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L'oggetto del contendere era: i propri vecchi lavori, o comunque quelli che non ci piaccio (più), devono essere lasciati ancora in libera lettura o vanno estirpati e gettati nell'oblio, perché nessuno possa più vederli?
Riassumendo, Glauco diceva che quando un racconto non ti convince (o lo consideri un dinosauro) evita di spedirlo in giro. Meglio spedire i nostri lavori migliori... per lo meno a nostro gusto personale. A sua volta Alex commentava: se si è dubbiosi su un proprio racconto, meglio non spedirlo in giro ;) Consiglio di farsi rappresentare solo dai pezzi più nuovi, quelli scritti dopo aver fatto esperienza. Io stesso dovrei togliere dal download i miei vecchi lavori, cosacce quasi imbarazzanti. E infatti lo farò. E poi aggiungeva: lavori troppo vecchi potrebbero seminare dubbi tra i lettori che conoscono meno un determinato scrittore (nel senso che magari non lo seguono via blog etc etc). Per questo son convinto che dovrebbero restare disponibili al download solo i lavori più maturi, o comunque abbastanza vicini allo stile "definitivo" (se mai esiste) dell'autore in questione... . Infine concludeva: Non credo sia tanto un problema di forma (per quanto in passato ero, ovviamente, giovane e inesperto), quanto di tematiche. In alcuni miei vecchi racconti affronto temi e generi che ora mi interessano assai meno, come il thriller o l'horror "onirico". Ma in fondo son contento di essermene interessato a suo tempo. Stare al passo con le proprie passioni è comunque appagante.
A questo punto Gianluca osservava: se a tuo parere (di Alex) è più una questione di interesse alle tematiche che di stile/forma, allora, a mio modesto avviso, non è molto utile togliere il download. Se magari sono generi che tu non affronti più, a un potenziale lettore che arriva sul tuo sito potrebbero interessare comunque.Come sempre io dirò adesso la mia, ma non è un chiudere la discussione.
Secondo me dovremmo partire da un fatto: stiamo parlando di libri 'virtuali', che possono esserci o non esserci con un semplice clik. Ma se si fosse trattato di edizioni cartacee, questo tipo di discorsi non ci sarebbero neanche stati o sarebbero stati inutili. Immaginate Scerbanenco che agli inizi degli anni '60 va dai suoi vecchi editori e dice: statemi a sentire, finora ho scherzato, quindi ritiriamo dagli scaffali tutti quei romanzetti d'amore che ho scritto fino a ieri e lasciamo solo i polizieschi che darò ora in pasto al pubblico.
Noi possiamo dire: ritiro dalla lettura il mio XYZ perché non mi piace, è scritto come può fare uno scolaretto dell'elementare, o tratta di cose di cui ora non mi interessa più niente. Anche questa opinione è plausibile (nel senso di: a cui si può plaudire) ma solo perché possiamo andare a far sparire tutto con un colpo di mouse.
E visto che oggi, nel 2011, è possibile farlo ognuno è libero di menare colpi e fendenti su chiunque e qualunque cosa. Con questo abbiamo tagliato la testa al toro (per restare in argomento) e aperto forse uno spiraglio per un'altra discussione: come sono cambiate le possibilità per uno scrittore nell'era digitale. Ed è proprio il dibattito che gira forse di più in questi ultimi tempi nella rete.
Stabilito questo, facciamo un passo ulteriore e chiediamoci: possiamo (o dobbiamo) mettere in rete tutto quello che scriviamo? o se qualcosa ci sembra non proprio all'altezza dobbiamo attirarlo con uno stratagemma in bagno e dopo averlo catafottuto (come direbbe Camilleri) nel WC mettere in finzione lo sciacquone?
Ecco, poste le questioni, vado a pontificare.
1. Anzitutto ritengo che non tutto quello che scriviamo vada messo in libera lettura. Ma di questo penso siamo consapevoli tutti, ci rendiamo conto da soli quando qualcosa non merita forse neanche di stare nella cartella del descktop nominata: Racconti o I parti del mio pensiero o semplicemente: Ma chi me l'ha fatto fare. Questa potremo chiamarla, seguendo il buon Alex, una questione di forma (del testo).
2. Poniamo invece il caso di un lavoro che ha superato il nostro momento giudiziale ipercritico e ci guarda dal video chiedendoci: e 'mmo? che facciamo? hai intenzione di tenermi qui ancora per molto o posso avere l'onore di vestirmi di un bel PDF e andare a fare bella mostra di me in giro per il web? Penso che in questo caso, naturalmente, il lavoretto debba avere le sue chance. E qui torniamo a bomba: e se fra un lasso di tempo da qui all'eternità quel personaggio cominciasse a starmi poco simpatico e quella situazione a essermi proprio indigesta? E siamo alla questione di tematiche (affrontate nel testo). A questo punto penso che il lavoro debba restare agli atti. Quoto infatti Gianluca che dice che tutti hanno diritto a poter leggere un lavoro, anche per il semplice fatto di essere scritto.
Mettiamo altra carne al fuoco (acc., a saperlo che veniva così lungo e complesso questo post, ne facevo tre e li mettevo di seguito, così aumentavo anche il contatore. ma io sono buono... ). Mi viene anche in mente che noi possiamo scegliere. Mi spiego. Nessuno di noi, mi sembra, abbia un buon rapporto con gli editori, per motivi svariati, quindi nessuno ha il fucile puntato alla tempia del: mi devi consegnare 300 pagine entro due mesi, a che punto sei? e se scrive qualcosa è perché gli sembra una buona idea farlo per farla conoscere. Noi siamo liberi di pubblicare e non pubblicare, di sputtanarci o rimanere vergini sacrificali della letteratura.
E questa cosa mi sembra molto buona.
Allora, per ricapitolare il TIM-pensiero: io scrivo quello che parte come il romanzo che mi renderà un nuovo Dick; quando mi va ve lo metto sotto il naso, sia se che mi piaccia da morire, sia che non abbia trovato precisamente il bandolo della matassa ma d'altra parte oltre questo non riesco ad andare e non so che fare (anche perché qualcuno di voi mi potrebbe dare una dritta per rendere il tutto migliore); il lavoro resta lì, alla mercé di tutti i naviganti, che così potranno usufruire di qualche oretta di lettura, se vorranno andare oltre la prima pagina; oppure potranno avere un argomento di discussione con gli amici del tipo: ma hai letto l'ultima c***ta di TIM? e giù grasse risate.
Ecco, io ho finito. Dubito che molti di voi siano arrivati fin qui, ma se qualcuno ha avuto questo coraggio, vi chiedo un piccolo commento, del tipo: ok, non c'ho capito molto di quello che hai detto, però, a prescindere, penso che...
Buona domenica!
TIM
Proprio ora arriva la notizia della morte di Sidney Lumet: Serpico, Assassinio sull'Oriente Express, Il Verdetto, Quel pomeriggio di un giorno da cani... .
Beh, io anche faccio una certa selezione, ma senza esagerare perché mi è capitato che un certo racconto su cui contavo molto è risultato (evidentemente) illeggibile a tutti coloro ai quali l'ho propinato, almeno a giudicare dalle risposte evasive e quasi imbarazzate che ricevevo chiedendo un'opinione (avevano la classica faccia da "E adesso come faccio a dirgli che fa schifo senza urtare la sua sensibilità?"). Per contro, altri racconti che ritenevo scritti quasi per gioco sono piaciuti.
RispondiEliminaMorale: il lettore spesso sa giudicare il risultato finale meglio dell'autore.
Quoto due cose: la prima l' hai detta tu. Noi possiamo scegliere.
RispondiEliminaLa seconda l' ha detta Ariano: il lettore spesso sa giudicare il risultato finale meglio dell' autore.
Non credo di aver niente altro da aggiungere-
Io ho pubblicato poco sul web, se si escludono articoli su siti e blog, che mi rispecchiano quasi niente perché fatti su richiesta. La maggior parte delle nostre cose è finita sul cartaceo, ma in realtà non credo sia meglio. So (me lo ricordo) che prendere in mano un libro o una rivista con all'interno il frutto delle nostre sofferenze è affascinante ma, credetemi, è una sensazione che dura poco. Adesso come adesso, credo che mi prenderei il gusto e la libertà di scrivere solo per il web, esprimendomi col massimo della creatività senza gettare l'occhio alla possibilità di trovare per forza un editore. Tanti buoni lettori, capaci di argomentare il proprio giudizio, adesso come adesso li trovi solo in rete.
RispondiEliminaNadia
Sono essenzialmente d'accordo con te, Tim. Se un racconto "supera" la fase di cattiva forma/struttura/stile, allora secondo me può e deve essere messa in lettura pubblica, per il motivo sottolineato da Ariano: solo un lettore esterno può giudicare davvero un lavoro. E solo così l'autore può sapere dove migliorare!
RispondiEliminaPer quanto riguarda il discorso portato avanti da Alex, ovvero "sono racconti che trattano tematiche che ora non mi interessano più", secondo me il discorso resta valido. Un lettore esterno può essere comunque interessato a un racconto che è stato scritto tempo fa e a cui l'autore non è più particolarmente legato. Se ovviamente il racconto è buono il lettore ne rimane soddisfatto e può cercare altro dello stesso autore da leggere.
Ciao,
Gianluca
Boh... devo aver frainteso il tuo post precedente. Avevo capito che tu avevi spedito il racconto direttamente al tipo. Non che se l'è scaricato di sua iniziativa.
RispondiEliminaDifatti il mio commento era rivolto allo "spedire in giro" un proprio lavoro.
Sul mio sito compaiono racconti scritti nel 1997, e alcuni scritti anche prima (un paio vengono del 1991). Non credo si debba rinnegare il proprio passato, i racconti delle nostre origini riflettono la nostra evoluzione culturale e meritano il giusto rispetto.
Io mi riferivo allo spedire un manoscritto acerbo nelle mani di un eventuale critico/valutatore/editor. Se l'autore stesso pensa che il racconto necessiti di essere 'limato', tanto vale che lo faccia, lo sistemi, e solo quando è soddisfatto lo faccia andare nelle mani di chi deve giudicarlo.
In primis dobbiamo credere in noi stessi. Quando diamo in mano a un editore (o a un critico) un nostro lavoro dobbiamo essere convinti che esso sia perfetto così com'è. Poi se ci prendiamo una bastonata (virtuale) non ci sono problemi, fa parte del gioco, ma noi dobbiamo credere in ciò che abbiamo scritto.
Se, già nella lettera di presentazione, mostriamo dubbi sulla nostra opera, allora c'è qualcosa che non funziona.
Ricordi? Io sono quello che considera i propri lavori come figli, che ogni tanto li riprende in mano e, se necessario, li pettina, gli fa il bagnetto, gli cambia gli abiti... li cura con affetto.
Per cui... chiedo scusa se ho frainteso. Rimango dell'idea che tutto ciò che viene scritto debba essere disponibile ma... che all'esame bisogna portare il meglio di sé... sempre che si desideri superarlo!
@ Ariano: quoto sicuramente la frase che "il lettore sa giudicare meglio dello scrittore", o forse riesce a cogliere quello che lo scrittore voleva dire al di là delle parole del racconto stesso.
RispondiElimina@ Nick: vedo che la pensiamo nello stesso modo. (rispondo alla mail appena posso)
@ Nadia: sono contento che tu abbia preso a frequentare il mio garage. Quello che dici mi fa piacere perché vuol dire che oltre a noi quattro scribacchini, anche chi bazzica nel ramo dell'editoria 'con ritorno economico' per così dire si è accorto che oggi in Italia se si vuole scrivere esprimendosi liberamente (a meno che non sia un c/molosso) deve frequentare certi ambienti 'virtuali'. Anche perché solo lì potrà vedere le sue cose giudicate direttamente dalla gente, senza filtri di critici ed editorialisti pagati per stroncare o esaltare. (anche a te risponderò immantinente in privato).
(fine prima parte)
(seconda parte)
RispondiElimina@ Gianluca: anche a te non posso che ripetere quello che ho già detto nel post e mi fa piacere che la pensiamo allo stesso modo.
@ Glauco: non c'è nessun problema, tra di noi... . Anch'io non spedirei mai una cosa di cui non sono pienamente convinto in un ambito editoriale 'istituzionale'. Altra cosa è darla in pasto a voi, pubblico esigente ma sincero. Perché so che parlate non per partito preso ma per convinzione (anche se magari mettete i guanti di velluto prima di prendere a pugni il mio grugno... letterario). Mi piace il tuo distinguo tra quello che si scrive per piacere e quello che "si porta all'esame". Io, per mia scelta e per conoscenza dei miei scarsi mezzi, non ho mai mandato niente in giro, ma ho sempre chiesto ai lettori un giudizio spassionato, perché credo, e lo ripeto ancora una volta, che le critiche fanno crescere. Quando poi mi renderò conto che la scrittura non fa per me perché tutti me lo diranno, allora attaccherò la penna al chiodo. Ma, fino a quel momento, voglio provare e riprovare, non per vedere pubblicato qualcosa, ma per arrivare al giorno in cui qualcuno dirà: questo mi è piaciuto, sinceramente.
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