22 gennaio 2016
E’ una bella casa quella in cui stiamo, siamo fortunati. Acqua e corrente elettrica sono abbastanza costanti. Di cibo abbiamo trovato piena la dispensa e se non sprechiamo potremo andare bene anche parecchie settimane senza bisogno di approvvigionarci.
A volte sembra una situazione di normalità, se non fosse perché dobbiamo stare praticamente al buio o quasi.
Finora è filato tutto liscio, tranne quell’esperienza dell’altro giorno. Il cadavere del pistolero solitario è rimasto in giardino un paio di giorni; poi, quando avevo pensato di seppellirlo più che altro per evitare esalazioni maleodoranti e pericolose dovute alla decomposizione, un mattino non l’abbiamo più trovato. Chiunque sia stato ci ha fatto un gran favore, per cui non mi interessa sapere di più.
Mi preoccupo soprattutto per Carlo, cercando in lui segnali di cedimento, campanelli d’allarme che indichino che la sua testolina prenda una brutta piega.
Ma lui sembra tranquillo, in certi momenti quasi contento.
Ha i suoi fumetti, che però penso abbia già finito di leggere tutti e mi aspetto che da un momento all’altro mi chieda di andarne a prendere altri in edicola.
Chissà se mi sto comportando con lui nella giusta maniera, come un adulto deve fare con un bambino, anzi come un padre deve fare con un figlio. In fondo io sono per lui tutto il suo mondo e lui per me tutto il mio mondo. Ci possiamo, ci dobbiamo, fidare e affidare l’uno all’altro, sennò sarebbe finita.
Non ho mai avuto né, sinceramente, voluto figli e ora questa convivenza forzata con Carlo mi ha fatto scoprire pieno di premure per lui, di senso di protezione, anche di amore, perché no. E mi chiedo se questi sentimenti bastino per descrivere il senso di paternità. Penso di no, perché ci deve essere di più, ci deve essere tutto quello che viene spontaneo quando lo vedi nascere, e poi crescere, e poi lo segui nei primi ragionamenti, quando devi affrontare i suoi piccoli e grandi capricci.
Questo non te lo insegna nessun libro. L’unico maestro che hai è l’amore che provi per lui.
Forse.
Non lo so, non posso saperlo.
A tutto questo penso mentre, dalla porta della sua stanza, lo guardo disegnare qualcosa su un blocco che si è fatto da solo, utilizzando fogli riciclati trovati in cantina.
Mi avvicino senza far rumore e lo osservo da sopra le spalle.
E’ molto bravo. Sta disegnando dei fumetti con personaggi che sembrano usciti da una saga vichinga (forse è Dranwall?). Il tratto è un po’ impreciso, non molto sicuro, ma ha dieci anni nemmeno, e io non sarei capace di avvicinarmi neanche lontanamente a quello che sta facendo lui. Capisco che c’è un uomo muscoloso che ha in mano qualcosa che sembra una mazza ferrata e sta guardando l’orizzonte da una collina. All’improvviso spunta alle sue spalle qualcuno coi vestiti a brandelli e con una faccia animalesca; sembra un lupo con lunghe zanne e mani pelose. Poi l’uomo muscoloso si volge di scatto e alza la mazza. In una terza pagina i due sono a terra e stanno combattendo. Non ci vuole molto a capire che l’animale rappresenta un infetto e l’altro è l’eroe della storia.
Sono queste le volte in cui faccio fatica a pensare che fuori qualcuno ha fatto scoppiare l’apocalisse e che potremo anche non risvegliarci più domattina.
Non lo voglio disturbare e me ne vado cercando di non far rumore. Chissà se riuscirà un giorno a disegnare le sue strisce e a vederle pubblicate su qualche giornale. Tutto dipenderà da come andrà a finire la lotta tra il lupo e l’eroe: chi vincerà imporrà il suo mondo e solo allora potremo sapere se fumetti, giornali, libri avranno ancora un senso o sarà solo vecchiume utile solo a rinfocolare un camino o una stufa.
Oggi non c’è niente di particolare in programma, tranne il solito giro di perlustrazione per controllare che tutte le porte e le finestre siano chiuse per bene. Andrò io da solo, non voglio disturbare Carlo impegnato nella sua lotta personale contro i cattivi.
Poi preparerò qualcosa per la cena.
T.
sabato 22 gennaio 2011
Cronache da un altro mondo 12
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Bello questo spaccato intimo col rapporto adulto-bambino ovviamente in chiave paternità (sia pure adottiva, per così dire). E' una sensazione che conosco, mi piacciono i bambini, anche se negli ultimi tempi mi sto concentrando solo su mia figlia...
RispondiElimina(ancora personaggio off): Tim, ti ho appena assegnato il premio Sunshine Award. I dettagli li trovi nel mio post odierno a questo link:
RispondiEliminahttp://arianogeta.blogspot.com/2011/01/sunshine-award.html
Quello che ho scritto è la realtà. Non ho figli miei (ho visto crescere però quelli di mia moglie, essendomi sposato da pochi anni dopo tanto tempo di convivenza)e non ho mai desiderato averne. Ma ora vedendo crescere i nipoti 'di seconda mano', o forse è anche l'età!, si è risvegliato il senso di paternità. La mia paura più grande è sempre stata quella di non saperli educare, di non sapere affrontare le età difficili, le richieste 'sbagliate', il mio dovermi mettere a nudo con loro. D'altra parte sono contento che la mia narrazione ti abbia coinvolto così profondamente. Auguro tutto il bene del mondo a tua figlia e a voi genitori.
RispondiEliminaE grazie per il premio! ne ho sentito parlare in questi giorni sui blog, ma non ha mai approfondito. Andrò subito a vedere!
Temistocle
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina(off): condivido il pensiero di Ariano, lo stralcio del rapporto con Carlo è ben scritto e coinvolgente. Le frasi finali sono la descrizione perfetta per un vita quotidiana fatta di desolazione, paranoia e lentezza. Il tempo che non passa mai. Bravo! :)
RispondiElimina@ Gianluca: grazie. Questo è il penultimo pezzo. Gli ultimi due sono già pronti e li metterò in settimana. Poi spero di cominciare a riscrivere il tutto per un racconto, forse lungo.
RispondiEliminaTemistocle