lunedì 30 gennaio 2012

Racconto a puntate: Capello Liquido (II)

Seconda puntata del mio Capello Liquido!
Altri e più esimi colleghi ci stanno dando in questi giorni con racconti a puntate, mini ebook e chi più ne ha più ne metta. Perciò, pur non azzardando a mettermi sul loro livello, penso  che più carne c'è al fuoco e meglio è per tutti.
Ma prima devo chiedere scusa all'amico Ariano, perché la scorsa volta non ho reso merito al suo lavoro sul racconto. Come sempre, infatti, c'è il suo zampino di editor in quello che state leggendo, poiché Capello Liquido, come vi avevo detto, era stato scelto per partecipare alla  Collana Gemini, e quindi era prima passato dalle sue mani.
Dato ad Ariano quel che è di Ariano, ecco a voi la seconda puntata delle avventure di... eh già, ancora non si sa niente della storia, visto che la scorsa volta era solo un'overture. Perciò non metto tempo in mezzo e pubblico.
Sento già che Isaac Asimov sta tremando (o si sta rivoltando nella tomba? dal rumore non si capisce... ), perciò buona lettura!



23.03.2001 (al mattino)
Era proprio in ritardo.
Per Mario essere in ritardo era uno dei peccati più gravi, non verso gli altri, ma verso se stesso.
Già si vedeva entrare in banca, guardare desolato le panche d’attesa già piene, con persone anche in piedi e solo due impiegati agli sportelli. La mattinata era praticamente andata.
Probabilmente non era così, ma tutto il percorso da casa alla banca (fatto rigorosamente a piedi, perché trovare un parcheggio nelle vicinanze era come vincere un terno al lotto) l’aveva trascorso ad immaginare questi scenari allucinanti. D’altra parte erano già (guardò il suo Seiko con la ghiera blu e i giorni del datario che venivano fuori da una corona all’interno dell’orologio)... le 8.35, le porte erano state aperte da dieci minuti e sicuramente oggi c’era qualche pagamento particolare per cui mezza città si sarebbe riversata in banca.
Entrando attraverso le porte scorrevoli della cabina d’ingresso cercò di non guardare verso l’interno, ma un’occhiata dovette darla per forza: non male alla fin fine, e calcolò un quarto d’ora di coda. Dalla distributrice posta a sinistra prese il suo numerino: 64, tempo d’attesa: 10 minuti circa. Guardò istintivamente il display in fondo alla sala, quello che indicava quale numero si stava servendo in quel momento, e la sua ansia ebbe un attimo di sosta: 57. La previsione della macchinetta eliminacode doveva essere quasi esatta.
Sedette e riprese, purtroppo, a far funzionare il cervello: speriamo che non ci sia un operatore–lumaca, o la solita cinquantenne che scambia lo sportello della banca per la sedia della manicure e sente il bisogno di riassumere l’ultimo mese di vita condominiale; a partire dalla colecisti del maggiore Buffalino, fino alla bocciatura in diritto civile della figlia della separata del primo piano; ma si sa che questi ragazzi che rientrano tutte le notti alle due, le tre, senza sapere chi frequentano… e quella povera madre che fa i salti mortali per farla studiare perché l’ex marito non vuole sganciare una lira per l’università…
Intanto nell’aria si era sparso nuovamente il dlong dal display e il numero era diventato 60. Mario guardò per l’ennesima volta il suo tagliandino, quasi nella speranza che qualche gnomo gliel’avesse cambiato mentre lui era distratto e che ora fosse diventato, che so, 62. Era sempre 64, però ormai c’eravamo quasi e c’era sempre la possibilità che il 61 o il 62 avessero rinunciato decidendo di ripassare più tardi.
Dlong: 61. Dlong: 62.
In quel momento entrò la guardia giurata che era fuori a sorveglianza dell’ingresso. Evidentemente, pensò Mario osservando attentamente l’espressione sofferente dell’uomo, aveva urgente bisogno di un bagno.
Dlong: 63 (sportello 5).
Vide il signore dello sportello 3 (il 62) salutare il cassiere e capì che stava per suonare nuovamente il campanello, questa volta per chiamare lui. Estrasse dalla borsa i suoi documenti, si alzò e si avviò verso la cassa.
Colse il gesto della mano del cassiere che premeva il pulsante per chiamare il prossimo cliente. Ma stranamente il suono che si udì non fu quello dal display, ma una serie di colpi secchi, a raffica, provenienti dalla porta d’ingresso. Mario si girò di scatto verso quel punto, insieme a tutti i clienti e il personale della banca, e tra le urla di tutti i presenti vide due uomini incappucciati armati di mitra che sparavano contro il soffitto. Finita la scarica, uno dei due rimase vicino alla porta puntando l’arma che aveva in mano verso la sala, mentre l’altro si era avvicinato allo sportello più vicino.
«Fate tutti silenzio. Se nessuno si muove e ci date i soldi, facciamo in fretta e ce ne andiamo subito» urlò da sotto il passamontagna quello che era rimasto a guardia dei presenti, che ubbidirono per quel che potevano: si fece un silenzio assoluto.
L’altro si fermò davanti alla cassa 1, la più vicina.
«Dai sbrigati, non hai sentito il mio amico, caccia fuori le mazzette, i tuoi e quelli dei tuoi colleghi, e mettili in questo sacco» e glielo porse, «e niente scherzi, il mio amico è un tipo con poca pazienza. Vero socio?» – disse rivolto all’altro.
Il quale per tutta risposta esplose un’altra scarica verso il muro di fronte, facendo saltare tutti i manifesti, l’orologio e il display.
Il cassiere era rimasto immobile, incapace di fare qualsiasi cosa.
«Che c’è, vuoi fare il furbo? Non hai capito che facciamo sul serio» gli gridò il rapinatore dall’altra parte del vetro. Poi si girò verso il compare: «Fai vedere al signore cosa succede se non si sbriga.»
L’altro prese per il braccio il cliente più vicino, proprio di fianco a Mario, lo tirò verso la porta, gli ordinò di mettersi per terra, quindi gli puntò il mitra alla testa ed esplose un solo colpo. Chi dei presenti aveva avuto il fegato di guardare, vide la testa dell’uomo esplodere e il resto del corpo ricadere giù, senza un solo lamento.
Mario aveva avuto il tempo di voltarsi dall’altra parte e non vide gli schizzi di sangue arrivare sino ai vetri degli sportelli vicini, ma udì solo l’urlo isterico di una donna nel silenzio generale.
Il cassiere continuava a rimanere immobile. Il suo collega più vicino capì che l’altro non avrebbe mai avuto la forza di fare un gesto, perciò gli si avvicinò, lo strattonò per cacciarlo dallo sportello, e prese il sacco dalle mani del rapinatore. Svuotò il cassetto col denaro, poi passò dagli altri sportelli e prese a fare lo stesso.
Fu in quell’istante che la guardia giurata rientrò in sala sbucando dal corridoio che si apriva a destra del rapinatore rimasto sulla porta. Come si dice sempre nei libri gialli, fu questione di pochi istanti: la guardia estrasse la pistola e quasi contemporaneamente il bandito si girò verso di lui, attirato dal rumore della corsa in avvicinamento dell’altro. Questa volta però, diversamente dai libri gialli e dalla realtà, fu la guardia ad essere più veloce e colpì l’uomo incappucciato prima alla spalla destra e poi ad una gamba. Pur se colpito al braccio con cui teneva la pistola, il rapinatore esplose alcuni colpi verso il sorvegliante, ma mancò il bersaglio di molto. L’arma gli cadde di mano, gli urtò contro la gamba e volò distante da lui.
Intanto l’altro rapinatore aveva già afferrato la situazione di pericolo, aveva strappato dalle mani del cassiere il sacco con i denari e stava scappando verso la porta.
La guardia sparò anche a lui, ma questa volta fu colpita da una raffica ad altezza gambe e cadde all’indietro in una pozza di sangue.
Da terra il compare ferito vide il socio scappare e capì che per lui era finita.
«Enzo, sono qua, aiutami, non ce la faccio ad alzarmi!» gridò verso l’amico che stava già sparando contro il vetro della porta girevole per aprirsi una via di fuga.
L’uomo che era stato chiamato Enzo doveva avere molta esperienza di situazioni critiche, perché si girò un attimo verso di lui e capì che c’era poco da fare per aiutarlo, e che anzi fermarsi a soccorrerlo significava rischiare di essere preso. Capì anche che se l’altro l’aveva chiamato per nome in quel momento, non doveva essere tanto svelto da capire che era meglio non dire altro una volta catturato. Perciò era meglio se ci pensava lui a evitare che parlasse. Puntò la canna del mitra contro l’uomo a terra ed esplose una raffica.
Mario vide per la seconda volta in vita sua (e nella stessa mattinata) un essere umano morire ammazzato.

(Qui la prima puntata.)


TIM

8 commenti:

  1. Per carità, non c'era bisogno di citarmi, il racconto era già scritto e io ho solo proposto un paio di virgole in più e un punto e virgola in meno.

    RispondiElimina
  2. Atz... mi son perso la prima puntata. Eh..eh.. ma tanto io l'avevo già letto in anteprima :D

    Complimenti per il racconto

    RispondiElimina
    Risposte
    1. un complimento da te vale sempre doppio: da un amico e da uno scrittore!

      Elimina
  3. bello! è piaciuto molto anche a me! :-)

    RispondiElimina

fatti sentire

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...