Ascoltavo, poco fa' per strada, un po' di musica dal mio vecchio lettore MP3. Era di scena Sergei Rachmaninoff col suo concerto per piano n. 2. È uno dei brani che mi affascinano di più, che mi capita di ascoltare anche 2-3 volte di seguito. E mi veniva in mente che proprio con questo brano ho aperto la stesura del mio secondo racconto lungo con protagonista il commissario Francesco Bacone, lavoro iniziato da più di un anno e che ancora non è andato oltre il 3 capitolo. Ma che, come si suol dire, ho tutto in testa. Così ho pensato di darvi in pasto la musica di Rachmaninoff e l'attacco del racconto.
Buona lettura e buon ascolto!
1.Dove Bacone offre un caffè
Non si
può suonare Rachmaninoff in una chiesa, eccheccavolo!
In
chiesa va bene Bach, pensava Bacone mentre usciva dal tepore caldo e legnoso
dei banchi della cattedrale per tuffarsi nel freddo gelido della strada.
Per
quanto, però, il concerto n. 2 aveva un che di maestoso nell’overture che gli
richiamava non solo il mare in tempesta, ma anche un uragano di vento, un
soffio potente. E lo Spirito Santo, ricordava dal catechismo di Dognazio (come tutti
chiamavano il parroco del tempo) era rappresentato proprio come un vento maestoso.
Allora
sì, poteva andare anche Rachmaninoff.
Almeno
per quella mattina in cui si sentiva inquieto senza sapere il perché.
In
fondo Conci stava presenziando il commissariato e, per quanto come persona
Bacone non avesse una grande stima di lui –più che altro avevano due visioni
diverse della vita e delle cose- l’ispettore era un buon poliziotto, conosceva
i fondamentali, come si usa dire.
Sul
resto era meglio stendere un velo pietoso.
Così
Bacone si era concesso una mattinata di libertà.
Qualche
giorno prima aveva consegnato il rapporto sul caso Mirella Forti e ora non
stava seguendo niente di particolare. Coordinava più che altro il lavoro su
alcuni episodi di danneggiamento delle fioriere in centro storico, ma le
telecamere a circuito chiuso installate nei punti strategici stavano dando una
grossa mano.
Normalmente
per Bacone una mattinata di libertà
significava passare il tempo su qualche panchina del viale o davanti a qualche vetrina; ma sempre con un occhio all’orologio, in attesa dell’ora di tornare in
commissariato, l’unico posto che riconoscesse come casa sua.
Quella mattina, invece, era diretto al Libro-Caffè, il locale che gli aveva fatto
conoscere il suo amico Lucà, quello con l’accento sulla a, anche se non era francese.
Lo
rilassava ascoltare musica in sottofondo sorseggiando un orzo all’anice o un
caffè, attorniato da libri e libri che aspettavano di essere presi, sfogliati, acquistati.
Quattro
o cinque stanze (non le aveva mai contate) con pareti ricoperte da semplici
scaffali in legno carichi di volumi, e tavolini dove poter cosnumare le ordinazioni servite dalle ragazze con
la divisa nera. In una sala più grande delle altre
faceva bella mostra di sé un bancone in legno massiccio, col lavandino in marmo
e lo scolatoio in acciaio, probabilmente recuperato da qualche vecchio bar.
Non
che Bacone leggesse molto o fosse un amante dei libri, come certa gente che
sostituisce la morbosità verso il culo di una ragazza con quella di una prima
edizione autografata di Cesare Pavese. Nella vita, rifletteva a volte, fare di
una cosa il centro assoluto della propria esistenza (che sia un libro o il culo
di una ragazza) diventa una malattia, non un interesse; è patologico, non ricreativo.
Spesso
andava lì solo per pensare in tranquillità, o per godere dell’aria condizionata
d’estate e del riscaldamento d’inverno.
Non
disdegnava però neanche un buon libro che gli tenesse compagnia. ...
TIM
Ho iniziato a leggere, e ovviamente ti ringrazio per la citazione ;-)
RispondiEliminaTi farò avere quanto prima un'opinione a caldo e qualche piccola annotazione qua e là.
Grazie a te! La citazione era d'obbligo, mi sembra...
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