giovedì 15 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro

La mitica passa
pomodoro in ghisa
Qualche tempo fa avevo inviato un paio di racconti per la pubblicazione sulla Collana Gemini della Pyra Edizioni. Poi tutti sappiamo come la cosa si sia risolta (purtroppo per  Giuseppe) all'italiana!
Un racconto era quel Capello Liquido che era stato scelto per la pubblicazione, e che avete poi potuto leggere a puntate su questo blog. Il secondo non  ricordavo neanche di averlo inviato.
Dopo qualche tempo, quando la cosa era passata nel dimenticatoio, arriva una mail da Glauco, che ricorderete era il curatore della Collana, il quale mi dice che aveva avuto modo di leggere il racconto e che l'aveva trovato molto interessante. Il suo tono quasi entusiastico, mi convinse a ridare un'occhiata nuovamente al testo; perciò sono andato a bussare a casa (metaforicamente!) di Ariano, anch'egli come Glauco amico e scrittore, nonché mio editor storico, perché ci mettesse le sue manine fatate. E così è stato.
A distanza di qualche settimana sono qui a presentarvi, naturalmente a puntate, questo racconto che è stato scritto nello stesso periodo degli ultimi messi in lettura, quindi una decina di anni fa; lo capirete sicuramente da qualche riferimento di cronaca nel testo.
Una curiosità: nel precedente racconto, Capello liquido, ad un certo punto Enzo Ghezzi (uno dei due protagonisti, il cattivo per la precisione) fa riferimento ad un episodio accaduto qualche anno prima vicino casa sua, un fatto di cronaca che non era stato mai chiarito. Ebbene il riferimento era proprio alla storia narrata in questo racconto che state, speriamo, per leggere. Infatti Capello liquidoCapitan Alex  e questo La passata di pomodoro facevano parte nelle mie intenzioni di una trilogia che si svolge tutta nella mia città d'adozione. E non è detto che alla fine non riesca ad assemblare veramente un ebook con tutte e tre le storie.
Ma intanto, se vi va, eccovi la prima puntata di 


LA PASSATA DI POMODORO 
Certo veniva giù che era un piacere, non già per chi era ancora convinto che in agosto l’unica acqua ammessa era quella del mare, o al massimo quella della doccia. Questa invece, sì, veniva giù, ma dal cielo e in compagnia di un bel vento. E insieme facevano una cosa buffa: l’acqua rimbalzava sull’asfalto e sulle auto in sosta e il vento se la portava via immediatamente come poteva portarsi via la polvere e la terra.
Quest’estate era proprio strana, senza afa e ventilatori a tutto spiano, e persino mangiare un gelato o una granita passeggiando lungo il viale che porta alla stazione sembrava un azzardo da pieno inverno. Sì, qualche giornata di quasi caldo o almeno piacevolmente tiepida c’era stata, come quando ero stato a quel concerto di ska-reggae-e-non-so-che-altro nella piazzetta vecchia. Musica divertente, potrei osare dire persino ‘estiva’ (almeno quella!), come divertenti erano stati i ragazzi che avevano improvvisato un ballo lasciandosi trascinare dal ritmo dei suoni dei suoni.
Era stato divertente anche l’omino che era entrato nella piazzetta subito prima del concerto e si era fermato a parlare col chitarrista del gruppo – gli MT Bond e qualcosa. Pantaloni sotto il ginocchio, larghi e con una quantità di tasche difficile da conteggiare, scarpine basse (o forse erano sandali?), una maglietta arancione con la scritta in stile “Banda Bassotti”: 167-761. Dietro gli occhialini bianchi due occhi ormai persi in più di qualche birra. Dopo aver abbondantemente parlato e gesticolato col suddetto chitarrista, si era religiosamente ritirato ad aspettare l’inizio del concerto, chiuso nel suo quintale abbondante portato con dignità e incoronato da una barbetta rossiccia. Una mano in tasca e l’altra a tenere per il collo l’ennesima birrozza dalla bottiglia verde scuro. Ogni tanto qualche sorso ormai irrimediabilmente caldo. Alla prima scarica di batteria era partito al ritmo della musica, accompagnando a tratti colla bottiglia in bocca, in stile sax, il gruppo.
Poi, forse, aveva deciso che per quella sera avevano tutti goduto abbastanza del suo spettacolo, perciò aveva salutato i quattro punti cardinali inchinandosi ed era sparito in mezzo alla gente. 
Un tuono forte e lungo come la chitarra di B. B. King in “The thrill is gone” mi riportò sulla mia sedia a dondolo davanti alla televisione dove qualcuno stava avvisando con la stessa serietà di un proclama della Gestapo dei tempi andati, che a settembre sarebbe ricominciato quel programma in cui qualcuno, che per anni avevi pensato di esserti finalmente tolto di torno, ti vuole rompere nuovamente le scatole e perciò ti manda una lettera con un ‘postino’ dallo sguardo ebete accompagnato da due ‘postine’ con l’aria da massaggiatrici per soli uomini.
Conduce la solita raccomandata di turno con lo stesso sguardo ebete di cui sopra (forse è una caratteristica indispensabile) e dal corpo flessuoso come una sega circolare ferma da tre anni e bisognosa di una buona razione di olio lubrificante.
Era passata qualche settimana quando mi ritrovai all'improvviso davanti l’omino dello ska.
Stavo cercando di addolcire il sugo che friggeva nella padella, ma due cucchiai abbondanti di zucchero non avevano ancora fatto il loro effetto. La prospettiva per la mia pastasciutta d’ordinanza era unica e desolante: il sugo sarebbe finito nel water e al suo posto un casto olio unito ad un virtuoso parmigiano (il burro era ormai off limits per le mie vene).
Come faceva la mia Elisa, la mia amata all'infinito Elisa, a preparare quei sughi così buoni in pochi minuti? Era forse la cottura, il procedimento, il pomodoro? Propendevo certamente per l’ultima ipotesi, anche per non dover ammettere di non essere più capace di cucinare nemmeno due spaghetti al sugo. Dovevo imparare a fare da me la passata di pomodoro invece di buttare soldi in quei barattoli infernali che non sai mai quello che c’è dentro. Elisa passava delle ore, un paio di volte al mese, a preparare la passata che poi metteva da parte in bottiglie riciclate, rigorosamente scure, del vino. È che io non riuscivo a trovare più la macchinetta per passare i pomidori, quella grigia di ghisa col morsetto che agganciava al tavolo della cucina.
Avevamo comprato, in verità, ad una fiera di paese, un’altra passatutto in plastica, rossa e bianca, con la ventosa nera per attaccarsi a qualsiasi piano di lavoro. Ma questi aggeggi moderni sono solo trappole per ingenui allocchi, come amava dire Elisa, e dopo le prime passate la ventosa aveva cominciato a scivolare sul tavolo, il congegno ad uscire spesso dai cardini, e altri incidenti del genere. Risultato: macchinetta nuova in cantina e ritorno trionfale della grigia ma efficiente ghisa.
Alla radio intanto qualcuno dissertava sulla possibilità che gli americani invadessero nuovamente l’Iraq, dopo aver scartato l’ipotesi di occupare qualche altro stato a causa della cattiva stagione o delle troppe zanzare del luogo (ci vuol pure un motivo valido per uccidere o risparmiare un centinaio di migliaia di indifesi civili). E poi ormai erano in Afghanistan, a pochi chilometri di distanza, era da stupidi spostarsi di mille miglia per una piccola guerricciola in qualche sperduto paese sudamericano o africano: l’Iraq faceva decisamente più audience (visti anche i precedenti) e quindi era politicamente più conveniente, anche perché era più facile coinvolgere qualche paese europeo che smaniava per avere un bel nemico alle porte se non addirittura nei propri confini: le serpi in seno hanno sempre fatto effetto, se poi hanno la faccia del Bin Laden di turno, sono perfette per distrarre l’opinione pubblica…
Fra il sugo amaro e la faccia ghignante fintamente seriamente preoccupata di Bush (la vedevo riflessa nelle mattonelle sopra i fornelli), la giornata non si preannunciava per nulla piacevole.
Guardai verso l’orologio, ma fui preceduto dal segnale orario (gentilmente offerto dal riso Scotti che adesso produceva anche olio): erano le dieci e un minuto e niente andava bene.
Il giornale radio ripeté la promessa di Bush di estirpare il terrorismo dal mondo (i tempi dell’arrivano i nostri non passano mai!); dissertò di economia nazionale ed estera; poi fu la volta di qualche delitto insoluto su cui gli investigatori stavano comunque facendo progressi; infine i risultati di calcio della domenica. Niente sul presidente del consiglio: tenendo conto del suo faso tutto mi, la cosa mi sembrava strana e pensai con terrore che stesse preparando una rentreé alla grande per l’autunno.
Sul meteo, squillò il campanello della porta.

TIM


6 commenti:

  1. Continui coi racconti a puntate (e io ti sto imitando ;-)
    A che punto è il racconto con Bacone e... Tim Guerrini?

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    1. mi sono impantanato sull'incontro col personaggio... che sai tu. Non so da che parte prenderlo. È come quando si dice: ce l'ho tutto in testa, ma poi non sai come metterlo su carta! appena ci riesco te lo mando. comunque ancora un plauso per il tuo racconto: c'è lo smalto di sempre!

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  2. BVPNZT rompo se ti chiedo di mandarmi (al solito...) una versione pdf, word, o epub? :P
    Quest'anno mi faccio un bel pò di ferie in luglio e quindi approfitterò per recuperare una paccata (fa molto Fornero) di racconti di amici-de-blogghe! Grazie!

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  3. Abbiamo in comune la passione per la scrittura..solo io non ho ancora trovato il coraggio di pubblicare qualcosa di mio..complimenti a te, continuerò a leggere le tue storie!

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    1. grazie! e comunque non è questione di coraggio, ma di inconscenza!

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