sabato 7 gennaio 2012

Racconto a puntate: Ridi, ridi... (II parte)

Seconda parte del raccontino... odontoiatrico. 

Ridi, ridi che mamma ha fatto gli gnocchi
C’era invece l’altra infermiera, un puffo corvino e con gli occhietti vispi di chi raggiunge sempre uno scopo: il suo. Con lei iniziò a conversare sottovoce. Questo segno di complicità pettegoliera mi fece totalmente un oggetto qualsiasi nel laboratorio, come la sputacchiera, la vetrinetta o… il trapano.
Erano un paio di minuti che non sentivo più rumori provenire dal banco che si trovava praticamente sospeso sul mio stomaco. Questo mi permetteva di afferrare qualche parola della conversazione tra le infermiere. Riuscii a percepire qualche verbo (andata, fatta, sposata) e un nome, Matilda, ripetuto più volte.
A quel punto la mia mente partì al galoppo. Anch’io avevo conosciuto qualcuno che aveva quel nome, ma non riuscivo a focalizzarne il viso né a ricostruire il tempo e il luogo.
Presi a fissare un punto qualsiasi tra la punta delle mie scarpe, a mezz’altezza sul muro sotto la finestra.
A poco a poco si materializzò una lunga treccia rossa e una parola si fece strada: gnocchi. Per il resto niente. Cercai di combinare le due cose, poi di separarle; ancora niente. Continuai per un po’ (ormai il ronzio e la lucina verde erano ripresi ma erano diventati quasi un sottofondo e acquistavano il segno della normalità) quindi riaffiorò alla mia mente un’altra immagine, quella di una bicicletta da bambino in un giardino. Poi i giardini diventarono due, separati da una inferriata. Poi all’improvviso:
“Ridi, ridi, che mamma ha fatto i gnocchi” qualcuno urlò nella mia mente con accento chiaramente romanesco, e fu tutto chiaro.
Molti (moltissimi, a dire il vero) anni prima, io ero un bambinetto di otto – nove anni e passavo molto tempo a casa dei nonni che vivevano in un paese vicino al nostro. I vicini di casa avevano un figlio sposato a Roma che tutte le estati tornava per le ferie.
E la bambina era sua figlia. La bicicletta su cui scorazzava in giardino era il regalo dei nonni per quell’estate e il fatto che a me ancora nessuno avesse fatto un dono del genere mi faceva rodere di rabbia e invidia verso la proprietaria della rossa treccia, che si chiamava proprio Matilda.
Avevo detto a lei che la mia bicicletta (naturalmente più grande e più bella della sua) l’avevo lasciata a casa e …
“Mi scusi, io mi assento un attimo.”
Abbandonai il giardino dei nonni, che adesso si trovava in punto qualsiasi tra la punta delle mie scarpe, e mi voltai verso il luogo da dove proveniva la voce, cioè la porta di mezzo su cui stavano cinguettando a bassa voce le infermiere.
“Sì certo, vada pure” risposi, anche se avrei voluto e dovuto chiederle: e i cinque minuti della dottoressa? Ma rinunciai, perché sapevo che era una partita persa in partenza. Meglio tornare al punto qualsiasi da cui vedevo il giardino.
Sì, Matilda. Ci beccavamo in continuazione, specie io che avevo preso (come ogni bambino della mia età che si scontri per la prima volta con una treccia rossa di quel genere) una cotta per lei; lei che era la più bella bambina del mondo, che da grande sarebbe diventata sicuramente un’attrice, una di quelle che si vedevano in TV, quelle che nei film tutti vogliono baciare e salvare dal cattivo di turno. Però lei aveva la bici e io no. E allora l’invidia e la cotta facevano sì che io stessi sempre lì in attesa di coglierla in fallo.
Così successe che Matilda (non ho mai saputo se col ‘th’) cadde dalla bicicletta mentre compiva le sue strane acrobazie dall’altra parte della cancellata, senza minimamente immaginare quello che passava nella mia testa e nel mio cuore di innocente pargolo di otto nove anni.
Ignaro di come vanno le cose della vita, specie nei confronti delle donne, presi a ridere, con un senso di liberazione - ecco, io sono più bravo di te, che non sai neanche andare in bicicletta – e lei invece a piangere, toccandosi il braccio e le ginocchia sbucciate. Si guardò la mano e la vista di qualche gocciolina di sangue la fece esplodere in un pianto dirotto. Poi si girò verso di me e si accorse che io ridevo con la stessa intensità e gusto con cui lei piangeva.
Si bloccò all’istante (come solo i bambini che poi diventeranno grandi attori sanno fare), mi fissò con sguardo da killer e pronunciò la storica frase:
“Ridi, ridi, che mamma ha fatto i gn …”
Adesso il trapano non stava solo emettendo un ronzio accompagnato dalla lucina verde intermittente.
Adesso il trapano si muoveva.
E non era solo la vibrazione provocata dal ronzio. Stava proprio cercando di uscire dal suo alloggiamento.
Distintamente. Chiaramente.
Provò a sganciarsi, ma il blocco era abbastanza stretto da non mollarlo. Così iniziò a sfilarsi risalendo. E ci stava riuscendo.
Si dice sempre di essere bloccati dalla paura. Era quello che mi stava accadendo: pur capendo che quel coso ce l’aveva con me e stava arrivando, non riuscivo a muovere un muscolo; e per quanto il mio cervello ordinasse in maniera perentoria alle mie gambe di alzarsi dalla poltrona per farmi scendere, loro non ne volevano sapere di obbedire.
Il trapano, intanto, era completamente uscito dal suo alloggiamento e stava salendo con la punta verso il soffitto, come per sgranchirsi dall’essere stato per tanto tempo fermo nella stessa posizione. Sembrava un serpente che uscisse fuori dalla cesta senza che nessun incantatore suonasse il piffero, ma solo perché determinato a vendicarsi di chi l’aveva fatto diventare per anni un fenomeno da baraccone. Pareva avere due occhi che mi fissavano e mi assicuravano che era me che volevano.
Ancorato all’integrato dal proprio filo, volteggiava toccando quasi il soffitto. Un puzzo di carne bruciata stava invadendo la stanza.
Riuscii solo a portarmi la mano alla bocca, in modo involontario, quasi a proteggermi, ma nulla di più.
Poi lui cominciò a scendere, lentamente, fermandosi ogni tanto come ad osservarmi e sentire l’odore della mia paura.
Era cattivo, lo percepivo e continuavo ad avere quella sensazione: voleva me, e non solo perché ero l’unica persona nella stanza.
Era a pochi centimetri dal mio viso. Ora il filo dondolava mollemente, mentre lui era fermo, immobile. Emanava sempre brevi ronzii intermittenti e sempre quel puzzo di carne bruciata.
All’improvviso anche il filo si bloccò e così rimase per non so quanto tempo, forse pochi secondi o mezz’ore, il tempo non contava più.
Ero come ipnotizzato e sentii un suono, come una voce metallica, di quelle prodotte dai computer, provenire dal trapano:
“Tira via quella mano, altrimenti ti ritrovi un buco anche lì.”
Obbedii, senza opporre resistenza alcuna. Aprii anche la bocca, reclinando indietro il capo per facilitargli l’accesso al mio cavo orale.
Lui cominciò ad entrare…
Mi svegliai di soprassalto e guardai l’ora sul display: erano le sette.
Dovevo decidermi a cambiare il tono dell’allarme della mia radiosveglia.
Assolutamente.

Finale troppo scontato? E allora che ne dite, per esempio, di Cose preziose?
TIM

8 commenti:

  1. Eccomi qua. Adesso mi rileggo il racconto e poi ti faccio sapere.

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  2. Molto divertente, fila che è un piacere.
    In un racconto ben scritto non esistono finali scontati, questo è il mio modestissimo parere.
    Cose Preziose? Troppe pagine per poche idee, anche se alcune "simpatiche" (ma si può parlare di simpatiche con King?). Decisamente non è stato uno dei momenti migliore dello scrittore.
    Buona giornata!
    Ludovica

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  3. @ Ludovica: grazie di essere passata di qua! ho dato un'occhiata al tuo blog e ho visto che anche tu scrivi. Appena posso leggerò con piacere e ti farò sapere!

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  4. Letto.
    Il racconto è divertente, ecco c'è un po di stacco tra la prima e la seconda parte.
    Il finale si, forse è un po sottotono ma ci sta bene e s'integra col resto del racconto.

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  5. @ Nick: grazie del commento! il raccontino era proprio una cosetta leggera leggera, di quelle che ti vengono in mente e la butti giù in un paio d'ore.

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  6. In effetti anche io ho trovato sottotono il finale, come evidenziato da Nick. Il racconto però nella sua globalità è godibile, fila via liscio e con un paio di descrizioni ben riuscite. :)

    Ciao,
    Gianluca

    PS: A me "Cose preziose" era piaciuto!

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  7. @ Gianluca: grazie anche a te per il commento! non posso che rispondere quello che ho già detto a Nick, quindi non lo faccio. Comunque d'accordo con tutti voi che il racconto traballa da tutte le parti, ma non ho voluto fare niente per cambiare una virgola; in fondo era una cosa di tanti anni fa ed è giusto che conservi le sue caratteristiche, anche quelle negative. Quanto a "Cose Preziose", è un libro che anche a me è piaciuto. Solo il finale (col maligno che lascia la città per andare in qualche altro posto a ricominciare) è sembrato scontato. Ma d'altra parte erano pochi i finali possibili.

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