martedì 7 febbraio 2012

Racconto a puntate: Capello Liquido (VII)

E siamo alla fine.
Ormai avrete capito tutto di questo raccontino senza molte pretese, perciò vi lascio alla lettura della conclusione, e vi do appuntamento ad qualche altra storia, sperando che questa sia stata di vostro gradimento. E se così è, io vi ringrazio e voi fatemi cenno d'un piccolo commento.



15/17.12.2001
«Ma guarda quell'imbecille, contromano, senza cintura di sicurezza e pure col telefonino all’orecchio» disse Mario, e la sua voce rimbalzò all’interno dell’abitacolo. Un’auto gli era appena sbucata all’improvviso davanti in un senso unico e lo aveva costretto a stringersi verso il marciapiedi, ma la cosa che più lo aveva disturbato era l’aria serafica e sicura del tizio alla guida, come del nonno che sta tranquillamente accompagnando il nipotino all’asilo.
Istintivamente guardò nello specchietto retrovisore e focalizzò tipo di auto e targa: Fiat Punto, amaranto metallizzato, AL 50… (i puntini sono per la privacy). Si lisciò i capelli e pensò che non sarebbe stato proprio un giochetto da ragazzi rintracciarla, ma ci sarebbe riuscito.
Sicuramente.
La caccia durò una notte e mezza.
Aveva diviso la probabile zona di residenza del maleducato in tre fasce, avendo come punti di riferimento negozi e piazze.
La sua città era piena di belle aree di verde attrezzato. Così si fa’, amava dire a tutti, non come in altre posti dove il verde, se c’è, serve solo da deposito per siringhe e preservativi, entrambi usati. Avrebbe saputo lui cosa fare se solo gli avessero dato mano libera; ma si sa, ai posti di comando vanno solo quelli che non sanno governare neanche la propria casa e alla fine si ritrovano pure con un bel paio di corna in testa e la moglie in qualche letto a ore. Immaginiamo amministrare una città!
Essendo diventato ormai un animale notturno, quella caccia lo elettrizzava. Era padrone della città e godeva un mondo a parcheggiare la macchina e girare a piedi. Conosceva ormai tutti i tipi che, come lui, preferivano la luna al sole e li incrociava spesso, in gruppi o da soli. Certo i più strampalati erano quei ragazzi con i capelli colorati e pieni all’inverosimile di orecchini (ma quelli che si mettono al naso come si chiamano: nasini?, e giù una risata a squarciagola nel silenzio della città deserta). Ma a lui non interessava: che ognuno si facesse le sue cose, lui aveva la sua parte di città e se la godeva sino in fondo.
Era strano come fino a qualche mese fa non si sarebbe nemmeno lontanamente sognato di rinunciare alle sue ore di sonno per scorazzare in giro. Ora invece non riusciva neanche ad addormentarsi se fino all’una le due di notte non aveva respirato un po’ di sana e robusta aria notturna, bella dura, piena di tutte le storie che il giorno aveva lasciato e che a Mario piaceva andare a rintracciare negli angoli.
Qui, probabilmente, la signora della panetteria sotto braccio al marito aveva incrociato il suo amante e lo aveva salutato con un piccolo segno del labbro e abbassando gli occhi; sotto quel portone una ragazza aveva mandato a quel paese il suo boy friend perché non voleva accompagnarla al cinema quel pomeriggio: doveva studiare, lui!
Ma non era solo quella la novità nella vita di Mario. Il fatto che lo rendeva più felice era che i capelli continuavano a crescere, e come crescevano! Non solo robusti e forti, ma addirittura da radi, lisci e castani, stavano diventando folti, neri come la sua notte e soprattutto ricci. E così si piaceva di più, non c’era dubbio. Non più lo slavato quarantenne che se l’era fatta sotto durante la rapina in banca, ma allo specchio al mattino aveva davanti un energico teen-ager pronto a tutto, che avrebbe affrontato qualsiasi avversità o capoufficio che fosse. Sì, si sentiva proprio bene ora.
Aveva ancora, ogni tanto, come dei rigurgiti di un’altra vita, che sapeva essere stata la sua, ma che non riconosceva minimamente adesso: erano solo momenti, piccole indecisioni, pensieri veloci che impiegava meno di un attimo a scacciare. Quello che non aveva ancora capito bene era il perché di questo cambiamento; ma a lui non importava la causa, bensì l’effetto, e questo era certamente benefico.
Aveva trovato l’auto del senso vietato verso le due e mezzo di una notte come piaceva a lui: fresca e leggermente umida, odorosa di una nebbiolina che stava scendendo. Certo la sua ricerca non era stata facilitata dal colore della macchina, perché alla luce dei lampioni gialli, da lontano, l’amaranto si confondeva facilmente con altre tonalità. Perciò aveva dovuto controllarle una per una, non era bastato dare un’occhiata dall’angolo della strada.
Ma alla fine eccola lì, davanti a lui. Ai suoi occhi sembrava avere un’aria quasi rassegnata, quasi conscia che quello che stava per accadere era la giusta conclusione per i misfatti che il suo padrone le aveva fatto sicuramente commettere in tanti anni di strada.
Mario estrasse da una delle decine di tasche del suo gilet un temperino, se lo lisciò per un po’ sulla mano aperta, osservando la sua vittima, quasi a non saper decidere da quale parte cominciare. Sicuramente alla fine l’avrebbe bruciata (aveva la tanica di benzina nel cofano della sua auto), ma prima voleva divertirsi un po’.
Sì, avrebbe cominciato, naturalmente, dalle gomme, che prese subito a incidere col coltellino. Poi un colpo secco ad ognuna, e il sibilo dell’aria che usciva annunciò che erano andate. Nell’alzarsi urtò con la spalla volontariamente lo specchietto retrovisore facendolo saltare completamente; quindi si girò e disse al pezzo ormai a terra col vetro frantumato: «Scusa, non l’ho fatto di proposito.»
Si accorse che si stava lisciando i capelli e per un attimo pensò che era un gesto prima inusuale per lui, ma che ora era diventato frequente. Ma fu solo un attimo: aveva ancora davanti un bel po’ di lavoro e c’era sempre il pericolo che qualcuno lo vedesse o sentisse.
Non avrebbe aperto l’auto perché lui non era un ladro, perciò estrasse una ventosa e una punta diamantata di quelle in uso ai vetrai e fece una grande ‘O’ sul lunotto posteriore e un’altra su quello anteriore. I fari erano lì, invitanti, a portata di piede, ma il fracasso avrebbe potuto attirare qualcuno. Spezzò invece l’antenna della radio e prese a girare attorno all’auto facendo una serie di  righe col temperino sulla carrozzeria.
Ora era il momento più emozionante, quello del falò.
Andò a prendere la sua auto, parcheggiata all’altro isolato; la fermò poco distante dalla Punto, tirò fuori la tanica della benzina e ne versò il contenuto sulla vittima, facendo attenzione a inzuppare ben bene le ruote e i sedili (anche per questo aveva praticato i due fori sui vetri). A quel punto era questione di pochi secondi: prese il pezzo di stoffa lunga più o meno un paio di metri che aveva portato con se, e la imbevette nella benzina che aveva lasciato da parte, facendone una miccia. Quindi mise la tanica coi residui di carburante all’interno della Punto, facendola passare sempre attraverso il foro, e vi inserì un capo della miccia; gli diede fuoco e scappò verso la sua auto.
Ebbe il tempo di salire in macchina, partire a tutta birra e vedere nello specchietto retrovisore la propria vittima ormai avvolta dalle fiamme.
Si lisciò ancora una volta i capelli, ghignando appagato.
qui

11.09.2001
«Hai sentito il macello di New York? Booom! Quegli aerei, il fuoco, tutta quella polvere, mi sembra di averla anch’io nel naso!» Stefano (un anno e due mesi per borseggio continuato) a Enzo dalla sua brandina.
«Eh, beh, per fortuna c’è ancora un po’ di sana violenza in giro. Certe cose o ce l’hai dentro o niente. È questione di geni, di DNA!» Enzo, lisciandosi i capelli in un sogghigno.

FINE


TIM

4 commenti:

  1. Vedi un po' che danni può fare uno shampoo!! :)
    Scherzi a parte, io ho trovato il tuo racconto piacevole da leggere e carino :))

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    Risposte
    1. grazie! a suo tempo piacque anche i pochi che lo lessero, ma sono passati 10 anni!

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  2. Piaciuto molto, bravo! :)
    Magari potresti provare ad integrare alcune parti però il racconto è bello.

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    Risposte
    1. Se dovessi decidere di inserirlo in qualche raccolta, forse posso rimpolparlo un po'. Quali parti, secondo te, andrebbero integrate?

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