lunedì 11 giugno 2012

Racconto a puntate: È solo un gioco, commissario Bacone! (1)


E questi chi sono?
E che c'entrano col commissario Bacone?

Ancora qualche sussulto da questo blog morente.
Dopo averla fatta passare per le sapienti mani di Ariano, oggi vi do' in pasto la prima puntata della nuova avventura del commissario Bacone. Sono circa 8mila parole, a cui ho lavorato per 2-3 mesi. Questa volta ho usato un metodo per me inusuale: dopo aver scritto la trama, ho cominciato a lavorare sulle singole scene, indipendentemente dalla cronologia. Alla fine ho assemblato il tutto e non so se questo si vedrà nella lettura. Fatemelo sapere.
Anche quest'avventura del commissario Bacone è ambientata a Vercelli. Ho mantenuto la topografia come nella realtà e mi sono permesso solo una piccola deviazione nella descrizione di una palazzina dove abita uno dei personaggi; per il resto potete usare il racconto come cartina stradale.
Che dire altro? Niente, se non ringraziare ancora Ariano ed anche il mio amico Luca, che mi ha suggerito un titolo (capirete poi di cosa).
Aspetto, come sempre, un vostro parere.

È solo un gioco, commissario Bacone!


Personaggi
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Arturo Marcone: destinatario di una lettera
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista



“Pronto, sono Sara della British Telecom. È lei il titolare?”
Bacone rimase un attimo interdetto.
“Chi è scusi?”
“Sono Sara della British Telecom. Vorrei parlare col titolare. È lei?”
“Signorina, questo è un commissariato!”
“E allora mi faccia parlare col commissario” ribatté Sara-della-British-Telecom senza perdersi d’animo.
Bacone non sapeva cosa fare. Guardò il portatile che aveva in mano, poi disse:
“Non ci serve niente, grazie!” e riattaccò.
“Geremicca!” urlò qualche secondo dopo.
Il telefono squillò: telefonata interna.
“Sì, che c’è?” rispose Bacone.
“È lei che mi ha chiamato, commissario” replicò seraficamente Geremicca.
“Ma cosa ti è saltato in mente di passarmi quella tizia di prima?” si alterò Bacone.
“E perché? Si è gentilmente presentata e poi ha chiesto del titolare. Quindi visto che lei è il titolare di questo commissariato, gliel’ho passata.” Poi dopo una breve esitazione: “O preferiva che la facevo parlare con Conci?”
Com’era quel libro? Quello da cui avevano tratto pure un paio di film? Ah, ecco: L’ultimo uomo sulla terra. Bacone aveva perso l’orientamento: era rimasto solo lui al mondo a ragionare secondo certi canoni o era rimasto l’unico imbecille sulla terra?
“Lascia stare. E per stamattina niente più telefonate pubblicitarie, gentilmente” e chiuse la conversazione.
La lancetta dei secondi dell’orologio non fece in tempo a tracciare un giro completo che il telefono squillò nuovamente. Bacone lo fissò, incerto se rispondere e beccarsi un’altra Sara o Dio solo sapeva che. Poi vide che la telefonata era nuovamente interna e veniva dal centralino.
“Pronto. Che c’è adesso, Nino?” spazientì il commissario.
“C’è un certo Arturo Marcone che vorrebbe parlare con lei. Che faccio?” Era quasi una sfida.
“Vuol parlare proprio con me? Ha fatto il mio nome?”
“È lei il titolare del commissariato?”
“Certo che sono io! E chi sarebbe sennò?” sottintese con la voce Bacone.
“E allora il signor Arturo Marcone ha chiesto proprio di lei, del titolare del commissariato, ha detto testualmente.”
Eccone un altro, pensò Bacone; poi si arrese.
 “Ve bene. Fallo passare. Anzi fallo accompagnare da Bellagamba.”
“Bellagamba non c’è in questo momento.”
“Conci?”
“Non c’è.”
“C’è qualcuno in questo commissariato, di cui io sarei il titolare?”
“C’è l’assistente Garrone. Oltre a lei e me.” Ovviamente avrebbe voluto aggiungere.
“Allora chiedi alla Garrone di accompagnare il signor Marcone nel mio ufficio” concluse Bacone, chiudendo la telefonata.
Passarono pochi minuti e qualcuno bussò alla porta dell’ufficio del commissario.
“Avanti.”
Una ragazzotta robusta, alta non un centimetro in più del minimo stabilito per far parte delle forze di polizia, capelli cortissimi e due splendidi occhi verdi, aprì la porta ed entrò.
Appena l’assistente Marika Garrone ebbe liberata la visuale della porta, davanti al commissario comparve un uomo anziano, con un cappello in panno a tese strette e una cartellina di pelle marrone in una mano.
“Prego, si accomodi, signor… “ fece finta di aver dimenticato il nome, per metterlo a suo agio rompendo subito il ghiaccio.
Sempre stando sulla porta, l’uomo si tolse il cappello con la mano libera e lo portò all’altezza del cuore, accennando quasi ad un inchino.
“Professor Arturo Marcone.”
“Avanti, avanti, professore!” l’invitò Bacone che nel frattempo si era alzato.
La presenza dell’uomo incuteva riverenza, per niente in particolare, ma per l’aspetto in sé.
Entrò nella stanza, camminando un po’ malfermo sulle gambe, tanto che Marika sembrava esser lì lì per assisterlo in caso fosse caduto. Riuscì a raggiungere la scrivania del commissario e rimase in piedi.
“Si accomodi pure.”
Il professore attese che fosse Bacone a sedersi per primo, poi sedette a sua volta.
“Allora, professor Marcone, mi dica.”
L’uomo guardò la Garrone che rimaneva in piedi accanto a lui; poi guardò il commissario.
“Parli pure, professore.”
Abbassò un attimo lo sguardo, quindi infilò una mano nella cartella in pelle e tirò fuori una busta da lettera. La aprì con lentezza, svolse il foglio che conteneva e la porse al commissario dicendo:
“Stamattina ho ricevuto questa lettera e adesso ho paura.”
Bacone prese il foglio e lo guardò, poi lesse a voce alta:
’Hai sentito che ho detto, pezzo di merda? Con te non ho finito neanche per il cazzo, ho una cura medievale per il tuo culo!’
‘Lascia la città stasera, all'istante, e una volta fuori resta fuori, o ti faccio fuori.’
Bacone prese la busta che l’uomo aveva lasciato sul tavolo e la rigirò tra le mani.
“Non ha mittente” disse a sé stesso.
Poi notò che Arturo Marcone continuava a restare rigido sulla punta della sedia e che ogni tanto guardava la poliziotta in piedi di fianco a lui.
Marika Garrone era lì, con le mani dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate. Bacone la fissò un attimo e poi disse:
“Marika, stai pure rilassata. Anzi siediti che stiamo tutti più tranquilli, vero professore?”
L’uomo accennò un mezzo sorriso e sembrò sollevato di non avere più l’ombra della ragazza addosso.
“Allora, non ha idea di chi può averle spedito la lettera?”
“Assolutamente! Nella mia vita non mi era mai capitata una cosa del genere!”
“Lei è professore mi ha detto, vero?”
“Certamente. Ho insegnato storia dell’arte per tutta la vita al liceo classico della città e le posso assicurare che queste sono cose che mai avrei immaginato di ricevere!”
L’uomo anziano si stava rianimando e pareva riprendere in mano la propria situazione.
“Le credo, professore. Capisce bene che frasi di questo tipo si possono leggere solo in lettere minatorie e tra gente di un certo tipo, non certo del suo livello. L’ha ricevuta regolarmente con la posta?”
“Sì. Questa mattina come al solito sono uscito di casa verso le dieci per la piccola spesa quotidiana: pane, latte, giornale; e tornando ho guardato nella cassetta della posta, come faccio sempre. Esco sempre a quell’ora perché al ritorno so’ che il postino è già passato e se c’è qualcosa è già nella buca. Così poi posso evitare di scendere più tardi. Non sempre esco al pomeriggio e se non ho impegni, una volta rientrato dalla spesa, mi cambio d’abbigliamento e mi metto comodo. “
A Bacone tornò in mente una vecchia canzone di Guccini: gli sembrava di vedere l’uomo muoversi per casa col sottofondo di quella musica, come in un film.
“Ha parenti qui in città?”
“No. Mi è rimasta solo una sorella che vive a San Casciano col marito, ma ci vediamo poco.”
Bacone notò che non aveva la vera al dito e non volle approfondire oltre quell’argomento che per l’uomo poteva essere doloroso. La solitudine è una brutta bestia a qualsiasi età, e il professor Marcone non sembrava tipo da frequentare le bocciofile.
“Quindi lei non sa chi potrebbe averle inviato la lettera. Non ne ha ricevuto altre prima di questa o quanto meno le è capitata qualche situazione strana, fuori dal normale? Qui dice: con te non ho finito.”
“Scusi, commissario, posso dare un’occhiata?” interruppe l’assistente Garrone.
Bacone le girò un’occhiataccia, ma la ragazza parve non accorgersene e si allungò verso la lettera.
Con un gesto della mano il commissario consentì alla richiesta della ragazza e poi tornò a rivolgersi all’uomo.
“No, guardi, non so proprio.”
“C’è qualcosa di strano in questa lettera” si intromise la ragazza.
“Marika, stiamo parlando col professore!” intervenne Bacone seccato.
Anche questa volta la ragazza parve non capire il tono del superiore.
“Vede, commissario, le frasi sono in corsivo e per di più virgolettate.”
E anche stavolta Bacone riportò la sua attenzione sull’uomo seduto davanti a lui.
“Continui, la prego, professore.”
“No, dicevo che non ne ho proprio idea. Ho insegnato per tantissimi anni e per quanto possa aver fatto bocciare qualcuno, ormai è passato tanto di quel tempo! E poi non si minaccia a quel modo per una vecchia bocciatura! Per il resto non ho amicizie, né maschili né femminili, sempre che non si possano considerare amici il lattaio, il giornalaio e il verduriere coi quali scambio qualche parola tutti i giorni.”
“E nel suo condominio?”
“Ma no! Siamo tutti anziani ed è già qualcosa se ogni giorno riusciamo ad incontrarci ancora. Eppure abbiamo vissuto nella stessa scala per decine di anni. Ma comunque, anche lì, solo gli auguri per le feste le domande sulla salute, i figli, chi ce l’ha, e basta. Eppoi, nessuno di loro si sarebbe espresso in quei termini!” concluse quasi schifato facendo cenno alla lettera che ancora la Garrone stava rigirandosi tra le mani.
L’uomo si stava infervorando, forse dalla paura stava passando alla rabbia per l’impotenza di non capire e non poter fare niente. Come se per la prima volta nella sua vita qualcosa non era sotto il suo diretto controllo.
“Va bene, professore” concluse Bacone. “Ora la signorina redigerà il verbale e glielo farà firmare. Se dovesse ricordare qualcosa, sa che può chiamare o venire quando vuole. E noi sappiamo dove trovarla se avremo domande o novità.”
Il commissario si alzò e porse la mano all’uomo.
Arturo Marcone lo guardò come a chiedere: è tutto qua? Poi capì che la conversazione era finita, si alzò a sua volta, strinse la mano al commissario con un mezzo inchino e seguì Marika Garrone fuori dall’ufficio.

TIM

8 commenti:

  1. Ah, ci siamo. Attendo soprattutto il finale ;-)

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    1. Ho provato a riscriverlo come mi hai suggerito, ma ancora sono indeciso. Lo scoprirò anch'io all'ultimo momento.

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  2. Atz! Mi era sfuggito che era a puntate. Quando sono arrivato in fondo mi son detto: e adesso? ^_^
    Attendo le prossime puntate... ma Sara-della-british-telecom che vuole?

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    1. Sara-ecc.è semplicemente una di quelle scocciatrici che quasi quotidianamente si mettono di traverso ai tortellini/gamberetti fritti/spaghetti al pomodoro per venderti qualcosa. Penso che nell'arco di una settimana arriveremo in fondo alla storia.

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  3. L' inizio mi é piaciuto. Se.posso.permettermo di fare una critica, la parte iniziale seppur.gustosa mi ha ricordato il rapporto tra Montalbano e Catarella.

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    1. Permettiti pure, per me non è una critica! Può anche essere che la cosa sia come dici tu, d'altra parte in un luogo di lavoro è facile che le dinamiche siano sempre quelle. Rispetto però a Catarella, Geremicca è un po' meno "servile", se mi si passa il termine, meno imbranato; è un altro personaggio insomma, anche se il lavoro svolto è lo stesso. Speriamo che pure il seguito della storia sia di tuo gradimento. Sono già al lavoro sul terzo episodio, in cui è coinvolto un personaggio che conosciamo tutti; infatti dopo Davide Mana, questa volta ho cercato di scomodare... lo scoprirete a lavoro finito!

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  4. "Bacone notò che non aveva la vera al dito e non volle approfondire oltre quell’argomento che per l’uomo poteva essere doloroso. La solitudine è una brutta bestia a qualsiasi età, e il professor Marcone non sembrava tipo da frequentare le bocciofile."

    Eh già.

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    1. ogni tanto uno sprazzo di pensiero poetico (come dice Bellavista-De Crescenzo) ci vuole.

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