giovedì 13 ottobre 2011

Spike you like your mother

Voi lo sapete: io di inglese non ci capisco una mazza.
E allora, mi direte, com'è che impiastri un titolo in una specie di inglese che chissà cosa vuol dire?
Io lo so cosa vuol dire. Era un modo di dire di quando ero bambino e si affibbiava a tutti quelli perfettini come me che si esprimevano in italiano invece che in dialetto. E voleva dire (tradotto dal calabro all'italiano): parla come ti ha fatto tua madre.
Ecco questa considerazione nasce, indirettamente, dall'ultimo post, quello con l'intervista a Zwe. (Piccola parentesi: in due giorni il pezzo mi ha portato, finora, più di 250 contatti! Un record per il mio garage!)
Torniamo all argomento di oggi. Avete notato i corsivi nel periodo tra parentesi? Ecco l'argomento è proprio quello: l'inglese nella nostra scrittura e nella nostra vita quotidiana.
Ho notato che i commenti ricevuti finora e quelli presenti nel blog di Zwe sono zeppi di termini e modi di dire inglese. Per carità, probabilmente sono ormai entrati nella lingua parlata di tutti e io sono l'unico ad esserne tagliato fuori, ma a me da fastidio. Non tanto il fatto di non capire quello che si dice (che poi magari sono cosa anche spiritose!), ma che per comunicare tra noi italiani usiamo termini che non sono della nostra lingua.
Posso capire i termini tecnici, mutuati direttamente e sin dall'inizio da altre lingue (come possiamo tradurre post? e record? ma già autorimessa potrebbe tranquillamente sostituire garage). Ma non capisco altre espressioni (e non parlo quindi solo di singole parole) che potrebbero avere normalmente un corrispondente italiano.
So che sicuramente qualcuno di voi se ne uscirà dicendomi: Uhe, testina, aggiornati! (immaginatelo pronunciato con inflessione alla Tino Scotti), e infatti lo sto facendo. Ho acquistato il mio bravo corso di inglese DeAgostini da 9 euro e 90 e pian piano ho cominciato la prima lezione.
Ma sta di fatto che l'uso di un idioma straniero dove non strettamente necessario mi da fastidio. Ok?
L'autarchia lessicale (si può dire così?) non deve per forza ricordare i tempi di quando c'era lui, anche perché sono 17 anni che c'è ancora lui (eh, i corsi e ricorsi storici!), ma può aiutarci a non perdere e disperdere la nostra lingua, complessa e complicata forse ma meravigliosa. E' lo stesso discorso che si fa a proposito dei dialetti: perdere una parlata locale significa far morire pian piano quella cultura, quelle tradizioni, ecc..
L'italiano, come il greco e, in certa parte, il latino, ha un'espresione per ogni cosa, per ogni sfumatura, sia nella descrizione degli oggetti che nel racconto delle azioni. Perché perdere questa ricchezza? Perché appiattire il nostro linguaggio? Anche perché, perdere un modo di esprimere una situazione, alla fine ci porterà a perdere la possibilità stessa di compierla coscientemente, quell'azione. Se parlare di qualcosa significa aver identificato l'oggetto, averlo compreso nella sua unità e unicità e saperlo perciò descrivere, arrivare invece a usare una stessa e sola espressione per esprimere cose diverse impoverisce non solo il linguaggio, ma la mia vita, il mio modo di rapportarmi al mondo, interiore ed esteriore.
Mi direte che esagero, che le cose non stanno così, che devo aprirmi al futuro, che bisogna abbandonare i provincialismi. Dite quello che volete.
Per me è meglio il "cazzone" dell'anonimo deficiente che il "WP rulez" o il "thumb down"; almeno, quello, so che vuol dire! Almeno, quello, è detto nella lingua di mia madre!

TIM

8 commenti:

  1. Sono d'accordo a metà, nel senso che reputo l'italiano una lingua meravigliosa - e di certo molto superiore allo sterile inglese - ma riconosco che tantissime parole sono ormai entrate nel vocabolario comune, che lo si voglia o meno. Mi danno fastidio se vengono usate solo per farsi vedere "superiori", della serie: ma quanto sono figo che parlo english.

    Poi, con gli studi che faccio (ingegneria) l'inglese è di casa, ovviamente, ma stiamo parlando di inglese tecnico. A questo proposito voglio raccontarti un episodio che è capitato il semestre scorso. Nell'ambito di un esame il professore ha invitato un suo ex-studente, ora ingegnere alla Siemens, per tenerci un breve seminario. Ovviamente l'invitato - sardo trapiantato in Germania per la Siemens - ha parlato in italiano, ma si sentiva che abitualmente parla in inglese. In certi punti si fermava, incapace di trovare le parole italiane perché gli venivano solo quelle inglesi. Certo, è un episodio estremo, nel senso che quel ragazzo ora è abituato a parlare solo inglese, però insomma, dà da pensare. :)

    Ciao,
    Gianluca

    RispondiElimina
  2. @ Gianluca: mi hai preceduto di un attimo perché stavo per commentare sul tuo blog! comunque il mio ragionamento era, come sempre faccio io, al limite, quasi una provocazione. Resta però il mio disagio di fondo quando leggo e sento espressioni non italiane laddove ci sarebbe stata benissimo una parola nella nostra lingua. L'episodio che hai raccontato penso sia anch'esso un estremo (visto che la persona ormai vive in germania e parla sempre inglese), ma ci dice che lontano dalle radici si finisce per distaccarsene un po'. Ho l'esempio di interi paesi nella zona della Brianza abitati ormai per la maggior parte da calabresi, i quali parlano esclusivamente il proprio dialetto e che celebrano addirittura la festa patronale della zona d'origine con la stessa sfarzosità con cui la farebbero al loro paese.

    RispondiElimina
  3. Da ex studente di lingue e letterature straniere, come prima cosa suggerisco una modifica in "speak as your mother does" ;-)
    Riguardo la questione dell'anglofilia inutile, trovo che in effetti sia strano usare parole inglesi senza poi saperlo parlare in modo utile quando serve davvero (quando mi capita di parlare in inglese con degli stranieri, la prima cosa che mi dicono tutti è: "un italiano che parla inglese! É curioso, in genere gli italiani non conoscono l'inglese!")
    Penso sia dovuto alla maggiore influenza della tecnologia e della cultura anglosassone nel mondo occidentale. Anche in Francia c'è chi si lamenta per l'uso eccessivo di anglicismi, e là sono molto nazionalisti come sai, e infatti coniano subito un francesismo per eliminare l'intruso inglese (sono arrivati a chiamare "jeu decisif" il tie break del tennis, unico paese al mondo dove la parola tie break non viene utilizzata...)

    RispondiElimina
  4. @ Ariano: la frase inziale è così proprio perché si tratta di un inglese, per così dire, maccheronico, quasi letterale. E poi ti parlo di 40 anni fa! Capisco che, spesso, gli inglesismi velocizzino il discorso, perché hanno riferimenti specifici a uno stile di vita magari diverso; il tutto è ormai diventato un gergo da clan (clan? ahiahiahi!). E forse proprio questo da' da pensare che gruppi di persone sentano il bisogno di crearsi un linguaggio proprio per riconoscersi. Ma perché allora non farlo usando l'italiano? o proprio il dialetto? Ah, se mi sentisse Bossi!

    RispondiElimina
  5. L'Italia come ben sai è sempre stato un paese fintamente esterofilo, voglio dire l'esempio di Ariano è calzante,:non sappiamo parlare inglese (o francese o tedesco...) ma importiamo tutte le peggiori abitudini di quei paesi, poi dopo ci sciacquiamo la bocca con espressioni gergali tanto per darci un tono. Probabilmente è solo un'altra delle tante declinazioni del nostro eterno provincialismo.
    Del resto hai mai visto un altro popolo che non ha mai voglia di migliorarsi come il nostro?

    RispondiElimina
  6. Avendo amici che vivono all'estero, mi trovo spesso a dover scrivere in inglese. Non mi trovo a disagio di fronte a chi, l'inglese, lo usa per "rapidità". Però storco il naso di fronte agli italiani che credono di conoscere l'inglese sputando parole a casaccio... oppure a citazioni come quella che fai tu nel post "thumb down"... che in realtà fa parte della nostra storia e cultura... il pollice verso arriva dai Romani, e allora perché tradurlo, a quale scopo? Perché fa Figo!

    Mannaggia agli italiani esterofili. Ciò che viene da casa nostra dev'essere sempre peggiore di quello che viene da fuori.

    A ogni modo penso che non si debba temere le altre lingue, queste non cancelleranno mai la nostra, né la renderanno meno ricca. Piuttosto bisognerebbe impegnarsi un po' di più a dare una migliore conoscenza di essa, nelle scuole... che già quando ci andavo io, l'italiano era davvero bistrattato! :/

    RispondiElimina
  7. Io, come Gloutchov, ho diversi amici all'estero con cui parlo (ma soprattutto scrivo) in inglese. Capita, alcune giornate che magari ho chattato due ore con uno di loro, che, se poi devo dire o scrivere qualcosa in italiano, mi vengono i termini in inglese.
    Ed è una strana sensazione perché sono ovviamente italian e amo la nostra lingua (anche se adoro l'inglese).
    Ogni tanto ho pure scritto qualche post in italiano e in inglese, ma perché mi piaceva l'idea che i miei amici potessero leggere un po' del mio blog, non perché fa figo! :)

    RispondiElimina
  8. @ Fra: naturalmente io non ce l'ho con chi parla un'altra lingua (anzi lo invidio!), ma con chi pensa di essere 'figo' (per usare un termine che è ricorso spesso in questi commenti) se dice che una cosa è 'trendy' o 'very nice' solo per dire che le piace; o se scrive 'thumb down' per dire che le fa schifo.

    RispondiElimina

fatti sentire

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...