mercoledì 15 maggio 2013

Diastema, di A.M. Scataglia

Sapete che quando trovo su una bancarella un libro di un autore italiano e per di più con un protagonista seriale, vado in estasi, e scatta l'acquisto automatico.
Cosa che è successa anche un paio di domeniche fa' con questo Diastema di Attilio M. Scataglini.
Subito la trama così ci cacciamo il pensiero e sapete anche voi di che si tratta:
Stefano Cuscev non ha tempo di macerarsi nel dolore per la morte di Silvia Angelici, suo grande amore perduto in gioventù. Appena trasferitosi dal quartiere Parioli al Tuscolano, qualcuno pensa bene di lasciare a due passi dal suo commissariato il cadavere di una donna bellissima. Casualità? Sfregio? O un messaggio per lui? Troppe saranno le domande alla quali Cuscev dovrà cercare di dare risposta. Fino a quella finale: ma come è possibile tutto questo? Secondo episodio della serie ambientata a Roma e che vede protagonista il commissario Cuscev.
Il libro mi ha dato una sensazione di alti e bassi, nel senso che c'erano pagine scritte veramente bene, altre un po' piatte. Anche per i dialoghi è stato lo stesso: fino a metà tutto è filato liscio, poi ci sono stati capitoli da dimenticare, con botte e risposte non all'altezza di un'autore con all'attivo già almeno 3-4 libri. Ma per questo forse una spiegazione l'ho trovata. E ve la dico dopo, tanto per creare un po' di suspense (sennò che giallo è?).
La storia si fa leggere, ha un suo perché e gli indizi sono sparsi un po' qua e un po' la' con intelligenza. Un commissario che si fa trasferire da un quartiere tranquillo, di quelli considerati bene, ad uno di frontiera, l'avevo già incontrato col commissario Ottavio Ponzetti di Giovanni Ricciardi (di cui spero di parlare a breve); ma non so chi dei due è venuto prima, perché gli anni di pubblicazione sono pressocché gli stessi.
I personaggi hanno, invece, un che di pesante, sembrano monolitici, senza slanci. E qui la colpa potrebbe essere anche del fatto che ci sono troppi dialoghi e tutto viene veicolato attraverso le parole. Com'era quel dogma che ogni buon scrittore difende a spada tratta? Show don't tell. Ecco quella roba lì.
Sempre parere personale, eh! E senza voler giudicare visto che questa non è una recensione, ma un'impressione di lettura. Ma questo voi lo sapete bene.
Dicevo che forse un colpevole a queste pecche c'è e penso di averlo scovato: l'editor! che in questo caso non so se è lo stesso che ha corretto anche le bozze. Dico ciò perché da metà libro in poi ci sono diversi strafalcioni del tipo: parole attaccate, imprecisioni linguistiche varie, fino ad arrivare a ben due tempi del verbo sbagliati! Allora mi sono detto che magari il lavoro non molto positivo fatto sulla correzione bozze possa essersi travasato anche nell'editing vero e proprio. Ma poi: chissà! magari non c'è stato nessun editor (ma per una casa editrice come Robin mi sembra strano). 
Il libro fa parte della collana I luoghi del delitto, della Robin Edizioni. Rispetto ad altri volumi della collana che ho letto con piacere, questo non sembra avere come particolarità un'ambietazione che richiama specificamente atmosfere capitoline. Insomma poteva andare bene anche fosse stato ambientato a Canicattì. Secondo me, infatti, non basta dire che l'assassino ha agito in via X per fare la differenza. Se si vuol incistare una storia in un luogo particolare, bisogna che di quel posto se ne senta l'odore, se ne accarezzino le albe e i tramonti, letterariamente parlando.
È chiaro che queste sono state le mie impressioni, ripeto fino alla nausea, anche perché non mi voglio ritrovare i commenti intasati di insulti e rabbuffi (vi piace la parola desueta?) vari.
Insomma il libro ha dei pregi e qualche difetto, che potrebbero equivalersi, quindi placet juxta modum.
Voto: 6. 
Ad maiora!

TIM 

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