sabato 28 gennaio 2012

Racconto a puntate: Capello Liquido (I)

In attesa di riprendere le normali trasmissioni, ho pensato di venire incontro alla vostra astinenza forzata dalla lettura del mio blog proponendovi un terzo racconto a puntate. In verità si tratta di un testo che doveva essere inserito nella collana Gemini della Pyra Edizioni , ma tutti sappiamo, purtroppo, com'è andata a finire.
Naturalmente leggendolo dovete tenere conto che è stato scritto una decina di anni fa circa, come gli altri due che l'hanno preceduto. E' un racconto abbastanza lungo (circa 8mila parole) e strano nel suo genere, perché bisogna fare molta attenzione alle date dei vari capitoli (e il fatto di essere pubblicato a puntate forse non faciliterà la cosa, ma darà più pepe alla lettura); il buon Glauco, il curatore della Collana, l'aveva definito, se non erro, un racconto time traveling, che non so di preciso cosa significa, ma mi piace! Volete mettere poter dire davanti ad una squinzia che ti chiede: cosa hai fatto finora nella vita?: ho scritto un racconto time traveling!
Questa di oggi è solo l'introduzione al racconto, dove non si dice ancora nulla sulla trama e i personaggi, ma a quei tempi mettevo sempre un preambolo a quello che scrivevo, e spesso era più bello del racconto in sé (ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dirmelo).
Vi lasciò, perciò, all'introduzione di

CAPELLO LIQUIDO

OUVERTURE
Ci sono quelli che affermano che ciò che vado scrivendo è solo frutto di una mente molto contorta; altri invece dicono che sono storie troppo lugubri, crude, che vanno a finire male, con troppo sangue, ecc. ecc..
Forse hanno anche ragione.
Però io mi ricordo mia nonna che mi raccontava…
Mia nonna era la caratteristica nonna, quella che tutti sognano di avere, quella che si vede in tutti i film anni '50/'60 con storie sul Natale: paffuta, con i capelli bianchi, i modi sempre gentili e pazienti, quel suo modo di camminare simile ad una mamma oca che guida la sua nidiata verso l’acqua. La ricordo mentre impasta sul tavolo di marmo lo zucchero appena colato dalla pentola dove si era caramellato al punto giusto; e la rivedo mentre con colpi sapienti di coltello e spatola tira fuori tanti bei lingotti che, sapientemente miscelati con aromi alla frutta, al cioccolato e alla vaniglia, diventavano squisite merende per noi nipoti.
E quando non aveva tempo e voglia di mettersi ai fornelli, era la volta del portamonete da dove tirava fuori cinque lire per ciascuno di noi quattro: era esattamente la cifra per comprare un ghiacciolo (erano altri tempi!) alla latteria dietro casa. E se non era il ghiacciolo, d’inverno era una bella manciata di mentine e liquirizia che la negoziante prelevava direttamente dalle enormi bocce in vetro piene di caramelle e dolciumi che presidiavano il bancone.
Ricordo il Natale in cui ebbi in regalo da lei un aereo a batterie, telecomandato, con le ali che si aprivano e si chiudevano, le luci rosse che lampeggiavano e i motori che rombavano come se stessero per far decollare il modellino. Fu il più bel regalo di Natale che ancora ricordo, insieme al poliziotto motociclista, sempre a batterie, che alzava il braccio per intimare l’‘Alt’ con la paletta e rombava sotto il tavolo della cucina sulle sue ruote di gomma piena al suono della sirena. Anche questo, naturalmente, regalo della nonna, perché i nostri genitori, sapientemente, ci facevano solo doni ‘utili’: il maglione, le scarpe, mutande e magliette per tutto l’inverno. Erano altri tempi, l’ho già detto, e la carenza di moneta era sopperita dall’abbondanza di saggezza.
Ebbene, mia nonna mi raccontava quasi tutti i giorni una favola; e vi posso assicurare che, per esempio, quella di Cappuccetto Rosso pur variando spesso (una volta c’era un bosco di pini, un’altra erano querce, una volta la casina si trovava al centro del bosco, un’altra era in riva al laghetto…) aveva sempre alcuni elementi stabili.
Vediamo se ricordo bene la trama: una bambina indifesa, la tipica bimba di otto–dieci anni, innocente, con una concezione rosea della vita, che non ha ancora visto né ForumAmici, decide di andare a trovare la nonna che abita proprio al centro di un bosco (in questa versione). E così, col suo panierino appeso al braccio, attraversa la selva senza accorgersi di tutti i fruscii del bosco, quelli normali (che ci sono in ogni fiaba) e quelli un po’ strani (da film di Pupi Avati). Intanto un lupo decide di avere fame e, vivendo nel bosco, trova la casina della nonnina, entra e sbrana la progenitrice; immaginate le sue fauci che dilaniano le flaccide carni della vecchina, il sangue che cola dalla sua bocca, ecc. ecc.. Non sazio, ha una premonizione e capisce che sta arrivando la nipotina: carne fresca, non ancora contaminata dalle tossine delle arrabbiature della vita, begli ossicini da spolpare e sgranocchiare. Così si mette i vestiti della nonna e si corica nel suo letto. L’innocente bimba giunge e si accorge subito che qualcosa non va: è possibile che la nonnina sia così peggiorata di salute negli ultimi giorni da essere irriconoscibile con quei dentacci, tutto quel pelo nero, quelle unghie? La fanciullina, che è innocente ma non è scema, corre fuori e, poiché la storia sta per finire e non c’è molto tempo, incontra subito un cacciatore, il quale entra, punta immediatamente il fucile contro il lupo e lo colpisce in pieno petto, con un sol colpo, aprendoglielo letteralmente. Anche qui: sangue dappertutto nella stanza, schizzi anche sul vestitino della bambina (ma, essendo rosso, non si nota molto); evidentemente il buon uomo usa pallottole esplodenti, come gli sceriffi delle sperdute contee americane, con armi fuori ordinanza, emuli di Charles Bronson, vendicatori sempre a caccia di banditi e rapinatori. Non contento di questo, al culmine di una crisi parossistica di delirio di onnipotenza, decide di ridare la vita alla nonna della fanciulla (come mai tanto attaccamento a quella sconosciuta fanciullina indifesa?). Così estrae il suo coltello da caccia, venti centimetri e lama in acciaio seghettata, lo immerge nella pancia del lupo (o di quello che resta di lui) e fa un lungo taglio; caccia dentro la mano e tira fuori dallo stomaco dell’ormai defunto animale la nonnina, un po’ sporca di sangue ma viva e vegeta. Non accetto reclami dagli animalisti, ma la fiaba fa proprio così.
Beh, forse la mia nonnina non me la raccontava proprio così, ma vi assicuro che il senso della storia è questa, e questi sono gli elementi essenziali. (D’altronde date questa traccia a Stephen King e vedete cosa ne tira fuori: magari 640 pagine, a venti euro la copia, e ne venderà i soliti cinquecento milioni di libri.)
E vogliamo parlare delle favole di Hansel e Gretel? Di Biancaneve e i sette nani? Sarebbe troppo lungo e non è quello che ora mi interessa.
Per farla breve, la mia mente è cresciuta con le favole, dove qualcuno moriva sempre, e mai per cause naturali; e se per caso questo succedeva, era sempre una mamma che lasciava cinque poveri orfanelli. Erano storie che sapientemente aggiornate potrebbero dare a Dario Argento lo spunto per il seguito di Profondo Rosso.
E poi, ragazzi miei, io sogno le cose che scrivo, più facile di così: mi alzo al mattino, mi siedo davanti al mio computer e tac... è fatto.
Comunque, se le mie storie proprio non vi vanno, non le leggete.
La storia che vorrei raccontarvi oggi, per esempio, è composta da due normali cronache che potremmo leggere tranquillamente sul giornale o ascoltare in quei programmi televisivi del pomeriggio che riempiono le crepe della programmazione guardando dal buco della serratura dei vicini di casa, col pericolo che arrivino anche alla nostra. È mettendo insieme le due storie che nasce il patatrac, come quando metti insieme due composti chimici che da soli sono innocui, ma appena vengono in contatto esplodono. Solo un’avvertenza: attenzione alle date!

TIM

11 commenti:

  1. eccomi qua. l'incipit mi sembra molto ben costruito, la narrazione scorre bene.
    E poi che altro dire? Che la fottutissima nostalgia mi si è risvegliata? Io ho avuto una nonna così e quei giorni sicuramente più semplici a distanza di anni mi sembrano infinitamente più ricchi di adesso.
    Insomma la sensazione di esserci andati a perdere e non a guadagnare con la crescita permane sempre.

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    1. purtroppo sì! sarebbe semplicistico dire che le atmosfere del natale di quando eravamo bambini era tutta un'altra pasta, ma è così. Oggi passi le feste (quando ci sono!) a smanettare tra un canale a pagamento (chi ce l'ha) e l'altro, e i bambini continuano a passare da un gioco elettronico all'altro senza interruzione, col risultato che a fine giornata non giocano con nessuno. Una volta c'era solo 'quel' canale e ti guardavi 'quel' film di natale, magari lo stesso dell'anno prima, ma era una gioia!

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  2. Eeeh, se ti capisco! Anche a me "Cappuccetto Rosso" ha sempre fatto una fifa boia... ;-)

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    1. esiste un libro molto interessante, di E. Drewermann, che ho divorato molti anni fa, che fa una lettura psicanalitica di molte fiabe (e con lo stesso principio l'autore analizza i libri della bibbia) ed è uno spasso e una continua scoperta!

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  3. Come al solito io sono un privilegiato... ;-)

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  4. Eh, le persone fortunate si contano sulle dita di una mano!

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  5. A me piace molto questo preambolo! anche i miei erano tempi diversi e mi riconosco in molte cose che hai scritto. bello quando dici di dare la trama a sk e lui ne tira fuori un altro best seller!

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    1. non è nostalgia o buonismo o altro; è una realtà: oggi i bambini non sentono più le feste perché hanno sempre tutto per tutto l'anno!

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    2. è vero, riflettevo poco fa su una cosa stupida come i giocattoli... adesso ne hanno una marea, pensavo alle barbie... le bambine che conosco ne hanno non meno di 10 ciascuna, io ne ho avute due e la seconda me l'ero pure sudata!

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    3. i giocattoli non sono una cosa stupida (anche se ho capito quello che vuoi dire tu): sono il mondo in cui vivono i bambini e che si costruiscono giorno per giorno. Una volta i giocattoli aiutavano a sbizzarrire la fantasia: coi soldatini ti inventavi la guerra con buoni e cattivi, riempivi la stanza di soldatini, trasformavi la casa in un campo di battaglia; oggi c'è il nintendo e il PS3, ti stendi sul letto e schiacci un bottone. Io avevo la macchinina a pedali e facevo le corse con gli amici; oggi c'è l'automobilina elettrica e vince chi ha più soldi perché si può comprare quella più potente e con la batteria che dura di più!

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