Stavo rileggendo alcuni vecchi post di questo blog, e mi è capitato di ritrovare un brano di Clifford Simak, tratto da 'L'anello intorno al sole', che mi sembra calzare bene per le discussioni nate in questi ultimi giorni su diversi blog amici (quelli che trovate nella famosa bandella laterale, come la chiamo io) e che cercano di leggere -ognuno dal proprio punto di vista- la situazione sociale e politica in cui ci troviamo. Ho pensato di riproporvelo, così com'è, senza alcun commento, perché qualsiasi altra parola da parte mia potrebbe solo rovinare la bellezza e la profondità del testo. Buona lettura.
E allora Vickers comprese che persino lì, nel cuore della nazione, tra le fattorie e i piccoli villaggi e nei ristoranti sui bordi della strada, ribolliva l’odio. E questo, si disse, dava la misura della cultura edificata sulla terra … una cultura fondata sull’odio e su un orgoglio terribile e sul sospetto verso tutti coloro che non parlavano la stessa lingua, non mangiavano lo stesso cibo o non si vestivano allo stesso modo. Era una cultura meccanica e sghemba di macchine sferraglianti, un mondo tecnologico che poteva fornire comodità animalesche, ma non la giustizia umana e neppure la sicurezza. Era una cultura che aveva lavorato i metalli, manipolato l’atomo, domato le sostanze chimiche, e aveva costruito utensilie strumenti complicati e pericolosi. Aveva concentrato la propria attenzione sugli aspetti tecnologici, ignorando quelli sociologici, e così l’uomo poteva premere un bottone e distruggere una città lontana senza neppure conoscere la vita e le abitudini né i pensieri e le speranze e le convinzioni delle persone che aveva ucciso. Sotto la superficie lucida si poteva udire il rombo minaccioso delle macchine, e gli ingranaggi e i pignoni, la cinghia di trasmissione, il generatore, senza il lievito della comprensione umana, erano le avanguardie del disastro.
E buon ascolto.TIM
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