Marco alle prese con la difficile arte del nutrimento del corpo... |
Siamo agli sgoccioli di questo blog, e non posso non proporre ancora un racconto di Marco Vergerio, di cui avete letto, e spero apprezzato, altri lavori qui.
Questa storia è più recente delle altre e si vede anche nell'impostazione più allungata del testo. Pur senza anticipare niente, troverete qui l'ansia, l'eccitazione e, forse, la delusione di un uomo che si lascia trascinare da (insane) passioni inconfessabili. O forse si lascia prendere da un gioco innocente ma che la cosiddetta società civile, nel sulla sua ipocrisia, non accetta. Il linguaggio crudo non è messo lì per acchiappare il lettore, ma è interno, organico alla storia. Anche le immagini, che sembrano buttate allo sbaraglio, rientrano alla fine in un paesaggio non solo naturale, ma dell'anima. Almeno questo è quello che vedo io; poi mi farete sapere voi, se ne avrete voglia.
Vi lascio ora a questo
Nuove (de)generazioni
Quella
ragazzina mi aveva davvero smosso qualcosa sotto la cintura quel sabato, si
aggirava maliziosa e spersa per il supermercato accompagnandosi ad una donna in
età con cappello e pelliccia. Fosse la madre o la nonna non avrei davvero
saputo dire, ma la ragazzina non doveva avere la maggiore età; sicuramente
aveva quella della ragione.
Forse
era davvero la madre, una figlia avuta in tarda età con genitori vecchi nasce
vecchia, non c’è niente da fare. Camminava su e giù per la Bennet con i piedini
infilati in stivaletti col mezzo tacco che arrivano poco più in su del
polpaccio e che lo coprono fasciandolo e imborchiandolo e lasciando a vista
solo la punta e il tacco. Le gambe sode e morbide insaccate in collant spessi
color carne sotto una gonnellina corta e svolazzante che terminava con un
provocante pizzo nero; coperta dalla vita in su da una giacca a vento scura,
sciarpa e capelli a caschetto.
Non
so perché, il viso era davvero acerbo e fanciullesco, ma niente del resto
poteva essere di una femmina poco più che bambina. Intendiamoci, normalmente
non amo le ragazzine, preferisco le donne un po’ più vecchiotte, soprattutto
quelle senza pudore in jeans stretti e tacchi alti a mostrare culoni e bocce
molli infilate in catafalchi reggiseni rinforzati.
Ma
quella, davvero, mi stava facendo bollire il liquido del cervello. Passai
cinque volte a guardar formaggi e yogurt, tre a toccare e sdegnare pacchetti di
carne in polistirolo e plastica trasparente, additai caramelle gommose e
pasticche di liquirizia del re e lanciai sguardi languidi e pietosi come il
cane da appartamento. La ragazzina ricambiava, non con malizia, ma con
curiosità, quella curiosità infantile, come se stesse guardando qualche raro
esemplare di insetto morto spiaccicato sul parabrezza del motorino nuovo per la
promozione. Io cominciavo il delirio. Ad ogni passo dietro di lei, che lasciava
la madre-nonna indaffarata a scegliere zucchine, il mio estro saltava come il
grillo parlante e proprio come un grillo parlante indecente e sadico mi
sussurrava all’orecchio: valle vicino! Più vicino, odora la sua fica profumata
di fiori e merluzzo fritto, toccala, sfiora quelle gambe di ottone e quel culo
di alabastro, spogliala, cercala! Sotto al giubbotto i seni piccoli e vivaci, i
capezzoli rosa e appuntiti, baciala! Del suo bacio senza esperienza con la
lingua timida fra i denti.
Mi
lanciai diretto alle casse con ancora metà della lista da spuntare, pagare in
fretta e uscire e aspettare. Diedi l’ultimo sguardo a madre e figlia mentre
anche loro si mettevano in fila poco più avanti di me mentre stavo pagando il
conto, le avrei aspettate fuori e le avrei seguite fino a casa. Non sapevo
ancora cosa stessi cercando o quanto in là mi sarei spinto, sapevo solo che
quell’impulso irrefrenabile che come una scarica elettrica partiva dalla base
della spina dorsale e inondava il cazzo fino a far vibrare il prepuzio, in quel
momento stava dettando le leggi. E non ci avrei potuto mettere becco. La
piccola sapeva ed era curiosa, fottutamente curiosa. Quando uscirono dal
supermercato stavo fingendo di armeggiare col telefono, mi vide e sorrise.
Salendo in macchina, fortunatamente vicino all’ingresso dove mi ero messo a
sorvegliare, allargò un poco le gambe infilandosi al lato passeggero; e ancora
quello sguardo. Guidai a distanza di sicurezza fin quasi fuori città badando di
non essere visto nel buio freddo della sera che ormai stava cadendoci addosso
come una colata di catrame gelido.
Abitavano
in una villetta a schiera di quelle tremende con la tavernetta e la mansarda e
un minuscolo giardino. Il cane. Dovevano avere un cane, se no mancava qualcosa
nel quadretto di periferia di provincia. Se avevo interpretato bene i suoi
segnali la ragazzina sarebbe uscita a menare il cane per una pisciata, il
problema era se avevano il gatto.
Attesi
in auto per almeno quindici minuti con una batteria bebop nelle tempie ed un
gonfiore spropositato nei pantaloni, ma poi successe. La ragazzina uscì col bastardo
e si diresse decisa verso di me, io, uscendo dall’auto e accendendomi una
sigaretta, l’attesi tremando.
-
Ciao. - Mi disse. - Ti ho visto alla Bennet, sei un tipo strano tu.
-
Non più strano di altri, ma i tuoi ti fanno uscire così, da sola, la sera?
- Si
perché? Questo è un quartiere tranquillo e poi c’è Roscoe. - Indicando il cane.
- Senti, ho bisogno di ricaricare il telefono, qui dietro c’è una tabaccheria…
se mi metti venti euro… quando torni te lo faccio con la mano.
-
Cosa stai dicendo? Sei matta ragazzina, mi vuoi inguaiare?
Stavo
recitando proprio male e la mia mano sinistra era ambiguamente infilata nelle
tasche dei calzoni mentre con la destra fumavo spargendo cenere ovunque sulla
strada
-
Senti vecchio. - Disse lei. – Se ti va qui dietro c’è la tabaccheria, appena
ricevo il messaggio della ricarica ti aspetto dietro a quella siepe che intanto
faccio fare a Roscoe i suoi bisogni, se non ti va puoi anche andare a fare in
culo.
Chiusi
la macchina e sgambai in direzione dei tabacchi con in mano un post-it giallo
con il suo numero scritto a penna con grafia tonda e voluttuosa, non mi
sembrava vero ma, cazzo, farsi masturbare così, con questo freddo, dietro ad
una siepe non era esattamente il massimo ma la forza di attrazione che avevo
per lei era più forte di quella di gravità e dirigendomi sul luogo
dell’appuntamento mi sembrava di galleggiare come se fossi sulla Luna o
proiettato nello spazio profondo su un qualche asteroide senza controllo e
orbita.
Aveva
ricevuto il messaggio e mi stava aspettando con il cane legato all’alberello
che le stava a fianco, quando mi vide il bastardo iniziò a frignare e guaire ma
la ragazzina lo tranquillizzò arricciando le labbra e emettendo un suono a metà
tra un guaito lui stesso e un complimento che si fa ad un neonato; il cane,
ipnotizzato, si rilassò sdraiandosi sulla terra umida.
-
Bravo, la ricarica l’hai fatta, adesso vieni, te lo sei meritato.
-
Come ti chiami. Dissi io.
-
Jessica, e tu?
- Io
mi chiamo Filippo. Quanti anni hai, non mi stai inguaiando vero?
-
Senti se non ti fidi puoi anche tornartene da dove sei venuto, di anni ne ho
quasi diciassette e no, non sono qui per ricattarti, mi basta che fai il bravo,
a scuola lo facevo sempre ma i miei amici sono degli stronzi, cercano sempre di
riprendere col telefonino e poi ti sputtanano su internet e con tutta la
scuola.
Dicendo
così mi mise una mano in mezzo alle gambe, aprì la lampo e me lo tirò fuori. La
ragazzina ci sapeva fare nonostante l’età, avevo visto giusto al supermercato,
così mi lasciai definitivamente andare mentre lei menava il su e giù del
piacere. Venni copiosamente sul prato bruciato dall’inverno.
-
Ora devo andare, tu copriti e vattene.
-
Voglio rivederti, Jessica, dobbiamo farlo ancora, posso darti più soldi se ti
servono.
-
Senti coso, il mio numero ce l’hai, solo sms, non mi chiamare, se ti vedo
girare qui intorno racconto che mi hai molestata e ti faccio arrestare ok? Non
mi sembri un pazzo maniaco, ti prego non farmi cambiare idea se no comincio a
gridare subito, qui.
- Va
bene, va bene, magari ci rivediamo al supermercato.
Si
girò come un soldato sui suoi tacchi e la vidi dondolare verso casa con il
cagnetto che le faceva le feste tutt’intorno. La sua padroncina era tornata da
lui e aveva finalmente mollato il ciccione ad asciugarsi sulla strada.
Tornai
in macchina ed entrai svuotato di corpo e di mente, accesi una sigaretta e,
frugandomi in tasca, trovai la lista della spesa da finire.
Avevo
ancora tempo, misi in moto l’auto e mi diressi di nuovo verso il supermercato.
Ma cosa vuol dire "siamo agli sgoccioli"?
RispondiEliminaGuarda che rischi grosso... ;)
mi avvalgo della facoltà (mi è rimasta solo quella) di non rispondere.
EliminaRacconto duro da digerire ma purtroppo abbastanza realistico.
RispondiEliminaMa, mi aggiungo a Eddy, che vuol dire "agli sgoccioli di questo blog"? Mancanza di idee? Guarda che ci capita a tutti, sai? Io sto navigando a vista, ho altre quattro vignette di writerman e poi il vuoto assoluto della mente. É bello improvvisare no? E poi noi italiani siamo esperti in questo settore ;-)
ho troppa carne al fuoco e non so quale fare bruciare e quale salvare. insomma c'ho il marasma in testa e ci vorrebbe un bel colpo di spugna. poi si vedrà, forse...
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