venerdì 23 marzo 2012

Racconto a puntate: La passata di pomodoro (V- fine)

adesso è chiaro
a cosa serve?
Ultima puntata. Ce l'abbiamo fatta! La storia dovrebbe acquistare di significato. Il condizionale è d'obbligo (come si suol dire!) perché in effetti è piena di stranezze, non solo narrative ma anche letterarie. Nel senso che il linguaggio (lo vedo da solo, non me lo rinfacciate!) è abbastanza involuto nel complesso e magari le frasi sono troppo lunghe. Non date la colpa all'editor che ha lavorato, come sempre, al meglio; ma quando manca la materia prima, c'è poco da fare!
Solo un'osservazione prima di lasciarvi alla lettura. Osservazione, anzi risposta, che è rivolta più che altro ad Ariano  e Glauco, i quali mi avevano messo sull'avviso: il finale va riscritto, perché non è possibile che una storia termini... così. È letterariamente e umanamente impossibile. E hanno anche ragione. Ma io ho pensato: in fondo è una storia fantastica, perché non può finire in questo modo?
E comunque, fatemi sapere il vostro parere anche per questo aspetto, se vi va.
Ed ora, buona lettura!



La passata di pomodoro
Davide era acquattato davanti l’anta del mobile basso e aveva cominciato a fissarla, come pronto a scattare al minimo movimento. Ma né l’anta, né tantomeno il mobile certamente si sarebbero mossi.
Evidentemente c’era qualche altra cosa.
Rina mi fissò tra l’incredulo e l’interrogativo. Mi distrassi un attimo perché per strada  stava passando 
lentamente un'auto e il riflesso del sole sulla carrozzeria metallizzata mi aveva colpito la coda dell’occhio: non ci giurerei, ma mi sembrò di riconoscere la Rover del ’90 dell’omino dello ska. 
Fu questione di un istante: Davide balzò con il suo grido da battaglia contro il mobile, ma arrivato a pochi centimetri dall’anta che era il suo bersaglio, fu come respinto, come se avesse urtato contro una parete invisibile di gomma.
Il gatto volò letteralmente sulla poltrona che si trovava sotto la finestra, rimase qualche secondo interdetto, più stupito che colpito (proprio come Golia aveva fatto con lui), poi scivolò giù e cadde sul pavimento. Ristette come morto.
Rina corse a vedere, urtò con un ginocchio contro il tavolo e fece quasi volare via una sedia. Si chinò su Davide per prenderlo, ma lui sollevò lentamente la testa e la guardò con gli occhi di chi ha passato un brutto momento e ha bisogno di comprensione e coccole. Rina lo prese in braccio.
“Cos’è stato?” mi chiese.
Non lo sapevo, veramente, né l’immaginavo. Già era difficile credere a quello che avevamo visto, pensiamo cosa poteva essere capire.
Mi balenò in mente la scena di Villi che cade, anche lui come colpito da un forza invisibile, dopo essere passato sulla macchinetta per il pomodoro.
E rividi anche in un flash – back quell’attimo in cui mi era sembrato, anche quella volta, di aver notato il riflesso di un’auto metallizzata passare per strada.
Per quanto sembrava impossibile, dovetti mettere insieme le due cose: in un mondo razionale due più due deve fare quattro.
Andai verso il mobile, aprii l’anta e… la POMO SPLAT era lì, dove l’avevo riposta l’ultima volta che l’avevo usata.
La ghisa dava un impatto visivo di pieno, solido, ma c’era di più in quella macchinetta, l’avevo notato sin dalla prima volta: sembrava che ti guardasse. Era li, nella sua scatola aperta e pareva fissarci come da un letto di riposo: Toh, guarda chi si rivede, state bene? Tutto a posto? È successo qualcosa? sembrava dire sorridendo beffarda.
Richiusi l’anta.
“Perché hai aperto quello sportello?” chiese Rina.
“Non lo so, forse perché Davide stava saltando verso quel punto” era inutile dirle tutto quello che mi passava per la testa, anche perché avrebbe pensato, forse a ragione, che la mia arteriosclerosi avesse preso a galoppare a mille.
Rina continuava a carezzare Davide e lo cullava come fosse un bambino. Dovette ripassare davanti al mobile per uscire dalla stanza e il gatto gettò di nuovo un flebile miagolio facendo la mossa di stringersi ancora di più contro la padrona.
La cosa finì lì e né io né Rina ne parlammo più.
Il lunedì successivo mi alzai con l’intenzione di preparare una bella passata per tutta la settimana: il sabato Rina mi aveva fatto la scorta di pomodori per salsa e avevo deciso tra l’altro di ricambiarla con qualche bottiglia di conserva fresca. Eppure avevo quasi perso l’entusiasmo iniziale, non perché non mi piacesse il gusto del sugo fatto con quella macchinetta, ma perché ogni volta che per un qualche motivo entrava in ballo lei, succedevano cose quantomeno illogiche.
Già l’apertura dello sportello del mobile dove era custodita mi riservò una sorpresa: accanto alla scatola c’erano una decina di animaletti morti. Per un vecchio mobile non era poi così strano: non è inusuale trovare piccole tarme o moscerini privi di vita sugli scaffali; lo strano era che si trovavano tutti ammucchiati vicino la scatola e tutti sembravano non solo morti, ma anche spappolati, quasi macinati, anzi proprio triturati, e senza un goccio di sangue o altro liquido che fosse.
Per un attimo ebbi quasi paura di prendere la POMO SPLAT, poi mi diedi dello stupido e mi dissi che ci dovesse essere un qualche motivo che giustificava il fatto e che io non conoscevo; ma questo non voleva dire che la cosa non fosse perfettamente normale: evidentemente stavo proprio invecchiando.
Fissai la macchinetta al tavolo con i suoi bei morsetti.
All’improvviso mi ricordai che erano due giorni che non facevo uscire Villi dalla gabbia e lo liberai. Mentre aprivo la porticina ebbi come un presentimento che mi fece esitare un attimo, una premonizione, quasi una paura. Ma Villi era già in volo per la stanza, libero e felice.
Tornai in cucina, andai al lavandino dove avevo messo i pomodori a lavare e presi a strofinarli uno per uno sotto l’acqua corrente. Villi mi passò accanto, sfiorandomi con le ali, come soleva fare per ringraziarmi ogni volta che lo liberavo. D’istinto mi girai verso la finestra e vidi distintamente passare la Rover dell’omino dello ska; mi parve anzi addirittura che lo stesso omino guardasse verso di me e mi salutasse con la mano.
Nello stesso istante sentii uno strano rumore proveniente dal tavolo dietro di me, accompagnato da un urlo di terrore quasi umano.
Mi voltai di scatto e la POMO SPLAT stava triturando Villi. Potevo vedere nitidamente l’ala del mio cardellino che finiva di entrare nell’ingranaggio della macchinetta, la manovella muoversi da sola e dalla bocca dell’oggetto uscire quel che restava dell’uccellino che mi aveva tenuto compagnia per tanti anni.
Villi (o meglio: la poltiglia informe che era stato Villi) era lì, per terra, e senza che ci fosse una goccia di sangue sopra o nelle vicinanze.
Mi avvicinai al tavolo.
La POMO SPLAT si era fermata e sembrava guardarmi soddisfatta, se era possibile con aria di sfida, con la manovella che dondolava leggermente.
La mia testa era entrata in stallo, incapace non solo di riflettere su ciò che i miei occhi avevano appena visto, ma anche semplicemente di pensare a qualsiasi cosa.
Allungai una mano verso di lei, più per sincerarmi che quello che avevo davanti fosse davvero un oggetto inanimato e non un essere vivente di qualunque tipo. La manovella fece un mezzo giro come per prendere la rincorsa, poi cominciò a girare lentamente e regolarmente e solo allora mi accorsi che la mia mano destra era finita nel suo meccanismo che… stava mandando giù le mie dita, poi la mano… ora aveva cominciato col polso. Ma porca miseria… mi stava ingoiando!
Siete sicuri che anche questo sia un modo come un altro per morire?




TIM

2 commenti:

  1. Per quanto mi riguarda, non ho mai trovato illogico il finale, nel senso che per aggirare il discorso della logica basterebbe dire: "Il protagonista NON è ancora morto, sta morendo, perciò ha il tempo di raccontare la sua storia".
    La mia era più una curiosità su chi fosse il misterioso omino venditore porta a porta, e quale lo scopo di questa terrificante pressa.

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    Risposte
    1. Non so chi fosse l'omino (storicamente è un mio ex collega di lavoro), né che senso abbia la macchinetta. ho voluto solo raccontare una storia tra l'horror e il fantastico, dove le cose prendono vita e manifestano un mondo nient'affatto rassicurante. Non ho parlato di 'illogicità', ma di impossibilità a che la storia potesse finire così, col protagonista che muore in diretta. A quei tempi scrivevo racconti dove la fantasia riusciva a volare e ad immaginare situazioni tra il grottesco (Capitan Alex...) e il macabro (La passata...) e non mi preoccupavo di dargli un senso o di restare nei canoni della scrittura, della logica, ecc.. Scrivevo e basta. E mi piacerebbe poter tornare a farlo.

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