venerdì 13 gennaio 2012

E poi?

Post sconclusionato.
Negli ultimi giorni abbiamo avuto di che leggere e riflettere, ad esempio, sul perché dedicarsi alla scrittura e poi sul perché lasciar perdere; sui problemi economico/politici/sociali e sulle correnti energetiche che trasportano il pensiero. E su tantissime altre cose che non cito solo perché lo spazio è poco e la vostra pazienza, sicuramente, ancora meno.
Ciò con cui voglio ammorbare l'etere e la rete è invece una domanda più generica e (forse) meno cogente: ma perché facciamo tutto questo?
Cioè: perché ci arrabbattiamo a fare quello che facciamo?
Attenzione, non si tratta di rispondere a: perché campiamo? sarebbe una domanda forse anche inutile, visto che alla fine, se non crepi di subito, ti ritrovi su un letto a fissare il soffitto e a dirti: e ora? Ma sai che è inevitabile, perciò, come dice la parola stessa, non ci puoi fare niente. E qualsiasi cosa ci sia o non ci sia saltato il fosso, è bella che fatta lo stesso.
Quando mi vien voglia di scrivere, di leggere, di cazzeggiare davanti al computer, parto come una scheggia, comincio e poi mi fermo e mi chiedo: ma che sto facendo? Sto scrivendo/leggendo un capolavoro! Bravo! e cosa resterà di tutto questo? Tanto domani mattina si ricomincia da capo e così fino alla fine dei miei giorni.
Scriverai/leggerai 10-100-1000 capolavori, ne discuterai su blog/FB/Twetter/... litigherai con critici e detrattori. E poi? A che serve?
E lo stesso si può dire per chi si alza alle sei del mattino per andare a lavoro e torna alla 6 di sera (se gli va bene) per guadagnare quel minimo che gli permetterà (un forse ormai è d'obbligo) di far arrivare sé e la propria famiglia alla fine del mese. 
Lavori, mangi, dormi; e poi ancora lavori, mangi dormi. Qualche volta scop... hai un rapporto sessuale con persone più o meno conosciute; durante l'anno riesci anche a fare qualche giorno di vacanza (in Australia o a Fregene o Pietra Ligure, dipende da quanto guadagni). Se sei fortunato e trovi una persona con cui vale la pena passare l'esistenza, la sera esci a fare una passeggiata o stai sul divano a guardare qualche cosa il meno demente possibile davanti alla TV.
Vedo passare dalla vetrina del mio negozio centinaia di automobili al giorno che strombazzano perché c'è il deficiente in seconda fila che intasa il regolare svolgimento del traffico, e vedo visi tesi, puntati verso il nulla oltre il parabrezza. O gente col sorriso sulle labbra che entra da me e compra qualcosa per fare un regalino al figlio che lo aspetta a casa. 
E io continuo a chiedermi sempre e lo stesso: e poi?
Fare felice un bambino può essere sicuramente un motivo per essere felici, anch'io faccio delle piccole sorprese al mio nipotino più piccolo, e ne sono contento; anzi non vedo l'ora di dargli la sorpresa, anche se so che dopo due minuti è soppiantata da un cartone in TV o da qualche altra cosa.
Sarà che devo avere qualche malattia strana.
O forse ha ragione il medico col panciotto e il sigaro di  Radio Days : la vita è breve e bisogna godersela!
TIM

27 commenti:

  1. Sono le classiche domande esistenziali per le quali non esiste risposta. O meglio: c'è chi pensa di averla, in teoria anch'io visto che mi dichiaro cristiano (ma ammetto di essere un pessimo cristiano, e ovviamente ogni tanto cedo ai famigerati dubbi del "ma tutto questo ha un senso?")
    Insomma, per fare un po' il figo concludo con una citazione zen: si racconta di un medico militare che curava i soldati feriti, e appena questi erano in grado di combattere nuovamente andavano subito in battaglia... e restavano nuovamente feriti, oppure morivano. E il medico si chiedeva: "Che senso ha che io li curi per poi mandarli nuovamente in battaglia a morire o ferirsi di nuovo? Perché devo farlo?"
    La risposta fornitagli da un monaco zen fu: "Perché tu sei un medico!"
    Ecco, ognuno deve fare quel che deve fare, senza chiedersi il perché.

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  2. @ Ariano: scusa, ma mi sembra una risposta debole. E' come dire: perché sto scrivendo questa risposta? così, tanto per fare. Mi rendo conto che la mia è una domanda, come dici tu, senza risposta, e infatti ho premesso: post sconclusionato. Perciò serviva più che altro a vedere se la mia inquietudine è anche di tutti gli altri o è un cancro che divora solo me, un po' come quello di cui parla Pavese nel "Mestiere di vivere" o Sartre ne "La nausea", libri che ho letto e riletto. Grazie comunque della risposta.

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  3. Posso fare una breve disquisizione?
    penso che la fonte delle domande non sia quello da ricercare, ma piuttosto il motivo per cui ce le poniamo (perché anch'io lo faccio...).
    Non deriva forse da un sentirsi fuori posto? Da una sensazione, seppur vaga, di star sprecando tempo mentre saremmo più utili altrove? Forse è solo un viaggio mentale privo di logica, però mi rendo conto che a volte mi sembra più reale della tastiera che sto usando adesso.
    Si tratta di trovare il proprio punto, sapere che quello che facciamo in vita ha uno scopo e perdurerà nel tempo, magari servendo ad altri per capire cosa fare delle loro esistenze. Sì, lo so, forse è presuntuoso dire così, ma credo fermamente che l'essere umano, come entità biologica, non sia stata creata per vivere come ha fatto fin'ora. Sento che c'è molto di più, il problema è capire come arrivare a scoprirlo.

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  4. @ Narratore: grazie anche a te. Ovviamente ho anch'io i momenti in cui gioisco per quello che ho, che sono e per quel poco che faccio. Non mi pongo quasi mai, invece, la domanda sull'essere utile ad altro e ad altri. E non penso che sia presuntuoso pensare che quel che facciamo possa servire ad un generico "prossimo". Questo però è già parte di una risposta che include il rifarsi a pensieri più universali, a motivazioni di condivisione 'etica'. Significa inserire l'essere umano in un contesto che lo sovrasta e spesso sorpassa. Senza nulla togliere alla validità della tua risposta.

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  5. Mah, guarda... tutto ciò che scrivi si può riassumere in una domanda basilare: qual'è lo scopo della vita?
    Perché (in fondo), ogni gesto che compiamo ogni giorno, che sia bello, brutto, forzato, volontario, casuale, etc etc... ogni cosa facciamo è riconducibile al "vivere la quotidianità".

    Il problema nasce dal fatto che "ci facciamo troppe domande". Lo scimpanzé che si gratta in cima a un ramo tutti i santi giorni non si pone questa domanda, neppure il leone che sbadiglia sotto l'alberozzo osservando la propria femmina che da la caccia a un'antilope, o la formica che porta una briciola nel formicaio. Loro non se la pongono questa domanda. Loro vivono il momento, punto!
    Noi, invece, siamo sempre pronti a interrogarci sui massimi sistemi. Questo è il motore che ci ha spinto a scoprire i primi utensili, il fuoco, la ruota, l'iPad... e che ci fa uscire matti ogni giorno, ma che però ci spinge a cercare sempre qualcosa di nuovo, di più... "più tutto", che fa evolvere la nostra coscienza e che ci impone tanti di quei problemi, e/o pare mentali, che condizionano la nostra stessa vita, e il modo di viverla.
    Tutto, comunque, si riconduce alla domanda fondamentale: Che scopo ha la "nostra" vita?

    La vita, biologicamente parlando, ha un solo scopo: sopravvivere. E' banale. Gli istinti ce lo dicono da millenni. Mangiare, adattarsi all'ambiente (o adattare l'ambiente alle nostre necessità), fare figli... mandare avanti la specie. Il resto sembra superfluo, ma fa parte di un meccanismo talmente grande da non essere visibile nella sua completezza... ogni nostro piccolo gesto è utile alla salvezza della nostra specie (più o meno). Ecco perché agiamo così.
    Tempo fa lessi che il nostro cervello ha un sistema "automatico" che permette di affievolire il ricordo di esperienze traumatiche. Ciò permette all'essere umano di non togliersi la vita in condizioni estreme... e di sopportare, nella speranza che andando avanti le cose migliorino.
    Però continuiamo a porci delle domande... ci facciamo troppe domande... me lo diceva anche una mia ex ragazza: Glauco, tu ti fai troppe domande! ^^

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  6. Bo'. Non è che sei uno di quelli che sotto le feste si deprime? Cioè questi sono ragionamenti che io associo al cattivo umore e alla stanchezza.

    Io personalmente mi sento più contento quando ho realizzato qualcosa a livello "interpersonale". Cioè se faccio contenti i nipotini (questo lo abbiamo in comune), o se mi trovo a mio agio in ambienti con altre persone come in reparto o anche semplicemente per una partita a calcetto.

    Credo molto che la felicità nasca dalla "sensazione" di realizzare qualcosa più che su quello che si realizza veramente. Il tizio che si alza alle 6 e lavora tutto il giorno magari è più felice di me perché così facendo vede crescere i suoi figli e dà qualcosa alla sua famiglia, io credo che sia così.

    Credo al contrario che scrivere, l'intrattenimento in generale (i romanzi, la TV, il cinema ecc) anche molto di quello che facciamo su Internet ci portino più a essere depressi che a qualsiasi altra cosa. Cioè, ti sei chiesto se le cose che fai ti rendono davvero felice, e se ti danno davvero quello che ti aspettavi?

    Io a suo tempo l'ho fatto, e ho capito che molte cose che credevo mi piacessero in realtà mi stavano rovinando la vita... e magari quella sensazione di dirsi "sì ma a che serviva" sei solo tu che, più nel profondo, ti stai ribellando.

    Simone

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  7. Lo facciamo perché, vivaddio, non siamo tutti uguali.
    Nulla contro chi si accontenta della serata in disco e di piazzarsi davanti alla TV, di fare un lavoro ripetitivo senza mai porsi delle domande.
    Io sono diverso. Non dico meglio o peggio, ma espormi in prima persona, raccontare al posto che "ascoltare" e basta, è una forma di appagamento che compensa tutto il resto.
    A volte mi chiedo se farei le stesse cose se avessi il tenore di vita più elevato, tale da potermi permettere un'esistenza mondana e girovaga.
    Rispondere che non cambierebbe nulla è troppo semplice e un po' ipocrita.
    Diciamo che vivo il mio presente senza pormi troppi "what if". E il mio presente è questo. Guarda un po', non mi fa nemmeno tanto schifo...

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  8. Questa domanda esistenziale è frutto di UN punto di vista... già uno, uno quando invece siamo tre..mente, corpo e anima.
    Se in qualche momento la mente sembra non saper soddisfare le sue curiosità bastando a se stessa, credo invece che corpo e anima avrebbero delle ottime risposte per rispondere alle sue domande.

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  9. @ Silvia: anzitutto benvenuta. Anche sulla questione che poni tu io non ho le idee molto chiare. Ritengo infatti che noi siamo un'unità e che sì, esistono in noi diverse realtà, ma finché siamo in questo corpo, esistiamo come UNO. Se vogliamo usare i tuoi termini (mente, corpo, anima) essi non possono che viaggiare insieme, che rappresentare questa unità che sono io, che sei tu, ecc. E anche se una delle tre parti ha una risposta diversa, questa deve sempre essere mediata dalle altre due. E' complicato ma meglio di così non riesco a spiegarmi.

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    1. Siamo d'accordo sul fatto che tre danno un unità, ma come dire nella nostra unità possiamo variare le percentuali di composizione. Ci sono situazioni in cui non siamo mentali, istintivi e 'spirituali' nella stessa misura.
      Prendiamo in un determinato momento me o te che non riusciamo a trovare una risposta sul perchè si vive, un monaco buddista in meditazione ed un aborigeno australiano alle prese con la sopravvivenza; in quel determinato momento ognuno di noi e sbilanciato su di un polo di sè diverso, in quelle situazioni gli altri due non sono assenti, ma sottovalutati, ipotizzo quindi (nel rispetto della nostra unità) che raggiungendo un idilliaco equilibrio l'uomo possa arrivare alla Conoscenza e trovere la risposta alle sue domande.

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    2. @ Silvia: messa così la cosa mi convince di più, o molto probabilmente non avevo capito bene io la tua prima risposta. Questo allora ci pone un quesito: dobbiamo sviluppare quella parte di noi che è maggiormente esposta all'ambiente esterno (io, il monaco, l'aborigeno) o è l'ambiente esterno che condiziona la parte di noi che primeggia sulle altre? Non voglio portare il discorso troppo in là, ma sarebbe interessante se parlassimo della possibilità che ognuno di noi ha di crescere interiormente in base al luogo di nascita o di residenza. Questo piccolo post sta portando discussioni interessanti!

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  10. Ciao, per rispondere al tuo quesito non posso che pensare alle mie sensazioni e alla mia esperienza, altrimenti non saprei come fare.
    Forse questa sensazione di disagio, questo chiedersi perché si fa quel che si fa ritenendolo vano, deriva dal fatto che una parte profonda di noi non si ritiene ascoltata e appagata. E' quella parte che forse è stufa di sottostare ai capricci di una Ragione che crede di sapere tutto ma che ci fa correre nella proverbiale ruota per criceti più del dovuto. Forse conviene più chiedersi "cosa mi rende felice?", "cosa fa cessare questa sensazione di disagio?". E non per cercare un sollievo momentaneo. In genere mettere a frutto i propri talenti è sempre un buon modo per appagare quella parte inconscia e animica cui si da poco ascolto. Talvolta non è facile ne' scoprirli ne' coltivarli, questi talenti, ma ciò può rendere felici. Possono anche essere cose piccole per il mondo ma grandi per noi. Anche ricercare uno scopo più alto, tendere a qualcosa di più grande di noi può renderci più felici.
    La ricerca della felicità a mio avviso è sacrosanta ma non lo dico in senso religioso. Si tratta della nostra natura di esseri umani. Che si creda o meno in qualcosa, siamo fatti così: siamo fatti per volere di più, per cercare scopi più grandi di noi e per non accontentarci di fare i criceti che corrono nella ruota.
    La spiacevole sensazione è forse solo ciò che ci avverte che forse dobbiamo aggiustare il tiro.
    Buona cerca! ;-)

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  11. Scusa Temistocle, temo di non aver capito la tua replica :-)

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  12. @ Mitvisier: voglio dire che penso tu ti sia avvicinata molto alla realtà, specie in due punti:
    1. quando dici che una parte di noi non sente ascoltata e appagata.
    2. quando concludi che bisogna aggiustare il tiro.
    Ma questo non è il luogo per approfondire la questione. Magari ci sentiamo in pvt.

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  13. Ah, ok :-) NO problem. Ciao.

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  14. Caro TIM/Demetrio...
    Quante risposte articolate al tuo quesito! Stasera non ho tempo di leggerle tutte, ma tornerò di certo.
    Posso dire la mia? Sì, vabbè, diciamo che posso.
    Non so se c'è un perché. Anzi, visto che l'universo è governato dal caos e, ogni tanto, gli vien voglia di fare l'equilibrista e generare piccoli sistemi solari con terre e oggettini pseudo-senzienti, credo che, in fondo in fondo, la vita un senso non ce l'abbia proprio.
    Ma sai che c'è? Leggere mi piace. Scrivere mi piace. Ascoltare la musica, viaggiare, lavorare, giocare col cane, passare l'esistenza con un'altra persona. Tanto basta, no?
    Il senso della vita? Quando/Se ci arrivo, ci penso!
    E nel frattempo che scrivo a te, il mio cane rosicchia un osso di bistecca... lui non se lo chiede il perché dell'osso... ma intanto è felice!

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  15. @ Ludovica: anch'io stasera sono fuori tempo massimo, per cui risponderò lunedì. Intanto ti saluto e ti ringrazio per essere passata.

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  16. @ Tim : attenzione, quando dico "ognuno deve fare quel che deve fare" non intendo dire che sia fanno le cose "così tanto per farle". Seppure ti poni degli interrogativi e ti chiedi "perché facciamo tutte queste cose?" non puoi ignorare che tu (noi) fai (facciamo) delle cose ben specifiche. Scrivi e tieni e un blog. Perché, ad esempio, non vai a pesca? O non collezioni francobolli? Evidentemente non ti attirano minimanente. Scrivere e tenere un blog invece sì. Ognuno ha un suo ruolo. Se ti piace scrivere, il tuo ruolo è scrivere. A pescare e a collezionare francobolli ci penserà qualcun altro.
    Non so se riesco a rendere l'idea: alla fine facciamo quel che vogliamo fare, quello che ci sentiamo dentro, evidentemente è quello il nostro scopo. É quello il senso della risposta del monaco zen. Quando dice al medico che la risposta al suo perché è "Perché tu sei un medico" implica proprio questo: per quale ragione sei diventato medico? Se ti hanno forzato è un conto, allora devi ancora cercare la tua strada. Ma se tu hai voluto diventare medico, se quello è il ruolo che ti sei prescelto, allora perché ti chiedi qual è il senso di curare i soldati feriti pur sapendo che dopo rivanno a combattere? Quello non ti riguarda, tu sei un medico e devi fare il medico, se davvero desideri esserlo.
    P.S.: ovviamente l'argomento che hai sollevato è talmente profondo che non esiste una risposta univoca e definitiva.

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  17. @ Ariano: probabilmente avevo inteso male io. Quel tuo: ognuno deve fare quel che deve fare, probabilmente va inteso (come dici qui): deve fare quel 'vuole' fare. Messo così lascia libero spazio alla scelta personale. E sono c'accordo con te che l'interrogativo è troppo grande per avere una risposta univoca. Ma forse a volte è bello interrogarsi anche sui grandi sistemi oltre che sulla copertina di un libro o sulla partitura di un cd (con tutto il rispetto per libri e musica).

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  18. @ Ludovica: ognuno è liberissimo di avere le proprie convinzioni e quindi in questo blog può dire quello che vuole. L'unica cosa richiesta è il rispetto per le idee altrui. Quando avrai notizie dal tuo sistema solare sul senso della vita laggiù, sarò felice di stare a sentire!

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  19. Trovo la risposta di Ariano Geta bellissima. Ma a volte la difficoltà maggiore si annida proprio nelle cose apparentemente più semplici, quelle che richiedono l'ascolto della nostra parte più profonda. La nostra mente animale congiura affinché ci dimentichiamo di noi, è ripetitiva. Ha ed ha avuto la sua utilità (senza ripetere e memorizzare non impareremmo nulla) ma a volte soffoca il nostro vero sentire, quello che ci piace fare, il desiderio di appagamento di un talento o di una vocazione.
    A volte è persino difficile accorgersi che quello che abbiamo sempre voluto ce l'abbiamo già...

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  20. @ Mitvisier: penso che da un semplice mio sfogo stia venendo fuori un bella discussione. E soprattutto stanno venendo fuori atteggiamenti diversi in base alle diverse sensibilità. Vorrei poter fare un post riassuntivo o comunque che parta da queste valutazioni. Se riesco a fare una sintesi plausibile, spero di farlo.

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  21. Quest'ultima risposta di Mitvisor mi piace molto,la trovo simile al concetto che volevo esprimere io... l'eccessiva mentalizzazione (unica parte dell'uomo incoraggiata nelle società così dette industrializzate) [quote] 'soffoca il nostro vero sentire'

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  22. @ Silvia: mi sembra che la stessa crisi economica in atto stia facendo rivalutare concetti e ideali che sembravano perduti o relegati al pensiero di pochi 'sognatori', come sono etichettati.

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  23. Che strano... ero convinta di avere già lasciato un commento su questo post. Boh. La vecchiaia...!!
    Comunque, queste sono le mie riflessioni "preferite", per questo pensavo di aver scritto già qualcosa... ma adesso non ho tanta voglia di immergermi in queste riflessioni ché non sono tanto dell'umore. :(

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  24. @ Fra: non c'è problema. sono argomenti forse troppo elucubrativi da digerire e, come dici tu, bisogna anche essere in quadro per rifletterci.

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