mercoledì 21 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (IV)

Si comincia a capire
il senso di quest'oggetto,
ora?
E siamo alla quarta puntata. Rispetto l'ordine di un episodio ogni due giorni anche per non sovrappormi ad un altro (ottimo!) racconto a puntate, quello dell'amico Ariano, che vi consiglio vivamente: non ha niente a che fare con questo mio lavoretto; il suo racconto ha tutti gli ingredienti per restare indelebile nella mente di chi legge. È una cosa seria, insomma.

La passata di pomodoro
Conoscevo Rina da quando eravamo venuti ad abitare con Elisa in questa casa, più di 25 anni fa. A quel tempo tutto attorno c’erano solo giardini e un campo di granturco che d’estate ci regalava colori e profumi. Eravamo felici della nostra casa, orgogliosi di quei 95 mq. più cantina e box auto (che adesso ormai era diventata una dependance della cantina, da quando avevo venduto l’auto perché non riuscivo più a guidarla). Il giorno che andammo dal notaio a firmare il contratto d’acquisto Elisa era passata dal parrucchiere per farsi pettinare (cosa che faceva solo in grandi occasioni) e si era messa il vestito buono (anch’esso da grandi occasioni).
Rina fu la prima persona che incontrammo il giorno del trasloco e ci invitò a mangiare qualcosa alla sera a casa sua; e qui conoscemmo anche Piero, suo marito. Per più di vent’anni fummo inseparabili, finché il suo Piero e la mia Elisa ci lasciarono nel giro di due mesi l’uno dall’altra. Per lunghi anni soffrimmo entrambi, com’è naturale che sia, ma il Signore illuminò le nostre strade, mettendoci l’uno accanto all’altra negli stessi momenti e nelle stesse situazioni, e così (come dice Sheakspeare): “Quando nel dolore si hanno compagni che sanno condividerlo, l’animo può sopportare molte sofferenze”. E fu quello che sperimentammo.
Elisa era diventata la mia compagna un paio di anni prima, quando il mio capufficio mi aveva chiesto di iniziare ai segreti del lavoro una massa di riccioli neri con un largo sorriso sempre pronto a scattare agli angoli della bocca e ad un altrettanto largo paio di seni. Pur avendola sempre davanti, alla scrivania dirimpetto la mia, pur sentendo durante le otto ore e più il suo odore ogni volta che veniva a chiedere delucidazioni e spiegazioni chinandosi vicino a me o lasciandosi cadere sui talloni, mi accorsi di amarla solo quando in ufficio cominciarono a chiamarci ‘Romeo e Giulietta’. E così ringraziai quella decina di milioni di italiani che avevano qualche anno prima votato a favore del divorzio e misi fine ufficialmente ad una brutta storia precedente con una tizia da cui non avevo avuto niente e di cui è bene che abbia dimenticato anche il nome. Ci sposammo senza tante pompe e invitati, anche perché tra tutti e due non è che circolassero molti soldi. Trovammo però quelli per il mutuo che ci permise di acquistare la nostra casa.
E così torniamo a Rina. Adesso era alla mia porta, col suo gatto tra le gambe, e mi chiedeva se avevo bisogno di qualcosa al mercato.
“Entra un attimo che devo aver messo la lista per la spesa da qualche parte, così vedo quello che mi puoi portare.”
Rina e Davide entrarono insieme, Rina con la sua nuova pettinatura di capelli bianchi, Davide col suo incedere solenne, il suo pelo lungo e fulvo e la coda enorme alzata, come la bandiera dei carrellini per bambini nei supermercati, che ti dicono sempre: io sono qui.
Davide era un persiano stupendo, che Rina e Piero avevano trovato molti anni prima a girovagare in pieno agosto sul marciapiede deserto sotto casa. L’avevano preso con loro; avevano messo diversi annunci del ritrovamento sui lampioni della zona e, quando erano stati sicuri che nessuno poteva più venirlo a chiedere indietro, l’avevano definitivamente adottato, con tanto di medaglietta, vaccinazioni, ecc..
Il nome era venuto fuori dalle epiche lotte che Davide (che ancora si chiamava semplicemente ‘Gatto’) aveva fatto con Golia, un insulso cane nano di una coppia che abitava nel nostro condominio. Golia, altrimenti da tutti noi detto ‘Uffa’, a causa delle continue interiezioni lanciate dalla padrona al suo riguardo, aveva la caratteristica di miagolare in continuazione. E per noi vederlo portarsi a spasso i padroni era diventato come guardare le comiche di Sanlio e Ollio o Buster Keaton.
Appena Davide-Gatto aveva preso possesso del suo nuovo territorio erano naturalmente cominciate le lotte con quel cane che incontrava spesso in giardino o in giro per le scale. Devo dire che tutti, anche se in silenzio e in segreto, facevamo il tifo per lui.
Finché un giorno Davide-Gatto e Golia si incontrarono faccia a faccia, anzi muso a muso, da soli, nell’androne del palazzo. Chissà come Golia era riuscito a eludere la sorveglianza della sua mini padrona (una quarantenne ossigenata sul marroncino chiaro, alla perenne ricerca del colore di capelli che si avvicinasse di più a quello del pelo del suo cane, di un metro e mezzo scarso d’altezza, con l’aria perenne di chi ha da risolvere tutti i problemi del mondo e deve solo decidere quando cominciare) e si era trovato a mettere le zampe fuori di casa.
Fu così che Davide–Gatto l’incontrò e si sentì addosso la responsabilità di tutti i gatti del mondo che devono vendicarsi delle angherie subite da parte di tutti i cani del mondo. Senza dare il tempo a Golia di riflettere gli assestò una zampata sul naso che lo fece barcollare per un attimo, più sorpreso e colpito nell’orgoglio che nel corpo. Golia (memore di essere lontano parente di dobermann, come diceva la sua mini padrona) reagì abbastanza immediatamente, dapprima abbaiando per ristabilire le distanze, poi passando all’attacco.
Ma Davide–Gatto aveva già salito quattro gradini della scala, mettendosi in posizione strategica di controllo della situazione. Da qui cominciò a gonfiare il pelo e a emettere grida di guerra, finché non spiccò un balzo che lo portò ad atterrare su Golia, il quale cadde di lato cercando di addentare Davide–Gatto sul collo.
Furono momenti di guaiti, miagolii e lamenti di dolore, abbai, scatafascio di portaombrelli abbattuti dalla furia cieca della lotta tra i due. Qualcuno uscì dalla porta e si portò sul luogo da cui provenivano i rumori di battaglia.
Il tutto durò un paio di minuti, forse anche di meno, ma alla fine, in un estremo urlo di dolore – terrore (Davide–Gatto l’aveva artigliato nelle parti basse, lì dove pur trattandosi di una animale, fa un male… cane) Golia con uno scatto alla Carl Lewis, scappò lontano, tanto lontano che non lo si vide più in giro. Da quel giorno, per tutti, Gatto prese il nome di Davide e così rimase.
Entrammo in cucina e:
“Ecco la lista della spesa, vedi tu se c’è qualcosa che mi puoi prendere al mercatino. Se poi trovi qualche altra cosa di buono, prendila pure”.
Ma qui successe qualcosa che ha dell’incredibile: anche il Gatto, che pur si era conquistato il suo nome nuovo sul campo dopo la battaglia con Golia, come vi ho or ora raccontato, anche Davide, dicevo, capitolò davanti alla POMO SPLAT.
Anzi capitombolò.
Come sempre quando la sua padrona veniva a farmi visita, Davide era intento al suo giro d’ispezione per la casa, per controllare che tutto fosse in ordine. Passate in rassegna cucina, camera da letto e bagno, si era avviato col suo incedere da sceriffo cosciente dei suoi mezzi e della sua autorità verso il tinello.
Lo guardammo varcare la porta con un sorriso di complicità; poi accompagnai Rina all’uscio: come spesso accadeva, Davide sarebbe rimasto con me fino al rientro della padrona. E proprio mentre Rina stava per uscire sentimmo un ronfo e poi un miagolio insistente, prolungato, quasi un ringhio canino.

4 commenti:

  1. Ok.
    Stasera mi rileggo le puntate e ti "criticherò" su tutto il racconto.

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  2. critica, critica, che la critica è l'anima della scrittura! manca ancora una parte (non so se ne farò una o due puntate) ma ormai i giochi sono scoperti e il finale è vicino.

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  3. É rimasto invariato o hai fatto qualche modifica? (beh, presumo che dovrò attendere l'ultimo post...)

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    Risposte
    1. invariato. in tutto, anche nel finale. ho pensato che essendo un racconto in qualche mondo fantasy, anche quello che c'era poteva andare.

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