E questi chi sono? E che c'entrano col commissario Bacone? |
Ancora qualche sussulto da questo blog morente.
Dopo averla fatta passare per le sapienti mani di Ariano, oggi vi do' in pasto la prima puntata della nuova avventura del commissario Bacone. Sono circa 8mila parole, a cui ho lavorato per 2-3 mesi. Questa volta ho usato un metodo per me inusuale: dopo aver scritto la trama, ho cominciato a lavorare sulle singole scene, indipendentemente dalla cronologia. Alla fine ho assemblato il tutto e non so se questo si vedrà nella lettura. Fatemelo sapere.
Anche quest'avventura del commissario Bacone è ambientata a Vercelli. Ho mantenuto la topografia come nella realtà e mi sono permesso solo una piccola deviazione nella descrizione di una palazzina dove abita uno dei personaggi; per il resto potete usare il racconto come cartina stradale.
Che dire altro? Niente, se non ringraziare ancora Ariano ed anche il mio amico Luca, che mi ha suggerito un titolo (capirete poi di cosa).
Aspetto, come sempre, un vostro parere.
È
solo un gioco, commissario Bacone!
Personaggi
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come
semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Arturo Marcone: destinatario di
una lettera
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista
“Pronto, sono Sara della British Telecom. È lei il titolare?”
Bacone
rimase un attimo interdetto.
“Chi è
scusi?”
“Sono Sara
della British Telecom. Vorrei parlare col titolare. È lei?”
“Signorina,
questo è un commissariato!”
“E allora mi
faccia parlare col commissario” ribatté Sara-della-British-Telecom senza
perdersi d’animo.
Bacone non
sapeva cosa fare. Guardò il portatile che aveva in mano, poi disse:
“Non ci
serve niente, grazie!” e riattaccò.
“Geremicca!”
urlò qualche secondo dopo.
Il telefono
squillò: telefonata interna.
“Sì, che
c’è?” rispose Bacone.
“È lei che
mi ha chiamato, commissario” replicò seraficamente Geremicca.
“Ma cosa ti
è saltato in mente di passarmi quella tizia di prima?” si alterò Bacone.
“E perché?
Si è gentilmente presentata e poi ha chiesto del titolare. Quindi visto che lei
è il titolare di questo commissariato, gliel’ho passata.” Poi dopo una breve
esitazione: “O preferiva che la facevo parlare con Conci?”
Com’era quel
libro? Quello da cui avevano tratto pure un paio di film? Ah, ecco: L’ultimo uomo sulla terra. Bacone aveva
perso l’orientamento: era rimasto solo lui al mondo a ragionare secondo certi
canoni o era rimasto l’unico imbecille sulla terra?
“Lascia
stare. E per stamattina niente più telefonate pubblicitarie, gentilmente” e
chiuse la conversazione.
La lancetta
dei secondi dell’orologio non fece in tempo a tracciare un giro completo che il
telefono squillò nuovamente. Bacone lo fissò, incerto se rispondere e beccarsi
un’altra Sara o Dio solo sapeva che. Poi vide che la telefonata era nuovamente
interna e veniva dal centralino.
“Pronto. Che
c’è adesso, Nino?” spazientì il commissario.
“C’è un
certo Arturo Marcone che vorrebbe parlare con lei. Che faccio?” Era quasi una
sfida.
“Vuol
parlare proprio con me? Ha fatto il mio nome?”
“È lei il
titolare del commissariato?”
“Certo che
sono io! E chi sarebbe sennò?” sottintese con la voce Bacone.
“E allora il
signor Arturo Marcone ha chiesto proprio di lei, del titolare del commissariato, ha detto testualmente.”
Eccone un altro, pensò Bacone; poi si arrese.
“Ve bene. Fallo passare. Anzi fallo
accompagnare da Bellagamba.”
“Bellagamba
non c’è in questo momento.”
“Conci?”
“Non c’è.”
“C’è
qualcuno in questo commissariato, di cui io sarei il titolare?”
“C’è
l’assistente Garrone. Oltre a lei e me.” Ovviamente
avrebbe voluto aggiungere.
“Allora
chiedi alla Garrone di accompagnare il signor Marcone nel mio ufficio” concluse
Bacone, chiudendo la telefonata.
Passarono
pochi minuti e qualcuno bussò alla porta dell’ufficio del commissario.
“Avanti.”
Una
ragazzotta robusta, alta non un centimetro in più del minimo stabilito per far
parte delle forze di polizia, capelli cortissimi e due splendidi occhi verdi,
aprì la porta ed entrò.
Appena
l’assistente Marika Garrone ebbe liberata la visuale della porta, davanti al
commissario comparve un uomo anziano, con un cappello in panno a tese strette e
una cartellina di pelle marrone in una mano.
“Prego, si
accomodi, signor… “ fece finta di aver dimenticato il nome, per metterlo a suo
agio rompendo subito il ghiaccio.
Sempre
stando sulla porta, l’uomo si tolse il cappello con la mano libera e lo portò
all’altezza del cuore, accennando quasi ad un inchino.
“Professor
Arturo Marcone.”
“Avanti,
avanti, professore!” l’invitò Bacone che nel frattempo si era alzato.
La presenza
dell’uomo incuteva riverenza, per niente in particolare, ma per l’aspetto in
sé.
Entrò nella
stanza, camminando un po’ malfermo sulle gambe, tanto che Marika sembrava esser
lì lì per assisterlo in caso fosse caduto. Riuscì a raggiungere la scrivania
del commissario e rimase in piedi.
“Si accomodi
pure.”
Il
professore attese che fosse Bacone a sedersi per primo, poi sedette a sua
volta.
“Allora,
professor Marcone, mi dica.”
L’uomo
guardò la Garrone che rimaneva in piedi accanto a lui; poi guardò il
commissario.
“Parli pure,
professore.”
Abbassò un
attimo lo sguardo, quindi infilò una mano nella cartella in pelle e tirò fuori
una busta da lettera. La aprì con lentezza, svolse il foglio che conteneva e la
porse al commissario dicendo:
“Stamattina
ho ricevuto questa lettera e adesso ho paura.”
Bacone prese
il foglio e lo guardò, poi lesse a voce alta:
“’Hai sentito che ho detto, pezzo di merda? Con te non ho finito neanche
per il cazzo, ho una cura medievale per il tuo culo!’
‘Lascia la città stasera, all'istante, e una volta fuori resta
fuori, o ti faccio fuori.’”
Bacone prese la busta che l’uomo
aveva lasciato sul tavolo e la rigirò tra le mani.
“Non ha mittente” disse a sé
stesso.
Poi notò che Arturo Marcone
continuava a restare rigido sulla punta della sedia e che ogni tanto guardava
la poliziotta in piedi di fianco a lui.
Marika Garrone era lì, con le
mani dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate. Bacone la fissò un
attimo e poi disse:
“Marika, stai pure rilassata.
Anzi siediti che stiamo tutti più tranquilli, vero professore?”
L’uomo accennò un mezzo sorriso e
sembrò sollevato di non avere più l’ombra della ragazza addosso.
“Allora, non ha idea di chi può
averle spedito la lettera?”
“Assolutamente! Nella mia vita
non mi era mai capitata una cosa del genere!”
“Lei è professore mi ha detto,
vero?”
“Certamente. Ho insegnato storia
dell’arte per tutta la vita al liceo classico della città e le posso assicurare
che queste sono cose che mai avrei immaginato di ricevere!”
L’uomo anziano si stava rianimando
e pareva riprendere in mano la propria situazione.
“Le credo, professore. Capisce
bene che frasi di questo tipo si possono leggere solo in lettere minatorie e
tra gente di un certo tipo, non certo del suo livello. L’ha ricevuta
regolarmente con la posta?”
“Sì. Questa mattina come al
solito sono uscito di casa verso le dieci per la piccola spesa quotidiana:
pane, latte, giornale; e tornando ho guardato nella cassetta della posta, come
faccio sempre. Esco sempre a quell’ora perché al ritorno so’ che il postino è
già passato e se c’è qualcosa è già nella buca. Così poi posso evitare di
scendere più tardi. Non sempre esco al pomeriggio e se non ho impegni, una
volta rientrato dalla spesa, mi cambio d’abbigliamento e mi metto comodo. “
A Bacone tornò in mente una
vecchia canzone di Guccini: gli sembrava di vedere l’uomo muoversi per casa col
sottofondo di quella musica, come in un film.
“Ha parenti qui in città?”
“No. Mi è rimasta solo una
sorella che vive a San Casciano col marito, ma ci vediamo poco.”
Bacone notò che non aveva la vera
al dito e non volle approfondire oltre quell’argomento che per l’uomo poteva
essere doloroso. La solitudine è una brutta bestia a qualsiasi età, e il
professor Marcone non sembrava tipo da frequentare le bocciofile.
“Quindi lei non sa chi potrebbe
averle inviato la lettera. Non ne ha ricevuto altre prima di questa o quanto
meno le è capitata qualche situazione strana, fuori dal normale? Qui dice: con te non ho finito.”
“Scusi, commissario, posso dare
un’occhiata?” interruppe l’assistente Garrone.
Bacone le girò un’occhiataccia,
ma la ragazza parve non accorgersene e si allungò verso la lettera.
Con un gesto della mano il
commissario consentì alla richiesta della ragazza e poi tornò a rivolgersi
all’uomo.
“No, guardi, non so proprio.”
“C’è qualcosa di strano in questa
lettera” si intromise la ragazza.
“Marika, stiamo parlando col
professore!” intervenne Bacone seccato.
Anche questa volta la ragazza
parve non capire il tono del superiore.
“Vede, commissario, le frasi sono
in corsivo e per di più virgolettate.”
E anche stavolta Bacone riportò
la sua attenzione sull’uomo seduto davanti a lui.
“Continui, la prego, professore.”
“No, dicevo che non ne ho proprio
idea. Ho insegnato per tantissimi anni e per quanto possa aver fatto bocciare
qualcuno, ormai è passato tanto di quel tempo! E poi non si minaccia a quel
modo per una vecchia bocciatura! Per il resto non ho amicizie, né maschili né
femminili, sempre che non si possano considerare amici il lattaio, il giornalaio e il verduriere coi quali scambio
qualche parola tutti i giorni.”
“E nel suo condominio?”
“Ma no! Siamo tutti anziani ed è
già qualcosa se ogni giorno riusciamo ad incontrarci ancora. Eppure abbiamo
vissuto nella stessa scala per decine di anni. Ma comunque, anche lì, solo gli
auguri per le feste le domande sulla salute, i figli, chi ce l’ha, e basta.
Eppoi, nessuno di loro si sarebbe espresso in quei termini!” concluse quasi
schifato facendo cenno alla lettera che ancora la Garrone stava rigirandosi tra
le mani.
L’uomo si stava infervorando,
forse dalla paura stava passando alla rabbia per l’impotenza di non capire e
non poter fare niente. Come se per la prima volta nella sua vita qualcosa non
era sotto il suo diretto controllo.
“Va bene, professore” concluse
Bacone. “Ora la signorina redigerà il verbale e glielo farà firmare. Se dovesse
ricordare qualcosa, sa che può chiamare o venire quando vuole. E noi sappiamo
dove trovarla se avremo domande o novità.”
Il commissario si alzò e porse la
mano all’uomo.
Arturo Marcone lo guardò come a
chiedere: è tutto qua? Poi capì che
la conversazione era finita, si alzò a sua volta, strinse la mano al
commissario con un mezzo inchino e seguì Marika Garrone fuori dall’ufficio.
TIM
Ah, ci siamo. Attendo soprattutto il finale ;-)
RispondiEliminaHo provato a riscriverlo come mi hai suggerito, ma ancora sono indeciso. Lo scoprirò anch'io all'ultimo momento.
EliminaAtz! Mi era sfuggito che era a puntate. Quando sono arrivato in fondo mi son detto: e adesso? ^_^
RispondiEliminaAttendo le prossime puntate... ma Sara-della-british-telecom che vuole?
Sara-ecc.è semplicemente una di quelle scocciatrici che quasi quotidianamente si mettono di traverso ai tortellini/gamberetti fritti/spaghetti al pomodoro per venderti qualcosa. Penso che nell'arco di una settimana arriveremo in fondo alla storia.
EliminaL' inizio mi é piaciuto. Se.posso.permettermo di fare una critica, la parte iniziale seppur.gustosa mi ha ricordato il rapporto tra Montalbano e Catarella.
RispondiEliminaPermettiti pure, per me non è una critica! Può anche essere che la cosa sia come dici tu, d'altra parte in un luogo di lavoro è facile che le dinamiche siano sempre quelle. Rispetto però a Catarella, Geremicca è un po' meno "servile", se mi si passa il termine, meno imbranato; è un altro personaggio insomma, anche se il lavoro svolto è lo stesso. Speriamo che pure il seguito della storia sia di tuo gradimento. Sono già al lavoro sul terzo episodio, in cui è coinvolto un personaggio che conosciamo tutti; infatti dopo Davide Mana, questa volta ho cercato di scomodare... lo scoprirete a lavoro finito!
Elimina"Bacone notò che non aveva la vera al dito e non volle approfondire oltre quell’argomento che per l’uomo poteva essere doloroso. La solitudine è una brutta bestia a qualsiasi età, e il professor Marcone non sembrava tipo da frequentare le bocciofile."
RispondiEliminaEh già.
ogni tanto uno sprazzo di pensiero poetico (come dice Bellavista-De Crescenzo) ci vuole.
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