mercoledì 20 giugno 2012

Racconto a puntate: È solo un gioco, commissario Bacone! (5)


Sicuramente non è un'auto per Bacone,
ma in un prossimo futuro
potrebbe calcare questi schermi!
Piccolo sipario, in attesa del finale.
Dove, comunque, si scopre qualcosa che riguarda un'altra indagine di Bacone. Ma questa è un'altra storia, anzi proprio un altro racconto, che ancora non esiste; o meglio esiste già tutto nella mia testa, quindi è come dire che non esiste.
Insomma, per farla breve: ecco la quinta puntata di:










È solo un gioco, commissario Bacone!


Personaggi:
Arturo Marcone: destinatario di una lettera
Francesco Bacone: commissario
Stefano Conci: ispettore (come semplice comparsa)
Marika Garrone: assistente
Nino Geremicca: agente
Gennaro Bellagamba: agente scelto
Gegè: barista


Lo vide appena entrato.
“Ah, commissario! Stavo proprio dicendo a Nino che se tutti fossero come Arturo Marcone, noi saremmo disoccupati da un pezzo.”
“Quale Arturo Marcone?” chiese Bacone che aveva dimenticato di aver assegnato a Gennaro la ricerca su eventuali precedenti di Marcone il giovane.
“Tutti e due. Il professore l’abbiamo visto l’altro giorno e solo a guardarlo si capisce che non farebbe male ad una mosca. Ma anche il giovane non scherza. Mai una multa, mai un’infrazione, niente di niente. Ho persino chiamato Savelli, l’amico mio poliziotto che fa il servizio per strada: nessuno lo conosce né si è mai lamentato di lui.”
“E così siamo punto e a capo. Non ci resta che aspettare che torni dalle vacanze.”
Ma Bacone doveva parlare urgentemente col cervello di Marika Garrone.
“Dov’è la Garrone, Geremì? chiese al piantone.
Nino Geremicca lo fissò con lo sguardo di io mi faccio i fatti miei. Poi disse:
“È in ufficio, credo.”
Bacone filò per il corridoio, ripassandosi mentalmente tutto quello che aveva saputo al bar da Gegè: il film, le frasi, Tarantino.
E questo ripetè a Marika, che chiacchierava con l’agente Giusy Monaco, appena arrivata anche lei.
“Ma questo che senso ha? È uno scherzo?” chiese Marika a nessuno in particolare.
“Non so. Comunque anche se dovessero essere frasi dalla sceneggiatura di un film, rimangono sempre frasi minacciose, quindi oltre allo scherzo io rimarrei ancora sull’intimidazione.”
“Le frasi sono sicuramente da Pulp Fiction” disse l’agente Monaco, coda di cavallo appena accennata e lenti senza montatura, che nel frattempo si era messa al computer. “Ecco qua… Con te non ho finito neanche per… , ho una cura medievale per il… avete capito insomma, quelle frasi lì. Su questo sito dice che sono dalla sceneggiatura di quel film.” Attese qualche istante, in cui continuò a battere sulla tastiera, poi continuò “E anche le altre ci sono, sono tutte da lì!”
I tre poliziotti si guardarono, poi le due ragazze fissarono Bacone, che inarcò le labbra e alzò e abbassò le braccia a dire mbah!
“Aspettiamo” disse infine il commissario “aspettiamo che torni Marcone. A proposito, hai avvisato il vecchietto che il pericolo per lui è scampato?”
“Dovevo?” chiese Marika. Poi guardando l’espressione di Bacone, disse ancora: “Potevo?”
Bacone la guardò e disse:
“E che aspetti? A quest’ora le sue coronarie staranno ballando la samba!”

 ****

Il giorno prima Bacone era stato dal vicequestore (a cui non avrebbe mai perdonato di avergli appioppato quel pacco di Conci) per discutere di un vecchio caso seguito dallo stesso Pomelari quando ancora era commissario. Era qualcosa che riguardava Guarino Teti, detto Spadino per via del naso, un conte che tutti consideravano un gagà, ma che Bacone aveva conosciuto sotto un’altra luce.
Molti anni addietro era morta la donna che Spadino avrebbe dovuto sposare, proprio poco tempo prima del matrimonio e, dalle parole di una conversazione avuta al Libro-Caffè, Bacone si era fatto l’idea che quella morte non fosse stata proprio un incidente.
Pomelari era stato molto evasivo sull’argomento, con un discorso pieno di non ricordo, può essere; e quando Bacone aveva chiesto di poter effettuare qualche altra ricerca, il vicequestore aveva tagliato corto con un ormai il caso è chiuso.
Quest’atteggiamento di Pomelari non l’aveva messo sicuramente di buon umore e, per tutta la giornata non aveva fatto altro che prendersela con tutti. E meno male che Conci non era in sede, perché l’aria era proprio brutta. Tanto che anche Bellagamba aveva rinunciato ai suoi gorgheggi napoletani per tutto il pomeriggio.
E poi c’era quell’attesa, l’attesa del ritorno di Arturo Marcone dall’Irlanda o da dove diavolo si trovava in vacanza.
Altra giornata, perciò, questo sabato.
Gli uffici erano quasi vuoti, il personale al minimo, ma sapeva che Marika Garrone ci sarebbe stata, anche se poteva benissimo restarsene a casa. E ci sarebbe stata proprio perché quel sabato  sarebbe dovuto arrivare Marcone.
Bellagamba non c’era, mentre Geremicca era come sempre al suo posto, nella sua garritta, come la chiamava lui.
Approfittò della mattinata tranquilla per rivedere vecchi verbali, firmarne di nuovi, sbrigare tutte le formalità burocratiche accumulate durante la settimana.
Marika Garrone riuscì a trovare una scusa ogni cinque minuti per affacciarsi nell’ufficio del commissario e chiedere se c’erano novità su Marcone.
Alla fine Bacone le disse:
“Senti, telefonagli così ci togliamo il pensiero. Il numero ce l’hai.”
“E cosa gli dico?”
“In che senso?”
“Nel senso che gli racconto il fatto o l’invito solo a venire qui da noi?”
“Ma no! Non stare lì a fare tante chiacchiere! Gli dici che gli dobbiamo parlare per un controllo di routine. E poi magari la signora del piano di sopra gli ha già detto della nostra visita l’altro giorno.”
L’assistente Garrone lasciò l’ufficio di Bacone con un a gli ordini, capo! entusiasta e sparì per cinque minuti.
Quando Bacone disperava ormai di rivederla, eccola spuntare dalla porta e sedersi davanti la sua scrivania.
Il commissario prese a fissarla e rimase in attesa.
“C’è qualcosa che non va, commissario?” esordì la ragazza. “Qualcosa nell’uniforme? Sono spettinata?” chiese preoccupata, e così dicendo si passò una mano nei capelli corti e si stirò la piega dei pantaloni.
Allora, commissario, ho chiamato!... posso sedere?… Ah, sì, grazie… allora… “ fece Bacone imitando una voce femminile. “Bene, adesso che i preliminari sono stati fatti, dimmi pure. Hai trovato Arturo Marcone a casa?”
“Ma… pensavo che potevamo… ci siamo visti pochi minuti fa… “ farfugliò Marika.
“A volte non hai il senso della misura! Passi da un eccesso all’altro! Io non sono per le formalità, ma quando cominciano a darsi per scontate alcune cose, c’è il pericolo che alla fine non si rispettino più i ruoli.” Bacone non si stava scaldando, ma il suo tono era secco. “Tu sei intelligente, anzi molto intelligente, e io ti apprezzo per questo, abbiamo bisogno di persone come te! Ma noi non siamo una famiglia nel senso tradizionale del termine.”
“Ma io… non volevo mancare… “
“Quando alcuni colleghi mi dicono: nel mio commissariato siamo tutti una grande famiglia! Io penso subito che lì dentro non si capisce niente e che ognuno fa quello che gli pare. Perché alla fine è così che va a finire.” Prese un attimo di fiato. “Non si tratta di mancanza di rispetto, quella è altra cosa” e fece un segno col capo verso la scrivania di Conci, vuota. “A me piace che tutti si sentano amici, anche al di fuori del lavoro, ma alcuni punti fermi di convivenza ci devono essere. Non voglio che ogni volta bussi e aspetti che ti dica di parlare, ma quanto meno che la discussione inizi nel modo giusto. Bene, e ora dimmi qual è la notizia.”
Marika rimase senza fiato, senza sapere se quella del capo era una sfuriata, una considerazione un po’ accaldata o che.
Bacone insistette:
“La notizia?”
“Sì… la notizia… “La ragazza riprese coraggio. “La notizia è che ho rintracciato Marcone e sarà qui tra poco, sicuramente entro mezzogiorno. Penso di averlo tirato giù dal letto.”
“A quest’ora?” si stupì Bacone.
“Dice di essere tornato stanotte dall’Islanda… o dall’Irlanda non ho capito bene, aveva la voce impastata dal sonno… e quindi non aveva neanche visto la vicina di casa.”
“Bene” Bacone si appoggiò allo schienale della poltrona. “Non ci resta che aspettare. Ancora.”
Marika attese qualche istante. Poi si alzò e si avviò verso la porta. Stava per uscire quando rispuntò con la testa nella stanza e disse indicando col dito il corridoio:
“Posso… “
E Bacone fece il gesto del vai con la mano.
Ora bisognava attendere.

TIM

4 commenti:

  1. Ah, ci siamo...
    (n.b.: anche il mio crossover di Andrea Arcani per ora, tecnicamente parlando, non esiste ;-)

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    Risposte
    1. so che stai aspettando l'ultima puntata, per vedere se... . Ma c'è anche un'altra sorpresa per il finale! E poi dire "c'è l'ho tutto in testa" fa più scrittore maledetto che dire "vorrei... "!

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  2. Aspetto il finale . Sbaglio o hai utilizzato le mie considerazioni su Bacone e Marika per imbwstire questo piccolo siparietto?

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    Risposte
    1. In verità il testo lo scrivo sempre prima di cominciare a metterlo in lettura, quindi era così anche prima. La parte importante, almeno per me, di questo capitolo è il riferimento al dialogo col vicequestore, perché si riferisce ad una storia (lunga) che sto scrivendo e mi serve per creare una linea temporale tra tutti gli episodi, quelli brevi e quelli lunghi. Diciamo che sto imparando da Glauco!
      A domani col finale!

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