martedì 12 marzo 2013

Il commissario Bordelli, di M. Vichi

Quando due domeniche fa' ho visto sul banchetto del mio pusher di fiducia al mercatino dell'usato questo volumetto quasi perso, timoroso, ho detto: è mio!
Dopo tanto cercare avevo infatti in mano un libro di Marco Vichi: Il Commissario Bordelli. La prima indagine. E dopo l'entusiasimante avventura della lettura di Una brutta faccenda, di cui ho parlato qui non potevo farmelo scappare.
L'ho letto tutto in giorno, domenica scorsa, seduto sulla mia sedia a dondolo. È vero, sono solo duecento pagine (ecco perché l'ho finito in così poco tempo!), ma sono pagine piene di vita, dove vuoi andare avanti non solo perché c'è un mistero da svelare, ma anche perché c'è un uomo da conoscere, un tempo storico da riscoprire, contatti umani che oggi, ormai, sono andati persi.
Ma andiamo con ordine.
Anzitutto il riassunto, dalla IV di copertina:
Firenze, estate 1963. Nella stanza da letto di una villa settecentesca viene ritrovato il corpo senza vita di un'anziana signora. Sul comodino, un bicchiere con tracce di un medicinale contro l'asma. Il commissario Bordelli, cinquantenne, scapolo, ex partigiano, amico di ladri e prostitute, viene chiamato a guidare le indagini... 
Il commissario Bordelli mi era stato simpatico già la volta scorsa e la lettura di questo primo libro della serie non ha fatto che rafforzare questa convinzione.
Siamo abituati ormai a personaggi veloci, immersi in una società veloce, dove basta sapere un numero di telefono e col gps sai subito dove andare a beccare un ladruncolo o uno squalo della finanza. Ma negli anni '60 non era così, bisognava scarpinare per andare a cercare anche solo un indirizzo e non c'era Horatio col suo google map a ricostruire il percorso dell'assassino fino alla scena del crimine.
Bordelli vive in un'altra realtà. Marco Vichi riesce a rendere perfettamente il tempo, e se fa caldo non ci sono i condizionatori d'aria, ma l'afa e le zanzare diventano protagonisti e comprimari da non sottovalutare. 
In questo primo libro, l'autore passa molto tempo a spiegarci chi è Bordelli, a farci scoprire le persone che ruotano all'interno del piccolo suo mondo: Piras che, guarda un po' il destino, scopre essere il figlio del suo compagno d'arme partigiane, quello con cui ha condiviso la vita e la (paura della) morte; il dottor Diotivede, medico legale (chissà perché nella mia mente ogni medico legale di cui leggo ha i tratti del dottor Pasquano di montalbaniana memoria!); Rosa, una escort, diremo noi abitanti del mondo berlusconiano, ormai -quasi- in pensione che gli fa da mamma, amante, psicanalista e locandiera sempre pronta a preparargli uno spuntino notturno.
Ma conosciamo anche il suo maggiolino, auto importante (a quei tempi), indistruttibile, soprattutto indispensabile per i sopralluoghi sulle colline di Fiesole. Sì, perché Bordelli vive a Firenze; e Firenze è l'altra protagonista di questi romanzi di Marco Vichi: le sue strade, i suoi vicoli, il lungoarno. Tutto vive in un alone di realtà antica, un po' come la città di Amici miei, il capolavoro di Monicelli; e a volte mi aspetto di veder sbucare fuori da qualche pagina il Perozzi o il conte Mascetti.
Sarà che io sono nato proprio nel 1960, ma mi sembra di ritornare alle atmosfere di quand'ero bambino, quando (come racconta Vichi del suo commissario) si usava ancora fare il riposino pomeridiano in piena estate, che anche per me era un dramma: tutto tempo perso, sacrificato al gioco. Lui racconta della sua infanzia di 30 anni prima, ma ancora la vita negli anni '60 non era precipitata nel baratro del primo boom economico, quando i valori non erano ancora merce di scambio per la felicità, e ogni cosa aveva il giusto prezzo e il giusto peso.
I ladri erano ancora quelli usciti dalla guerra: poveri diavoli disonensti quel tanto che bastava per campare; e se Bordelli deve organizzare una cena da lui, non ha paura di dare soldi e chiavi di casa ad uno che ha arrestato tante volte ma che cucina da dio; e invita, oltre al medico legale e al suo Piras, un altro ladruncolo che ha pizzicato a fare un lavoretto a casa della sua Rosa, che intanto è andata al mare. E tutti lì, a gustare le leccornie etniche del Botta e a raccontarsi della propria vita, aneddoto dopo aneddoto, tutti uguali, ladri e commissari, geni incompresi e dottori in medicina. Perché a tavola non si parla di lavoro, ma ci si conosce.
È un mondo diverso, forse strano per la nostra mentalità moderna in cui un ladro deve avere almeno un master americano in economia e riuscire a far sparire qualche milione di euro alle cayman. Anche se oggi, lo dico con amarezza, la crisi sta facendo ritornare alla ribalta i ladri affamati, quelli che nei supermercati si mettono in tasca la busta del pane e la scatoletta del tonno, per riuscire a mettere insieme una cena che altrimenti sarebbe saltata.
Questo è Bordelli. Ma è anche il commissario che col suo fiuto (e in quest'indagine il fiuto è importante veramente!), la sua pazienza, il suo essere cinico quanto basta, smaschera il crimine e mette in gattabuia i colpevoli.
E così sono accontentati quelli che i gialli non li leggono perché sono sottocultura, ma possono trovano in Marco Vichi uno scrittore al di là di categorie appiccicate; e quelli che invece amano il poliziesco e ammirano un commissario vero, non artefatto, non confezionato per la pagina patinata da prima edizione di lusso, ma che non va oltre la copertina urlata.
Un piccolo aneddoto che dice come questo libro finisce per coinvolgere totalmente. Ad un certo punto della storia, compare la zia del commissario, che gli chiede di andare a trovare il figlio che pare scomparo da un po' di tempo. Bordelli promette di farlo il giorno seguente. Poi la storia continua, gli avvenimenti si accavallano e lui decide di andare a trovare l'indomani una persona coinvolta nell'indagine. Al che nella mia testa è scattata autonamicamente la domanda preoccupata: ma non doveva andare a trovare il cugino? Quasi che il personaggio avesse dimenticato un dovere importante! Ecco, questo è un libro fatto così!
Concludo col giudizio che di Vichi ha dato Carlo Lucarelli: C'è uno sceriffo in città. Il commissario Bordelli, con la sua sanguigna umanità tutta italiana e tutta toscana,  si inserisce oggi nella grande tradizione dei De Vincenzi e dei Duca Lamberti: poliziotti complessi e tormentati che raccontano un'Italia ingenua e cattiva che ancora non sapeva di essere così noir.

E ora il mio, di giudizio: il libro placet sicuramente. Voto: 8,5 (sono troppo di parte?)

TIM

7 commenti:

  1. Ti stupirà ma lo conosco pure io, chissà prima o poi lo leggerò Vichi sia perchè adoro Firenze per averci passato un anno della mia vita sia perchè anche io sono un nostalgico degli anni sessanta.

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    1. benissimo! allora ti piacerà sicuramente! ti mando qualcosa in proposito!

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  2. Non conosco il libro e nemmeno l'autore, ma questo commissario Bordelli, come lo hai descritto, mi fa un sacco di simpatia! :)

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    1. è veramente simpatico, non tanto perché è un tipo ironico o comico, ma perché è un personaggio vero.

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  3. Da come lo descrivi non sembra il solito giallo (genere che io non amo granché) ma un vero e proprio romanzo incentrato sul protagonista, tipo i libri di Manuel Vazquez Montalban con protagonista il detective Pepe Carvalho.
    Prendo nota.

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    1. Beh, alla fine è pur sempre un romanzo giallo, ma c'è molto di più, te lo assicuro. Non ho letto Montalban e non so neanche perché, forse perché la letteratura spagnola non mi piace più di tanto. Magari cerco qualcosa free in rete.

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