venerdì 16 dicembre 2011

Racconto a puntate VI°

Ci avviciniamo alla fine della storia, con Capitan Alex che pian piano sta prendendo possesso del nostro eroe. E bisogna fare qualcosa in fretta. Già, ma cosa? Al mio alter ego viene un'idea.
Sesta puntata di

Capitan Alex e i giochetti di Remigio
Senza starci a pensare due volte spensi la luce; quella voce mi aveva riempito la testa già abbastanza e, se era vero quello che mi aveva appena detto, non mi restava molto tempo per organizzare una strategia di sopravvivenza. Finché potevo, dovevo cercare di fare qualcosa, prima che la mia volontà fosse completamente messa da parte in qualche posto oscuro e nascosto del mio corpo. Finché potevo dovevo… fare qualcosa, qualunque cosa.
Anzitutto dovevo evitare di passare davanti a qualsiasi specchio ci fosse in casa; anzi se potevo dovevo proprio eliminarli. Sapevo che questo era solo un rimedio apparente, ma almeno riuscivo a non perdere tempo stando a sentire le tirate di Capitan Alex ogni volta che sbucava fuori, a non farmi prendere dall’angoscia ancor più di quanto non ne avessi.
Si, certo potevo distruggere tutti gli specchi di casa mia, ma gli altri? Potevo forse dissolvere nel nulla ogni cosa che nel mondo era capace di riflettere la mia immagine? E se passavo davanti ad una vetrina a specchio che facevo? Andavo in giro con le tasche piene di mattoni sempre pronti all’uso? E poi, anche se avessi distrutto gli specchi e tutto il resto, avevo risolto il problema di quella cosa che si stava impadronendo del mio corpo, della mia anima, di tutta la mia vita?
Stavo uscendo fuori di testa. Praticamente non c’erano soluzioni, almeno stando a quello che aveva detto Alex.
Oddio, una soluzione c’era. Drastica, ma c’era. Potevo sempre licenziarmi in tronco e definitivamente dal mio ruolo di essere umano più o meno pensante e così sbattere fuori anche lui di nuovo nell’infinito.
“Non ci provare o me la pagherai! Io non torno a svolazzare per il nulla per qualche altro secolo” sentii urlare dentro di me una voce, e non era difficile capire di chi fosse.
“Fai silenzio” sbraitai a mia volta senza proferire parola.
Se pure, come voleva Remigio, io avessi cambiato vita, mi fossi dato una mossa per usare il linguaggio del mio amico, avrei impedito che l’evoluzione di Capitan Alex andasse avanti? Sicuramente no, anche perché lui era lì proprio per quello: fare di me un viveur a sua immagine e somiglianza. Anzi, gli avrei anche fatto un piacere. E allora?
Bene, dovevo darmi da fare seriamente se volevo uscire da questa situazione. E allora punto e a capo.
Punto e a capo.
Punto e…
Punto! Certo, come non avevo fatto a non pensarci subito! La soluzione era a portata di mano, anzi di balcone!
Si, perché Punto era il gatto dei nostri vicini, che passava tutte le giornate sula veranda ad ammirare la varia umanità che transitava per la strada e quella, come me, che spuntava dai balconi. Non è che Punto fosse il suo nome, non sapevo come si chiamava, ma era identico ad un gatto che avevo avuto molti anni prima e a cui avevo dato quel nome perché appena nato era un batuffolo di pelo nero. Si diventa stupidi quando ci si scopre romantici! E anche Punto era stupido, il più stupido della compagnia, si faceva sempre fregare i migliori bocconi dalla comitiva degli altri gatti del vicinato, e forse per questo io ci ero affezionato. Quando ero andato ad abitare nella mia nuova casa, quella dai mattoni rossi e il giardino verde, Punto, quello della vicina, era stato il primo essere vivente che mi avesse degnato di un’attenzione. Magari interessato (una scatoletta di tonno vuota da leccare non si nega a nessun gatto) ma il suo era stato pur sempre uno sguardo dato con considerazione.
Dovevo architettare un piano, fattibile e sicuro; anche se in questa storia, come avrete capito, di sicuro non c’è proprio niente, visto che la realtà sembra essersi presa un periodo di riposo prolungato.
Ma soprattutto dovevo evitare che Capitan Alex percepisse qualcosa. Il che era alquanto complicato, visto che poteva leggere tranquillamente dentro di me. Perciò dovevo aggirare l’ostacolo.
Decisi di sfruttare la sua, diciamo così, propensione per le donne.
E così uscii a fare una passeggiata. Appena ebbi a tiro una bella ragazza cominciai a fissarla, col pericolo di essere preso per un maniaco; ma dovevo rischiare. Non che fosse difficile trovarne una all’altezza da dare in pasto al Capitano. Non so se avete notato, ragazzi, che il livello di qualità della gioventù femminile oggigiorno, è decisamente salito. O almeno sono diminuite le misure dei loro abbigliamenti, il che in certi casi non guasta per niente. Tuttavia ero li per risolvere un grave problema personale, come dire per lavoro, perciò i miei sguardi erano più che giustificati, e al di sopra di ogni sospetto. Sentii immediatamente che Capitan Alex partiva in quarta: percepivo chiaramente dentro di me i suoi fischi di compiacimento, i suoi ammiccamenti e persino le sue fantasie. Certo che doveva essere un bello sporcaccione davvero!
Ero comunque riuscito ad allontanare la sua attenzione dai miei pensieri. C’erano momenti in cui capivo che la concentrazione del Capitano andava scemando, perciò ero costretto a tornare a fissare qualche bellezza locale. E la faccenda si ripeteva.
Dopo un po’ il nostro amico si rese addirittura autonomo e prese a scegliere da solo le sue muse ispiratrici. So che non ci crederete, ma riuscì a interessarsi anche ad un noto travestito che stava sorseggiando un caffè in un bar in compagnia dell’Assessore alla Cultura (che, quindi, in qualche modo era sicuramente coinvolto nella collocazione della statua del riso che abbiamo incontrato all’inizio di questa storia). Vi rendete conto adesso in mano a chi ero andato a finire?
Ma questa diversione mi dette il tempo di elaborare il piano. Era certamente rischioso, sia per la dinamica in sé, sia perché se non avesse avuto successo sarei rimasto in balia di un Capitan Alex molto ma molto arrabbiato. Restava da scegliere il momento, che doveva essere né molto lontano (per non far procedere troppo irreversibilmente la metamorfosi), né troppo vicino (per non far sorgere dei sospetti).
Nei giorni che seguirono cercai di rabbonirlo e blandirlo il più possibile, arrivando a mangiare persino cose per me disgustose come le rane fritte e la carne di cavallo di cui, mi aveva fatto sapere, lui era invece molto ghiotto.
Arriviamo così ad una sera in cui mi era sembrato molto disponibile e pareva aver abbassato di molto le sue difese nei miei confronti.
Mi stavo vestendo intenzionato ad uscire per fare, ufficialmente, un giretto in macchina.
“Che fai?” mi chiese.
“Stasera si esce” gli risposi.
( ... continua .. )

Ancora un po' e, in un modo o nell'altro, tutto si risolverà. Accetto scommesse!
Alla prossima e ultima puntata!

TIM

3 commenti:

  1. Ecco, questa è una direzione interessante. Il pezzo sull'assessore me ne fa venire in mente un paio veri.

    RispondiElimina
  2. Cavoli, la prossima è l'ultima quindi... :O Non vedo l'ora di capire qual è il famoso piano!

    RispondiElimina
  3. @ Angelo: il monumento al riso è vero! è stato in effetti spostato in altro luogo dopo la protesta della gente. Dell'assessore non so...
    @ Gianluca: spero che anche l'idea del piano sia in linea col resto del racconto.

    RispondiElimina

fatti sentire

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...