o i narratori, o buoni che diventano cattivi o viceversa. Ma una coma Giuditta no, io non l'ho mai incontrata. E ancora adesso, che ho fatto passare qualche giorno dalla fine del libro, mi chiedo con chi ho avuto a che fare in tanti giorni di lettura.
La donna tracagnotta, bruttina, antipatica che guida la storia fa la differenza in questa avventura narrativa, perché la trama (il serial killer, le indagini, il processo) è uguale a centinaia di altre storie. Ma il personaggio di Giuditta Licari fa di un plot banale, come tanti, un ottimo lavoro.
Non è il miglior libro che io abbia letto, questo no; ma ci è andato molto vicino, mi ha appassionato, mi ha, soprattutto, coinvolto a livello emotivo, tenendomi sul filo (in bilico) senza farmi decidere se tifare o condannare senza possibilità di appello i vari protagonisti e comprimari.
Non so se queste mie impressioni di lettura vi abbiano trasmesso qualcosa, anche solo un po' di curiosità. Quello che voglio dirvi, però, è che anche se non amate il giallo o proprio lo odiate, questo libro potrebbe fare per voi, perché vi troverete davanti a personaggi veri, complicati ma credibilissimi. E questo non è poco per un semplice thriller.
Un 'ultima notizia sull'autrice, che oltre a Bilico ha scritto altri due romanzi (vincendo tra l'altro il Premio Scerbanenco 2008), ha sceneggiato Sighma per i Romanzi a fumetti Bonelli, e ha co-sceneggiato una fiction. Paola Barbato, dal 2011, pubblica il primo esperimento on-line di fumetto in stile shojo-manga (leggo da Wiki, perché di queste cose ne so poche): Davvero. Per gli appassionati.
In conclusione, il libro placet. Voto: 9


TIM

martedì 6 marzo 2012

Felici acquisti della domenica (e non solo)

Segnalo alcune new entry nella mia libreria, testi acquistati domenica al mercatino (tranne i primi due che non avevo segnalato prima e inserisco arbitrariamente qui).


Magia Rossa di Gianfranco Manfredi  (ed. Gargoyle Books )
Riverwatch di Joseph Nassise  (ed. Gargoyle Books)
Masche di Fabrizio Borgio (Fratelli Frilli Editori)
La chiusa n. 1 e La prima inchiesta di Maigret di Georges Simenon (Adelphi)
Troppi morti commissario Marè di Mario Quartucci (Robin Edizioni)
Harry Bosch collection-2 (comprende: L'ombra del coyote e Musica Dura) di Michael Connelly (ed. Piemme).


Totale speso (per tutti e sette i libri, e tenendo conto che ho fatto anche degli scambi): 16 euro.
Solo una piccola considerazione sulla Collana Luoghi del delitto della Robin Edizioni; e per farlo riporto quello che la stessa casa editrice scrive a introduzione dei testi in catalogo: 
Città e territori teatro di delitti e misfatti sono i protagonisti della collana insieme a personaggi che il pubblico, storia dopo storia, può imparare a conoscere, riconoscere e amare. Attraverso le inchieste e la personalità del detective di turno i lettori possono indagare aspetti sconosciuti di città notissime o di intere regioni. Ogni volume è arricchito da un'introduzione che vuole offrire un ritratto curioso e accattivante del luogo del delitto e dei suoi abitanti, raccontandone paesaggi, caratteri e tradizioni. Niente di nuovo, ci ha pensato anche l'amico Glauco con le mappe linkate nei suoi libri: far conoscere i posti attraverso la scrittura, non come semplice descrizione, ma come protagonisti della storia. Ma l'idea è interessante.


TIM
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