domenica 18 dicembre 2011

Racconto a puntate VII°

Ed eccoci alla fine!
I miei lettori saranno finalmente contenti di sapere se ho rispettato i canoni del racconto classico e se è tutto plausibile. Ma c'è qualcosa di plausibile nella vita? Nella vostra vita? Perché se è così, io mi dare una guardatina dentro, magari con l'aiuto di Capitan Alex.
Una sola domanda, oltre a quelle ovvie (vi è piaciuto? che voto gli dareste da 0 a 10?): voi come l'avreste concluso?
Perciò, senza mettere tempo in mezzo, buona lettura del VII° e ultimo capitolo di 

Capitan Alex e i giochetti di Remigio
“Come sarebbe a dire che stasera si esce? Io…”
“Tu, per il momento, fai ancora quello che dico e voglio io” risposi con tono seccato. Poi cercai di indorargli la pillola. “E comunque ti porto a fare un giro verso la periferia, così potrai ammirare qualche bellezza locale e, se siamo fortunati, anche qualcuna straniera.”
“Eh, ma sempre ammirare, ammirare, qui non si conclude mai niente di serio” sembrava intristito. Mi faceva quasi pena.
“Stai calmo, quando ci saremo scambiate le parti e toccherà a te guidare la baracca deciderai cosa fare, come e perché. Per adesso ti devi accontentare. Scusa ma io più di tanto non riesco a fare. Prenditela con Remigio che ti ha messo in questa situazione.”
“Va bene, meglio di niente” rispose tra lo sconsolato e l’interessato.
E così uscimmo.
Salii in auto dimenticando di allacciare le cinture di sicurezza (capirete poi perché), lasciai il mio palazzo di mattoni rossi col giardino verde, passai contromano (era sera tardi) davanti al palazzo di mattoni verdi col marciapiede rosso a fianco al mio e imboccai il corso principale.
Era il momento di mettere in pratica il mio piano.
Misi su un po’ di musica; naturalmente andava: Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei. Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi. Quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere mai.
“Ma come fai a sentire certe porcherie io non lo capisco proprio.”
Non era il momento di impiantare una discussione con lui, così gli lasciai correre l’osservazione nei riguardi del poeta. Anche per questo l’avrebbe pagata. Presi ad accelerare lentamente, finché arrivai alla prima rotonda che già ero sui sessanta orari. Alla seconda facevo già gli ottanta e dovetti frenare bruscamente per svoltare a sinistra e imboccare il lungo viale, dove accelerai nuovamente fino ai novanta.
“Non ti sembra di correre un po’ troppo, ragazzo”.
“Tu mi hai sempre ripetuto che sono un pappamolle, che non amo rischiare e tutto il resto e ora hai paura?”
“No che non ho di certo paura! Ma questa velocità non si addice ai tuoi riflessi e al tuo coraggio.”
“Bisognerà pure che cominci una volta. Stasera mi sembra la volta buona per farlo. E poi non c’è nessuno per strada.”
Non gli lasciai il tempo di rispondere. Dovevo costringerlo a restare concentrato sulla sua paura per evitare che entrasse nei miei pensieri.
Ormai correvo a folle velocità per i viali deserti, con l’unica speranza di non incappare in qualche pattuglia di polizia o carabinieri, non per il timore che mi beccassero ma per non dover mettere fine al mio tentativo. Mi sembrava che il posto migliore dove andare fosse quello da cui era iniziato tutto: l’arrugginita statua simboleggiante il riso nella piazzetta vicino casa.
Dalla stazione ferroviaria risalii per il corso che parte dalla caserma della Guardia di Finanza e giunge proprio sotto il monumento. Sentivo che Capitan Alex era completamente in balia della sua paura ma non osava dire niente per non fare la figura del fifone; meglio di così non poteva andare.
Adesso veniva la parte più difficile: dovevo tirare fuori, per una volta nella mia vita (non è che Remigio avesse poi completamente torto, eh!), i cosiddetti e mettercela tutta.
Arrivai alla rotonda ad una velocità esagerata, non avevo neanche il coraggio di guardare il contachilometri; l’affrontai con la forza della disperazione e con tutta la mia voglia di riscatto per tutto quello che questa storia aveva comunque fatto venire fuori di me.
Vedevo il rondò davanti e puntai dritto alla statua. Capii che Capitan Alex era cotto al punto giusto e stava per saltare fuori di me se io fossi morto nello schianto. Io però non avevo nessuna intenzione di crepare e, secondo il mio piano, sarei dovuto balzare fuori dall’auto all’ultimo istante. Questo però non bastava, perché il mio ospite non si sarebbe mosso da dentro di me finché non fosse stato sicuro della mia morte. Doveva perciò essere questione di un attimo.
Ed è qui che entrava in gioco Punto. A poche decine di metri dal posto dello scontro cominciai a pensare intensamente al gatto, tanto che anche l’attenzione di Capitan Alex fu catapultata verso di lui.
“Punto! Punto! Il gatto, il gatto nero della bella vicina di casa!” presi ad urlare dentro di me, creando una situazione confusa ed esasperata per Capitan Alex che era preso tra due fuochi: sapeva che se continuava in quel modo io mi sarei schiantato a tutta birra contro la base del monumento morendo sul colpo e lui, prima di scappare da me rimanendo in vita nel suo spazio e nella sua eternità, avrebbe comunque sofferto fisicamente con il mio corpo. Oppure poteva filare via prima che ciò accadesse ma con la prospettiva di ricominciare a vagare, in attesa di qualche altro corpo da abitare. Sentivo però che il mio richiamo al gatto (e soprattutto alla bella padroncina) stava dando i suoi frutti, perché anche la sua attenzione si stava spostando sul felino.
“Punto, il gatto, Punto, la vicina di casa… sì, sì, mi piace la vicina di casa!” stava urlando anche lui.
L’istante era arrivato. Mi giocavo tutto. Quando ormai il muso dell’auto era a meno di un metro dalla base del monumento aprii lo sportello e mi gettai dalla macchina, rotolando come avevo visto fare nei migliori film d’azione. Non so quanto tempo passò, ma vidi chiaramente l’auto urtare violentemente contro la ferraglia arrugginita. Il monumento ebbe un sussulto, sembrò piegarsi da un lato, poi si riprese e tornò in orizzontale. Ma fu per un attimo, perché cominciò a piegarsi dalla parte opposta, ormai sganciato dalla sua base, e lentamente si accartocciò su se stesso rimanendo lì, a terra, segno, tra l’altro, di una vendetta consumata a favore dell’arte.
E Capitan Alex?
Non sentivo nulla. Oltre al dolore fisico della spalla, dico.
Chiamai. “Capitan Alex! Capitano!”
Nessuna risposta. Rimasi a terra contemplando quel che restava della mia macchina e della statua. Ma non sentivo alcuna reazione dentro di me.
Era fatta! Ero libero finalmente da quell’incubo, libero dalla paura di diventare un altro! Ma ero anche libero di ritornare al mio tran tran quotidiano, alle mie pantofole, alla mia musica, ai miei film in prima serata con una birra e una busta di patatine per compagnia.
Ecco, questa è la storia che vi volevo raccontare. Una storia certamente difficile da immaginare e ancor più da credere. Ma è la mia storia.
A questo punto penso che vi starete chiedendo che fine abbia fatto Capitan Alex. Sinceramente non lo so, o almeno non ne ho la certezza, anche se una mezza idea me la sono fatta.
Ogni volta, infatti, che dal mio balcone vedo Punto, mi pare che mi guardi in modo particolare; mi sembra di riconoscere qualcosa nei suoi occhi, o meglio qualcuno. Mi sembra di distinguere quello sguardo penetrante e impertinente, goloso e soddisfatto. Sarà per questo che è un bel po’ di tempo che non si vede più da queste parti il fidanzato della bella vicina di casa?

TIM

8 commenti:

  1. Bello, finale inaspettato devo dire! E non credo potessi immaginare altri modi per concluderla, dal momento che il narratore doveva sopravvivere in qualche modo. Bella la trovata del gatto, sì sì. :)

    Come voto, direi un bel 7.5 dai.

    Ciao,
    Gianluca

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  2. Funziona e funziona bene. Appunto: metti tachimetro la prossima volta, il contachilometri è un'altra cosa.
    Come lo avrei concluso? Con il sorgere di un'entità maligna dal monumento distrutto, una sorta di contrappasso. :-)

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  3. @ Gianluca: sono contento che finalmente qualcosa è piaciuto! è la riprova che dieci anni fa scrivevo meglio di ora, o almeno avevo più idee!
    @ Angelo: anche il tuo giudizio positivo mi fa piacere e mi convince di più che le mie capacità scribacchine scemano invece di aumentare. Ma spero di rialzarmi con il commissario che dovrebbe approdare su questi schermi molto prossimamente! Anche il tuo finale sarebbe stato bello, ma a quei tempi non ero ancora entrato nel gruppo dei cattivi e dei pandemici!

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  4. Mah, a me erano piaciuti anche gli tuoi racconti che avevo letto! XD

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  5. @ Gianluca: ti ringrazio! Ora tocca a Bacone venire allo scoperto. E' questione solo di uno-due giorni.

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  6. Sei capace di scrivere e lo sai bene, non scherziamo. Ci vuole tempo, pratica e continuità. Le doti creative non ti mancano.

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  7. @ Angelo: detto da te è senz'altro un complimento! grazie. Oggi lancerò il commissario. Speriamo che piaccia anche questo, perché ci ho messo un bel po' di lavoro e soprattutto piace a me.

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  8. Come già detto, trovo che hai uno stile alla "Twilight zone" (senza alcun riferimento al tuailait meyerano, sia chiaro!)

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