È sempre bene avere ben in mente quello che si deve fare! |
Questo raccontino è nato in modo semplice ed è frutto di una sola stesura. C'è qualcosa da limare sicuramente, specie alla fine, ma mi piace farvelo leggere così com'è venuto.
Ditemi qualcosa.
Il promemoria
“Certamente,
amore, è tutto a posto!”
Giorgio,
diede un’occhiata sul display al credito residuo della prepagata e si appoggiò
col gomito al vetro della cabina telefonica.
“Sì,
ho seguito il promemoria, come al solito. Esattamente nell’ordine che hai
scritto tu!”
Certo
che le donne hanno sempre qualcosa da dire e, soprattutto, ridire, su tutto.
“E
poi ormai sono anni che faccio così, ed è sempre andato tutto bene, quindi
penso di essere in grado di… “
Si
fermò ad ascoltare il cinguettio di Sue Ellen dall’altra parte del filo.
Sue
Ellen era nata e cresciuta in quella cittadina dalle parti di Bergamo, ma aveva
avuto la ventura di venire alla luce nell’epoca in cui cominciavano ad
impazzare le soap opera con tutti i loro personaggi dai nomi improbabili per
l’italiano medio. E si era beccata quel Sue
Ellen che faceva molto chic a dieci-quindici anni, ma che era diventato
ormai imbarazzante.
Giorgio
si fece coraggio e cercò di riprendere in mano la situazione.
“Lo
so che è importante seguire i punti uno per uno… esatto... Allora, prima di
entrare ho indossato la tuta in plastica… “ s’interruppe un attimo, poi “sì,
certamente, ho messo anche i guanti e le soprascarpe in lattice, per le
impronte. Poi dopo il lavoro ho messo qualcosa fuori posto e ho gettato a terra
una lampada e un paio di sedie… “ altra interruzione e altra ripresa con tono
condiscendente. “Certamente! Ho cercato di fare meno rumore possibile, ma comunque
tanto il tipo abita da solo in una villetta fuori paese. Poi ho preso portafoglio
e un paio di oggettini. Ah, a proposito” la voce gli si illuminò “sai che ho
trovato uno zippo originale americano del primo dopoguerra? Era chiuso in un
cassetto della scrivania con tanto di garanzia… no… no… certo che non l’ho
preso, lo so che al numero 15 del tuo promemoria c’è scritto che non bisogna
mai asportare niente dal luogo di lavoro!” e nel dirlo toccò l’oggetto che ora
riposava nella sua tasca destra.
Giorgio
ascoltò ancora per qualche istante, poi disse:
“Comunque
ora ti sto telefonando, quindi vuol dire che siamo all’ultimo punto.”
Altra
breve pausa.
“…
Sì, è una cabina telefonica distante dal posto. Ora ti saluto che la scheda si
sta svuotando. A tra poco, amore!... Sì, anche tu… mi manchi… bacini… “
Alla
fine mise giù la cornetta e uscì.
L’aria
della notte era fresca e Giorgio doveva trovare un cassonetto dove gettare la
tuta e le altre cose usate per il lavoro.
Prese
la moto e la fece partire in discesa, per non fare rumore: ci poteva sempre
essere qualcuno sofferente d’insonnia ancora alzato alle due e mezza che poteva
sentire qualcosa.
Anche
se il posto era distante più di due chilometri dalla villetta dove aveva
portato a compimento quell’ultima consegna (come diceva in gergo coi clienti) e
lui veniva da un altro paese, non si poteva essere mai sicuri.
Ormai
tra telecamere di sorveglianza (alla villetta non ce n’erano e aveva scelto un
percorso fatto di vicoletti per evitare quelle nei posti classici), cellulari
che possono essere facilmente rintracciati (ed ecco la telefonata dalla cabina
telefonica), analisi di residui e fluidi che rasentano l’inverosimile, il suo
lavoro stava diventando faticoso e pericoloso.
Quando
aveva iniziato, una trentina d’anni prima, bastava una moto di grossa
cilindrata, una pistola precisa e silenziosa e la consegna si poteva fare anche
in pieno centro a mezzogiorno.
Ed
era quello che faceva.
Poi
erano arrivati i RIS, i criminologi, gli esperti forensi e, soprattutto, Sue
Ellen.
Stupenda,
Sue Ellen, non c’era che dire! Una Marilyn Monroe paesana, bella e raffinata
come la star di Hollywood ma con quel non so che di provocante in più. Forse
perché era cresciuta tra i covoni d’estate, l’uva d’autunno e la neve a Natale?
Fatto sta che conoscerla e amarla (in tutti i sensi) era stato un tutt’uno.
Certo
il lavoro di Giorgio era sicuro e remunerativo: 15-20mila euro al mese per 3-4
consegne. E questo aveva fatto di Sue Ellen una signora, sempre ingioiellata,
alle continue prese con le unghie da laccare dalla manicure, il fondo schiena
da rimodellare in palestra, il body massage direttamente a casa.
Ma
si sa, quando si è innamorati si passa sopra a tutto; e poi in fondo portarsi
in giro una come lei era certezza di essere considerati persone importanti, di
quelli che contano.
Quello
che invece proprio non andava giù a Giorgio era il promemoria.
Sue
Ellen, che aveva tutto il tempo che voleva a disposizione, aveva cominciato ad
interessarsi al suo lavoro. Non che andasse con lui o che lui le raccontasse
qualcosa delle sue imprese, ma lei aveva preso a guardare ogni possibile film e
telefilm su squadre speciali, pronti intervento e via dicendo. E piano piano
aveva stilato una lista di cose da fare, o non fare, sul posto di lavoro, come celiava lei. Era stato un vero e proprio
studio: se la polizia fa così, allora bisogna evitare di fare questo; se gli
CSI usano questa tecnica, allora bisogna stare attenti a questo particolare.
Alla
fine tutto era risultato perfetto, e Giorgio si era reso conto che quella donna
era riuscita a costruire un modus operandi praticamente infallibile.
Sin
dalla prima volta che l’aveva messo in pratica (era stato per una ricca
ereditiera che, all’improvviso, chissà perché il marito voleva morta) si era
reso conto di come sembrava un orologio svizzero.
Ma
(c’è sempre un ma quando tutto scivola via perfetto) tutto d’un tratto Sue
Ellen aveva preso l’iniziativa. Giorgio era diventato solo l’esecutore
materiale, quasi un garzone; era lei che dirigeva la baracca, arrivando a
preparargli i vestiti appesi alle grucce quando doveva uscire per una consegna.
E
poi, il lavoro: era tutto anche troppo
perfetto, senza più fantasia, improvvisazione, tutto monotono.
Era
diventato, insomma, appunto un lavoro: c’era chi passava la vita ad avvitare
bulloni in fabbrica e chi, come lui, ammazzava persone su commissione.
Giorgio
invece aveva amato il suo lavoro per quell’idea di rischio che era insita nella
cosa.
Mentre
rifletteva su queste cose, aveva raggiunto un cassonetto dei rifiuti in fondo
ad un viale alberato, deserto a quell’ora, aveva buttato dentro l’occorrente
usato per la consegna e gli aveva dato fuoco con lo zippo appena rubato. Di
certo a nessuno sarebbe saltato in testa di controllare i residui dell’incendio
e collegarli con un omicidio avvenuto a chilometri di distanza.
Anche
questa era stata una trovata di Sue Ellen.
E
ora a casa, si disse mentre ripartiva facendo impennare la moto.
E,
un po’ il silenzio rotto solo dal rombo dei cilindri mandati al massimo, un po’
l’aria frizzante della notte, nella testa di Giorgio stava venendo su la
nostalgia.
È
vero che quando si arriva a 45-50 anni si comincia a rimpiangere la giovinezza
e la prima maturità, ma questo era un pensiero nuovo per lui. Era una voglia di
libertà, come se finora si fosse sentito ingabbiato.
Spense
il motore a poca distanza dall’inizio del viale che portava a casa, e spinse la
moto per un paio di centinaia di metri, sempre per evitare rumori sospetti a
quell’ora di notte. Aprì col telecomando il basculante del garage, che non
emetteva mai nessun lamento grazie all’olio lubrificante e alla continua manutenzione
che gli faceva, e lasciò la moto. Salì in casa dalla scala a chiocciola
interna.
Sue
Ellene era lì, che l’aspettava davanti alla televisione.
Giorgio
ebbe un moto di tenerezza guardandola sorridere verso di lui e mentre faceva
col pollice il segno dell’OK, come ogni volta che tornava da una consegna.
Era
bellissima nel suo baby doll di chiffon lilla, con le lunghe gambe scoperte distese
sul divano e il corpo sodo che si indovinava sotto le trasparenze dei vestiti.
Anche
Giorgio sorrise.
Poi
tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle marron la pistola appena usata, la
puntò alla fronte della donna e fece fuoco.
Il
silenziatore attutì il colpo della .22; al massimo qualche vicino dall’udito
fine avrebbe potuto sentire il rumore di una porta sbattere in lontananza.
Andò
subito a tappare con un fazzoletto il buco prodotto dal proiettile, odiava
dover ripulire il sangue.
Impiegò
quasi tutta la mattinata per far sparire, letteralmente, il cadavere. Lo portò
subito, prima che facesse giorno, in un casolare abbandonato dove andava a fare
qualche tiro ogni tanto per tenersi in allenamento. Qui, dopo essersi rivestito
con la solita tuta di plastica e guanti e soprascarpe di lattice (per l’ultima volta
era meglio rispettare il promemoria, anche per rispetto a Sue Ellen) tagliò il
corpo della donna (sì, era proprio bella, anche da morta!) in piccoli pezzi che
mise in una decina di sacchetti di plastica zavorrati con piombo da sub.
Avrebbe provveduto nei giorni seguenti a portarli un po’ qui e un po’ lì: mare,
fiume, lago; Sue Ellen amava molto l’acqua.
Era
pomeriggio inoltrato ormai quando tornò a casa; restava l’ultimo punto del
promemoria, la telefonata.
Prese
il cordless e compose il numero.
“113.
In cosa posso esserle utile?”
“Buona
sera, mi scusi. Non so se è ancora presto per fare la denuncia, ma sono molto preoccupato per mia moglie. Ieri ha detto di voler andare a trovare la sorella ed è partita quasi di corsa. Ma Giulia, sua sorella, mi ha detto che non la vede e non la sente da molto tempo. Sa’, mia moglie è un tipo molto preciso. Al cellulare non risponde e ho paura che… . Con tutte le cose che si sentono al giorno d'oggi! ”
FINE
TIM
Non è male. Personalmente trovo che a tratti sei un po' troppo diretto: per dire, che Sue Ellen è il nome che girava ai tempi delle telenovele lo sapevo già. Ma se il protagonista avesse fatto una battuta sulla cosa avresti comunque spiegato la situazione in maniera indiretta, e aggiunto un di più per i lettori.
RispondiEliminaCioè se mentre leggo "arrivo" a quello che avevi in mente mi diverto di più.
Sul fatto del killer che uccide la gente e la fa a pezzi ti farei una provocazione (che puoi non accettare, sempre in amicizia :) : non è un po' come gli zombi di cui parlavi l'altra volta? Cioè, non stiamo sempre in un ambito simile? Io sinceramente preferisco gli zombi, guarda un po'! :)
Simone
Ch
Anzitutto grazie per il commento! Sicuramente si potrebbe riscrivere quella parte di cui parli (Sue Ellen, ecc.). Della serie: mostra non dire. quella cosa lì volevi dire?
EliminaPer quanto riguarda gli zombie, mi sembra che le due cose non vadano a braccetto. Nel mio post precedente me la prendevo con i racconti horror a tutti i costi, dove le immagini sono ridondanti, inutili, fini a sé stesse, portate all'eccesso per riempire le pagina; dove si vuol fare di una realtà "impossibile" una realtà "certa". Qui, mi sembra, si tratta di un killer che uccide e, se viene accennato a come fa a pezzi la moglie, non è per 'pruderie' ma perché ci può stare chi uccide e fa a pezzi. È, insomma una realtà "reale". Almeno io la vedo così!
Ok capisco il discorso sulla realtà e non realtà... io la vedo diversamente, in generale mi infastidisce qualsiasi cliché violento ma al limite l'irrealtà degli zombi la sopporto di più perché entrando nel fantastico la trovo meno aggressiva. Ma non so se mi spiego bene :)
EliminaQuella cosa mostrare non raccontare non volevo dirla perché è una concezione della scrittura che non mi appartiene. Io penso che se leggo un tuo testo devo appassionarmi e se mostri o racconti non fa niente, l'importante è che il testo funzioni.
Più che mostrare o raccontare insomma il mio è un invito ad arricchire il testo in qualche modo, anche un "raccontato" simpatico (io tante volte faccio così, almeno credo) va benissimo. "I suoi l'avevano chiamata come la protagonista di quella cazzo di telenovela... e quando di notte beccava le repliche sulle TV regionali non sapeva mai se prenderla a ridere o sparare in testa a qualcuno".
Per dire un raccontato più colorito, ecco :)
Simone
Ok capisco il discorso sulla realtà e non realtà... io la vedo diversamente, in generale mi infastidisce qualsiasi cliché violento ma al limite l'irrealtà degli zombi la sopporto di più perché entrando nel fantastico la trovo meno aggressiva. Ma non so se mi spiego bene :)
EliminaQuella cosa mostrare non raccontare non volevo dirla perché è una concezione della scrittura che non mi appartiene. Io penso che se leggo un tuo testo devo appassionarmi e se mostri o racconti non fa niente, l'importante è che il testo funzioni.
Più che mostrare o raccontare insomma il mio è un invito ad arricchire il testo in qualche modo, anche un "raccontato" simpatico (io tante volte faccio così, almeno credo) va benissimo. "I suoi l'avevano chiamata come la protagonista di quella cazzo di telenovela... e quando di notte beccava le repliche sulle TV regionali non sapeva mai se prenderla a ridere o sparare in testa a qualcuno".
Per dire un raccontato più colorito, ecco :)
Simone
Sul discorso realtà-violenza-ecc., ho capito quello che vuoi dire. Abbiamo visioni diverse della cosa, ma... amici come prima!
EliminaSpero che, nonostante tutto, il racconto alla fine ti sia comunque piaciuto.
Mi piace molto il tuo stile. E' diretto e semplice, ma allo stesso tempo "arguto". L'idea è molto originale, e c'è quel tocco di follia di fondo che me lo fa piacere ancora di più!
RispondiEliminaGrazie anche a te per il commento! non mi aspettavo già da subito tutte queste risposte! È "diretto e semplice", come dici tu, perché è scritto di getto, senza riscrittura se non per il controllo degli errori e per la consecutio temporum, che io nelle prime stesure maltratto abbastanza. L'idea si è materializzata venendo a lavoro stamattina, di questo killer tartassato dalla moglie. All'inizio doveva essere solo il dialogo al telefono nella cabina, poi ho pensato che dalle parole bisogna sempre passare ai fatti, così è nata la seconda parte!
EliminaSi devo dire che però la prima parte mi piace di più, i dialoghi sono pazzeschi..poi però la svolta finale è davvero interessante! :)
EliminaCome sai non amo la letteratura poliziesca, ma qui c'è del noir che ho molto apprezzato. L'intuizione che più mi è piaciuta è quella della banalità del mestiere di assassino innestato nell'economia domestica, il modo in cui la volgare (perché E' volgare :-D ) Sue Ellen ha ridotto il protagonista a gestirlo in modo appunto volgare... Potevi forse aggiungere un paragrafo in cui facevi accadere qualcosa (un FATTO, AZIONI, non pensieri del killer: che invece filano benissimo nella corsa in moto dal casolare a casa) che convince definitivamente il protagonista a uccidere la moglie (un pò come ne "La Beccaccia" di Landolfi, quando il protagonista rimette in discussione certi suoi propositi nei confronti della fidanzata dopo aver visto gli occhi di una beccaccia a cui aveva sparato... ;-) )
RispondiEliminaGrazie della lettura che hai fatto del mio lavoretto e, soprattutto, dei consigli preziosi. Come ho detto poco sopra, è una cosa che mi è venuta di getto, un esperimento; perciò i tuoi consigli sono importanti perché sono concreti e mi verranno buoni nel caso dovessi rimetterci mano, ma soprattutto per il prossimo futuro di racconti, che spero ci sarà. Sicuramente manca una causa scatenante al gesto che fa Giorgio, ma dovrebbe essere una cosa piccola e semplice per non guastare la brevità e semplicità narrativa del racconto.
EliminaUn noir velatamente umoristico di quelli che mi piacciono. Come dice Alessandro, bella l'idea del killer trasformato in una sorta di operaio che esegue le istruzioni.
RispondiEliminaP.S.: sono un noioso pedante, lo so, ma volevo segnalarti una piccola svista:
"E questo AVEVANO fatto di Sue Ellen una signora" (ormai non ti liberi più di un correttore di bozze rompicoglioni come me ;-)
Grazie dell'indicazione! già corretto! ad avercene rotture di scatole come le tue (le rotture dico, non le scatole)! sono contento che anche a te sia piaciuto. Non è detto che non ne sforni qualche altro nel frattempo che continuo a lavorare sul racconto breve di Bacone; dipende da come sto di testa, perché con questo caldo tende ad uscire un po' fuori di melone!
EliminaAnche a me è piaciuto! Molto.
RispondiEliminaSu Su Ellen, se proprio dobbiamo essere critici (!), faccio la stessa osservazione di Simone... ma penso sia molto carino. :)
grazie anche a te!.
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