sabato 4 febbraio 2012

Racconto a puntate: Capello Liquido (V)

Beh, vediamo di ricapitolare.
Enzo, il cattivo, fa una rapina dove ci scappa il morto, anzi due, visto che alla fine prima di fuggire dalla banca uccide il suo compare ferito. Dopo una fuga in moto e il ritorno a casa, viene però arrestato dalla pula, che lo scopre proprio grazie al numero di targa di Priscilla, il suo bolide a due ruote.
Mario, il buono, è alle prese con un problema... tricotico e chiede disperato al suo barbiere di fiducia (ma non troppo!) una soluzione alla caduta dei capelli. Pino, il coiffer, gli parla di un nuovo preparato: il capello liquido.
Fin qui due storie a sé stanti e che si svolgono in due momenti diversi: se ancora non avete fatto caso (ma qui è la parte importante di tutta la storia!) quella di Mario si svolge dopo quella di Enzo e questo fa una bella differenza ai fini del contenuto!
Ma adesso si comincia già ad intuire qualcosa, visto che...

Capello Liquido
3.10.2001
Pino, il barbiere, non aveva lo shampoo al capello liquido perché il rappresentante non era ancora passato quel mese e non aveva potuto farne l’ordinazione; perciò suggerì a Mario un negozio proprio vicino al suo ufficio.
Mario era un discreto contabile e da circa vent’anni lavorava in un’agenzia per il disbrigo di pratiche di ogni tipo.
Era il più anziano del gruppo, ma anche un po’ il fantozzi della situazione (in ogni ufficio si assume sempre un tipo del genere dopo l’uscita dei libri di Villaggio), non perché fosse imbranato, questo no, ma perché non era mai capace di esser scortese, di rifiutarsi di coprire qualche mancanza dei colleghi, di fare il loro lavoro se questi avevano bisogno di uscire prima o arrivare più tardi o semplicemente non avevano voglia di farlo. D’altra parte Mario non era sposato e poteva gestirsi la vita come voleva.
Aveva acquistato lo shampoo un paio di giorni dopo il consiglio del barbiere e aveva cominciato a usarlo da subito. Ogni mattino lavava i capelli prima di andare a lavoro, e come succede sempre quando qualcosa riguarda noi stessi o le persone vicine, all’inizio non aveva notato alcun cambiamento. Finché un giorno di qualche settimana dopo, il giornalaio gli aveva fatto i complimenti per i suoi capelli che sembravano essere resuscitati; aveva detto proprio così: resuscitati. Mario ebbe come un colpo e quasi corse fino all’angolo dell’isolato dove c’era una vetrina a specchio in cui potersi guardare.
Era vero: quel cranio che aveva davanti, e che era innegabilmente il suo, si stava coprendo nuovamente di capelli, le zone scoperte erano sempre meno evidenti.
Doveva avere uno sguardo estasiato o per lo meno strano se una donna con un bimbetto per mano, passando vicino, gli diede un’occhiata perplessa e accelerò il passo.
Era tentato di tornare a casa e confrontare il Mario che adesso vedeva nello specchio con quello della foto scattata a Pasqua in montagna. Ma era tardi e doveva andare in ufficio: quel giorno doveva aprire lui perché Giovanna, a cui spettava normalmente l’incombenza, aveva da sbrigare non sapeva quale cosa urgente, cosa che peraltro le capitava ormai sempre più spesso negli ultimi tempi.
A pensarci, la situazione cominciava a infastidirlo e si sentiva quasi preso in giro, anche perché i suoi colleghi facevano spesso strane battute su quest’andazzo. Il suo capo, d’altra parte, non sapeva niente di quello che succedeva: a lui interessava solo che tutto fosse fatto per bene e i clienti fossero soddisfatti; chi, come e perché non erano domande che si poneva.
Certamente quella mattina sarebbe andato ad aprire l’ufficio, ma sarebbe stata l’ultima volta, al massimo la penultima, su questo sarebbe stato chiaro con la collega indaffarata.
D’un tratto si meravigliò quasi di questi pensieri di ribellione che gli frullavano per la mente.
Ma non fu l’unico pensiero né l’unico fatto che lo fece meravigliare quel giorno.
Aveva terminato il suo turno in ufficio alle 16.00. Lasciò scrupolosamente le consegne al giovane che faceva le ultime ore fino alla chiusura (poca voglia di lavorare, come tutti i giovani d’oggi, aveva sentenziato richiesto dal suo capo) e si ricordò di dover fare un po’ di spesa.
Il discount era pieno a quell’ora ed era riuscito ad accaparrarsi l’ultimo carrello libero rimasto. Per fare ciò  aveva dovuto quasi gareggiare con la bionda che era arrivata insieme a lui nel piazzale.
Mario si era preoccupato di parcheggiare per bene l’auto, lasciandola  all’interno delle strisce predisposte; la bionda, invece, aveva messo la sua praticamente davanti all’entrata del negozio, ostruendo anche in parte lo scivolo per gli handicappati. L’assistere a questa scena gli aveva fatto salire il sangue alla testa. Non poteva passarla liscia una persona come questa, aveva pensato, perciò quel carrello doveva essere suo. Essendo in svantaggio sulla bionda che era già nella corsia (la sua auto era proprio davanti al posto dei carrelli), gli restava una sola alternativa: scavalcare i paletti in ferro che delimitavano il corridoio. Fu quello che fece, piombando proprio tra la bionda e il carrello. Estrasse con tutta calma il portamonete dalla tasca, tirò fuori le cinquecento lire (che in questi casi sostituivano ancora egregiamente l’euro), le inserì nell’apparecchietto sul manubrio e sganciò il carrello dalla catena. Solo allora si girò per uscire dalla corsia, e fece un largo sorriso alla bionda, che per tutto il tempo l’aveva guardato prima sbigottita, poi irritata, infine inviperita.
«Mi permetta» le disse con sguardo angelico passandole davanti col proprio trofeo.
Giovanna non avrebbe creduto ai propri occhi.
Mario si lisciò i capelli attendendo un attimo che le porte automatiche del discount si aprissero.
Non aveva una lista scritta, come usava fare sempre quando andava per la spesa (il lunedì cominciava a scrivere ciò che occorreva in casa sulla lavagnetta appesa in cucina e prima di uscire copiava l’elenco sul foglietto di carta meticolosamente ritagliato da qualche volantino o retro di fotocopia che prendeva in ufficio) ma sarebbe andato a memoria.
Iniziò il viaggio nelle corsie: il pane (lo prendo dal fornaio), la frutta e la verdura (qui non sono buone), lo zucchero e il latte (questi sì, giù nel carrello), le caramelle e i Mars.
Qui Mario si fermò un istante. L’acquolina si stava già formando in bocca: i Mars gli erano sempre piaciuti per come crocchiavano prima e si spalmavano sulla lingua poi. Ne guardò il prezzo ed era esagerato per la sua tasca. Non per il costo di quel prodotto specifico in sé, ma si conosceva e sapeva che se si fosse messo a comprare tutte le leccornie che vedeva e bramava, non gli sarebbe bastato lo stipendio di una settimana ogni volta che faceva la spesa.
“Una soluzione c’è.”
“Quale?”
“Basta non pagare.”
“Ma che dici?!”
Ma chi è che parlava e rispondeva? Era fermo ancora davanti ai Mars ed era stato testimone auricolare di quella conversazione tra chissà chi.
“Dai, prendili e mangiali sul posto, prima di arrivare alla cassa, chi vuoi che ci faccia caso o gliene ne importi qualcosa. Oggi come oggi per fortuna ognuno si fa i fatti suoi.”
La voce stava parlando sicuramente con lui.
«Ma no, dai, è un furto!» rispose quasi articolando con le labbra le parole.
Quante volte anche lui si era arrabbiato nel vedere confezioni mezze vuote lasciate sugli scaffali, segno che qualcuno aveva consumato il prodotto senza naturalmente arrivare a pagarlo. Però, adesso, doveva dire che l’idea l’attirava quasi, non per il senso di sfida e pericolo, ma per il semplice gusto di farlo: voleva il Mars, non voleva pagare, l’avrebbe semplicemente preso e mangiato lì.
Si lisciò i capelli (era sempre più soddisfatto che stessero ricrescendo sani e forti, anche se ricci) e mise nel carrello una confezione del cioccolato ripieno di caramello mou.
Il tempo di entrare nella corsia successiva e aveva preso il Mars, l’aveva scartato con noncuranza e l’aveva addentato: che estasi per il palato! In due morsi aveva fatto fuori il primo e, il tempo di arrivare allo scaffale del tonno (ne prese tre scatolette), ne aveva terminato con grande soddisfazione la confezione intera.
Ehi, l’aveva fatto! Lui aveva preso una confezione di Mars e l’aveva mangiata senza pagare: Mario Vespolate stava per rubare!
Eppure non si sentiva tanto male, interiormente voglio dire.
L’eroico gesto, comunque, era ormai stato compiuto. Si trattava di scegliere: andare alla cassa e consegnare la confezione vuota (sarebbe bastato il barcode per pagare) oppure abbandonare l’incarto in uno scaffale.
Il combattimento tra sé e sé stesso (che poi erano quelli che avevano interloquito tra loro prima) era ormai agli sgoccioli.
“Ma sì, in fondo i negozianti sono assicurati contro queste, diciamo così, piccole perdite. Cosa vuoi che sia un Mars.”
“Ma non è il Mars in sé, è che…” cercava di resistere.
“Cos’è, adesso ne fai una questione di principio? Però prima te lo sei sbafato il cioccolato, t’è piaciuto! Ammettilo, era buono e tu l’hai mangiato. Punto. Nessuno ti ha visto e tutto finisce qui. Devi pensare di più a te stesso caro mio, tu non ti vuoi abbastanza bene.”
“Adesso sei tu che fai il filosofo. E poi non è giusto e basta.” Breve pausa di acuta riflessione. “Almeno credo” concluse.
Era fermo a fissare gli assorbenti da donna e la cosa dovette sembrare alquanto singolare alle persone che gli passavano accanto ma non potevano di certo assistere al duello che si stava svolgendo nella sua testa.
Mario si accorse di quegli sguardi attorno a lui, e riprese a girare a vuoto per le corsie, in attesa della decisione finale.
Vedeva, in lontananza, le casse. Si avviò con decisione verso quel punto tenendo in mano l’involucro vuoto del Mars. A pochi metri dall’arrivo allungò il braccio e depositò la confezione tra le bottiglie di Reggiano Lambrusco Secco.
Pagò i suoi 14,39 euro (che non comprendevano naturalmente il Mars) e uscì come era entrato, spingendo il carrello.
Era tranquillo, anzi soddisfatto. Certo, i suoi nuovi capelli lo stavano facendo sentire meglio, molto meglio. Si andava convincendo sempre più che era senz'altro vero quello che diceva certa pubblicità: se sei bello fuori, ti piaci anche dentro.

(... continua... )


TIM

6 commenti:

  1. Anche io amo i Mars, come Mario!!
    A proposito di quelli che mangiano e lasciano le confezioni in giro... ne vedo ogni tanto, ma non spesso come mi aspetterei (considerato che ho una pessima opinione dell'umanità!).
    Il tuo racconto mi piace sempre di più :)

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    Risposte
    1. grazie per l'apprezzamento del lavoretto. Il nesso ancora non si capisce perché non siamo arrivati ad un pezzo cruciale della storia, che arriverà con la puntata di domani, quando da Enzo in galera andrà... eh, se te lo dico si perde la suspence, quindi aspetta da brava domani!

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    2. Pardon... mi correggo: ci rivediamo lunedì con la sesta puntata!

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  2. p.s. anche se non ho capito ancora il nesso... :)

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  3. Adesso si che comincia a piacere il Mario! Sono stato anche io un collega modello e devo dire che sul lavoro non funziona,
    I colleghi se ne approfittano, i capi fingono di non vedere, e alla fine non ottieni risultati.
    Per fortuna dopo il primo anno smisi quall'atteggiamento.
    Forse però ho capito il nesso tra i personaggi.
    Eh eh eh! :D

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    1. con la puntata di lunedì, penso che ormai le carte si scoprono tutte. bisognerà solo vedere fino a che punto...

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