mercoledì 3 dicembre 2014

Chiese e libertà del cristiano



“Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalla impudicizia.” (Atti 21,25)


Molte chiese e comunità cristiane hanno una lettura molto “letterale” della Bibbia, nel senso che affermano che ciò che la Scrittura dice va preso e osservato, appunto, alla lettera.
E questo ha ricadute non da poco sulla vita stessa della comunità e soprattutto su chi vuole avvicinarsi ad un gruppo cristiano per approfondire la propria fede e condividerla. Pensiamo ad esempio a tutte quelle comunità che, partendo dalle lettere di Paolo, obbligano le donne a velarsi il capo, a non usare prodotti di bellezza, ecc. . Non sto parlando di usare le normali norme di buon gusto e decenza (che il mondo di oggi pare aver smarrito per strada!), ma di veri e propri ‘obblighi’, pena l’impossibilità a partecipare alla vita della comunità. Come se queste cose fossero superiori all’amare Dio e il prossimo e al comportarsi correttamente nella vita quotidiana.
È vero che la Bibbia parla di norme particolari, quali l’abbigliamento da tenere, il comportamento da avere nelle assemblee e fuori, ma è anche vero che quando leggiamo un testo, biblico e no, dobbiamo sempre distinguere ciò che è stato scritto per la gente di quei tempi (e perché!) e ciò che invece è un principio di fede basilare.
Ho fatto all’inizio l’esempio della questione della carne sacrificata agli idoli.
Presso gli ebrei e i pagani era normale fare sacrifici rituali di animali e naturalmente mangiarne dopo le carni (sarebbe stato un peccato uccidere e cuocere un capretto e poi gettarlo nella spazzatura!). Quel mangiare, però, oltre che essere una questione pratica, aveva anche una valenza religiosa, di partecipazione personale al sacrificio appena fatto dal sacerdote a nome del fedele. Perciò se un cristiano andava a casa di qualcuno che gli offriva carne immolata agli idoli, era invitato a non mangiarne; infatti avrebbe significato ammettere che anche un cristiano poteva ‘partecipare’ indirettamente ai sacrifici pagani.
Oggi come oggi, in cui non c’è più chi fa sacrifici animali, la regola del non mangiare questa carne è ridicola, senza senso. Potrebbe però essere mantenuto il principio che è bene non partecipare a cose fatte anche da altri contro ciò che i cristiani considerano sacro (usando un linguaggio giuridico, potremmo dire ‘fare favoreggiamento’).
Proviamo ad applicare lo stesso principio, ad esempio, a 1Corinti 14,34: “Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge.” Sembrerebbe che le donne debbano far silenzio nelle assemblee; eppure in altre parti Paolo stesso (e Luca negli Atti degli Apostoli) raccontano di donne che dirigono una comunità. Perché questo? Perché ogni parola è rivolta ad una gruppo specifica, che ha determinati problemi e che vive in un determinato contesto.
Presso gli ebrei le donne non avevano alcuna voce in capitolo, perciò come sarebbe stata accettata una dottrina che lasciava libertà totale alle donne? Qualcuno li avrebbe mai presi sul serio?
E un’ultima osservazione.
Paolo introduce un concetto importantissimo: la libertà del cristiano. Nella lettera ai Galati, scrive: “… e questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi.” (Gal 2,4) Secondo la mentalità (ebraica) del tempo, infatti, si poteva essere veramente credenti solo se si rispettavano per filo e per segno tutte le regole che erano scritte, e anche quelle non scritte: solo gli ebrei ne aveva 365 che erano indispensabile osservare!
Il cristiano invece, dice la Scrittura, è libero perché Dio non vuole sacrifici, ma giustizia e misericordia: «Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?»
dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. … Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova
». (Isaia 1, 11-19)
Ecco le vere priorità: la giustizia, assistere chi ha bisogno, una preghiera vera e pura. Queste cose non passano mai, tutto il resto rimane ancorato al luogo e al tempo in cui si vive.

Tuttavia se in una comunità c’è chi ancora non ha maturato una fede forte, ma risente della mentalità precedente, Paolo raccomanda di non scandalizzare il fratello. Dice 1Corinzi 8,9: “Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. La libertà cristiana infatti non nasce nel momento in cui si diventa cristiani, ma è segno di maturazione. Solo chi ha maturato nella fede la propria personalità può dirsi libero di osservare la Parola di Dio pur sembrando che esteriormente non lo faccia. E quelle prime comunità erano ancora acerbe, appena nate alla fede, indifese dagli attacchi esterni (anche fisici) degli ebrei e dei pagani. Perciò avere dei ‘paletti’ indicatori aiuta a trovare più facilmente la strada. Ma una volta che si è imparata la via, questa si potrà percorre anche a occhi chiusi, senza bisogno che ci sia qualcuno che ci dica cosa dobbiamo e non dobbiamo fare.

Juan Segundo

 (pubblicato già qui)

2 commenti:

  1. Una comunità religiosa ha necessariamente delle regole, non si fugge. Sono d'accordo sul fatto che un credente possa talvolta prendersi delle libertà vista l'impossibilità materiale di rispettare tutte le regole, purchè non diventi una scusa per auto-perdonarsi (che poi, io sono il primo a fare così, pessimo cristiano e poco credibile anche come eretico).
    Sono d'accordo anche su certe interpretazioni letterali, prima fra tutte quella che impone il celibato ai ministri della chiesa sull'esempio di Gesù e sulla base delle predicazioni di Paolo. Credo che non ci sarebbe nulla di male se al clero fosse concesso di mettere su famiglia.

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    Risposte
    1. La libertà di cui parla Paolo, in verità, non è un prendersi "delle libertà" perché è difficile rispettare degli obblighi, ma il sapere che gli obblighi (seppur ci possano essere) dovrebbero essere non il fine ma il mezzo: fare o non fare una cosa deve servirmi per raggiungere un obiettivo, e l'obiettivo è quello di non avere altro scopo che l'amore verso Dio e verso il prossimo.
      Quanto al discorso sul celibato, nella Bibbia non se ne parla assolutamente, tanto è vero che quando Paolo VI chiese ad una commissione di esperti un parere sull'argomento, dopo anni di studio arrivarono a dire che né a livello biblico, né teologico, né storico c'era alcun obbligo per i ministri di culto di non sposarsi. Fu poi il papa a dire che comunque lui (con l'autorità che gli era stata concessa) stabiliva che doveva essere così.
      E non aver paura che nessuno è eretico se segue il proprio cuore e la propria coscienza! Grazie dell'intervento!

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