venerdì 19 ottobre 2012

I racconti di Marco Vergerio: Nuove (de)generazioni

Marco alle prese con
la difficile arte del
nutrimento del corpo...

Siamo agli sgoccioli di questo blog, e non posso non proporre ancora un racconto di Marco Vergerio, di cui avete letto, e spero apprezzato, altri lavori qui.
Questa storia è più recente delle altre e si vede anche nell'impostazione più allungata del testo. Pur senza anticipare niente, troverete qui l'ansia, l'eccitazione e, forse, la delusione di un uomo che si lascia trascinare da (insane) passioni inconfessabili. O forse si lascia prendere da un gioco innocente ma che la cosiddetta società civile, nel sulla sua ipocrisia, non accetta. Il linguaggio crudo non è messo lì per acchiappare il lettore, ma è interno, organico alla storia. Anche le immagini, che sembrano buttate allo sbaraglio, rientrano alla fine in un paesaggio non solo naturale, ma dell'anima. Almeno questo è quello che vedo io; poi mi farete sapere voi, se ne avrete voglia.
Vi lascio ora a questo


Nuove (de)generazioni
Quella ragazzina mi aveva davvero smosso qualcosa sotto la cintura quel sabato, si aggirava maliziosa e spersa per il supermercato accompagnandosi ad una donna in età con cappello e pelliccia. Fosse la madre o la nonna non avrei davvero saputo dire, ma la ragazzina non doveva avere la maggiore età; sicuramente aveva quella della ragione.
Forse era davvero la madre, una figlia avuta in tarda età con genitori vecchi nasce vecchia, non c’è niente da fare. Camminava su e giù per la Bennet con i piedini infilati in stivaletti col mezzo tacco che arrivano poco più in su del polpaccio e che lo coprono fasciandolo e imborchiandolo e lasciando a vista solo la punta e il tacco. Le gambe sode e morbide insaccate in collant spessi color carne sotto una gonnellina corta e svolazzante che terminava con un provocante pizzo nero; coperta dalla vita in su da una giacca a vento scura, sciarpa e capelli a caschetto.
Non so perché, il viso era davvero acerbo e fanciullesco, ma niente del resto poteva essere di una femmina poco più che bambina. Intendiamoci, normalmente non amo le ragazzine, preferisco le donne un po’ più vecchiotte, soprattutto quelle senza pudore in jeans stretti e tacchi alti a mostrare culoni e bocce molli infilate in catafalchi reggiseni rinforzati.
Ma quella, davvero, mi stava facendo bollire il liquido del cervello. Passai cinque volte a guardar formaggi e yogurt, tre a toccare e sdegnare pacchetti di carne in polistirolo e plastica trasparente, additai caramelle gommose e pasticche di liquirizia del re e lanciai sguardi languidi e pietosi come il cane da appartamento. La ragazzina ricambiava, non con malizia, ma con curiosità, quella curiosità infantile, come se stesse guardando qualche raro esemplare di insetto morto spiaccicato sul parabrezza del motorino nuovo per la promozione. Io cominciavo il delirio. Ad ogni passo dietro di lei, che lasciava la madre-nonna indaffarata a scegliere zucchine, il mio estro saltava come il grillo parlante e proprio come un grillo parlante indecente e sadico mi sussurrava all’orecchio: valle vicino! Più vicino, odora la sua fica profumata di fiori e merluzzo fritto, toccala, sfiora quelle gambe di ottone e quel culo di alabastro, spogliala, cercala! Sotto al giubbotto i seni piccoli e vivaci, i capezzoli rosa e appuntiti, baciala! Del suo bacio senza esperienza con la lingua timida fra i denti.
Mi lanciai diretto alle casse con ancora metà della lista da spuntare, pagare in fretta e uscire e aspettare. Diedi l’ultimo sguardo a madre e figlia mentre anche loro si mettevano in fila poco più avanti di me mentre stavo pagando il conto, le avrei aspettate fuori e le avrei seguite fino a casa. Non sapevo ancora cosa stessi cercando o quanto in là mi sarei spinto, sapevo solo che quell’impulso irrefrenabile che come una scarica elettrica partiva dalla base della spina dorsale e inondava il cazzo fino a far vibrare il prepuzio, in quel momento stava dettando le leggi. E non ci avrei potuto mettere becco. La piccola sapeva ed era curiosa, fottutamente curiosa. Quando uscirono dal supermercato stavo fingendo di armeggiare col telefono, mi vide e sorrise. Salendo in macchina, fortunatamente vicino all’ingresso dove mi ero messo a sorvegliare, allargò un poco le gambe infilandosi al lato passeggero; e ancora quello sguardo. Guidai a distanza di sicurezza fin quasi fuori città badando di non essere visto nel buio freddo della sera che ormai stava cadendoci addosso come una colata di catrame gelido.
Abitavano in una villetta a schiera di quelle tremende con la tavernetta e la mansarda e un minuscolo giardino. Il cane. Dovevano avere un cane, se no mancava qualcosa nel quadretto di periferia di provincia. Se avevo interpretato bene i suoi segnali la ragazzina sarebbe uscita a menare il cane per una pisciata, il problema era se avevano il gatto.
Attesi in auto per almeno quindici minuti con una batteria bebop nelle tempie ed un gonfiore spropositato nei pantaloni, ma poi successe. La ragazzina uscì col bastardo e si diresse decisa verso di me, io, uscendo dall’auto e accendendomi una sigaretta, l’attesi tremando.
- Ciao. - Mi disse. - Ti ho visto alla Bennet, sei un tipo strano tu.
- Non più strano di altri, ma i tuoi ti fanno uscire così, da sola, la sera?
- Si perché? Questo è un quartiere tranquillo e poi c’è Roscoe. - Indicando il cane. - Senti, ho bisogno di ricaricare il telefono, qui dietro c’è una tabaccheria… se mi metti venti euro… quando torni te lo faccio con la mano.
- Cosa stai dicendo? Sei matta ragazzina, mi vuoi inguaiare?
Stavo recitando proprio male e la mia mano sinistra era ambiguamente infilata nelle tasche dei calzoni mentre con la destra fumavo spargendo cenere ovunque sulla strada
- Senti vecchio. - Disse lei. – Se ti va qui dietro c’è la tabaccheria, appena ricevo il messaggio della ricarica ti aspetto dietro a quella siepe che intanto faccio fare a Roscoe i suoi bisogni, se non ti va puoi anche andare a fare in culo.
Chiusi la macchina e sgambai in direzione dei tabacchi con in mano un post-it giallo con il suo numero scritto a penna con grafia tonda e voluttuosa, non mi sembrava vero ma, cazzo, farsi masturbare così, con questo freddo, dietro ad una siepe non era esattamente il massimo ma la forza di attrazione che avevo per lei era più forte di quella di gravità e dirigendomi sul luogo dell’appuntamento mi sembrava di galleggiare come se fossi sulla Luna o proiettato nello spazio profondo su un qualche asteroide senza controllo e orbita.
Aveva ricevuto il messaggio e mi stava aspettando con il cane legato all’alberello che le stava a fianco, quando mi vide il bastardo iniziò a frignare e guaire ma la ragazzina lo tranquillizzò arricciando le labbra e emettendo un suono a metà tra un guaito lui stesso e un complimento che si fa ad un neonato; il cane, ipnotizzato, si rilassò sdraiandosi sulla terra umida.
- Bravo, la ricarica l’hai fatta, adesso vieni, te lo sei meritato.
- Come ti chiami. Dissi io.
- Jessica, e tu?
- Io mi chiamo Filippo. Quanti anni hai, non mi stai inguaiando vero?
- Senti se non ti fidi puoi anche tornartene da dove sei venuto, di anni ne ho quasi diciassette e no, non sono qui per ricattarti, mi basta che fai il bravo, a scuola lo facevo sempre ma i miei amici sono degli stronzi, cercano sempre di riprendere col telefonino e poi ti sputtanano su internet e con tutta la scuola.
Dicendo così mi mise una mano in mezzo alle gambe, aprì la lampo e me lo tirò fuori. La ragazzina ci sapeva fare nonostante l’età, avevo visto giusto al supermercato, così mi lasciai definitivamente andare mentre lei menava il su e giù del piacere. Venni copiosamente sul prato bruciato dall’inverno.
- Ora devo andare, tu copriti e vattene.
- Voglio rivederti, Jessica, dobbiamo farlo ancora, posso darti più soldi se ti servono.
- Senti coso, il mio numero ce l’hai, solo sms, non mi chiamare, se ti vedo girare qui intorno racconto che mi hai molestata e ti faccio arrestare ok? Non mi sembri un pazzo maniaco, ti prego non farmi cambiare idea se no comincio a gridare subito, qui.
- Va bene, va bene, magari ci rivediamo al supermercato.
Si girò come un soldato sui suoi tacchi e la vidi dondolare verso casa con il cagnetto che le faceva le feste tutt’intorno. La sua padroncina era tornata da lui e aveva finalmente mollato il ciccione ad asciugarsi sulla strada.
Tornai in macchina ed entrai svuotato di corpo e di mente, accesi una sigaretta e, frugandomi in tasca, trovai la lista della spesa da finire.
Avevo ancora tempo, misi in moto l’auto e mi diressi di nuovo verso il supermercato.

 TIM

4 commenti:

  1. Ma cosa vuol dire "siamo agli sgoccioli"?
    Guarda che rischi grosso... ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. mi avvalgo della facoltà (mi è rimasta solo quella) di non rispondere.

      Elimina
  2. Racconto duro da digerire ma purtroppo abbastanza realistico.
    Ma, mi aggiungo a Eddy, che vuol dire "agli sgoccioli di questo blog"? Mancanza di idee? Guarda che ci capita a tutti, sai? Io sto navigando a vista, ho altre quattro vignette di writerman e poi il vuoto assoluto della mente. É bello improvvisare no? E poi noi italiani siamo esperti in questo settore ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ho troppa carne al fuoco e non so quale fare bruciare e quale salvare. insomma c'ho il marasma in testa e ci vorrebbe un bel colpo di spugna. poi si vedrà, forse...

      Elimina

fatti sentire

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...